La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

lunedì 30 dicembre 2019

Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e LIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE. Don Pietro


1. All'inizio di un nuovo anno la parola di Dio ci presenta una Donna-Madre e un bambino. Perché intende subito esprimere la propria considerazione per il valore che nella vita rappresenta il lato femminile dell'esistenza. La sapiente  passività, la capacità di accoglienza, il dono di dare la vita… sono per la rivelazione valori altissimi. Anche in vista di una piena umanizzazione del mondo  il contributo della donna è nella Scrittura essenziale.
2. L'altro messaggio di inizio anno è l'annuncio-auspicio  di pace. L'antico filosofo Eraclito nel frammento 53 ha scritto che il Polemos, cioè la guerra  è il padre di tutte le cose.  Ebbene, questo sogno impossibile della pace Cristo lo ha reso e lo rende possibile.
Uniti a lui mediante il battesimo e l'eucaristia dal nostro cuore può essere sradicata la radice violenta. Allora, e solo allora!, incominciando dalla propria vita è possibile instaurare rapporti nuovi con gli altri,con le cose, rapporti riconciliati con tutti e con tutto. Il cristiano porta dentro di sé una risorsa miracolosa: quella del perdono attivo. Come fa il suo Signore Gesù Cristo, anche il cristiano non perdona perché il reprobo si è pentito, ma perdona perché si penta, il suo perdono è, cioè, un investimento, per favorire la conversione del deviante. Solo così il cristiano può spezzare la spirale dell'odio, della ritorsione, della vendetta. L'unico corto circuito che funziona quando la violenza si è scatenata è il perdono. Parola difficile il perdono, parola esigente, parola nuova, paradossale, ma non c'è altra strada per riportare pace, concordia e serenità dovunque.
All'inizio di un nuovo anno si è soliti scambiarsi gli auguri. Cosa augurarci quest'anno? La salute? Certo, ma senza nutrire sogni infantili di immortalità e senza mitizzare la salute fisica. Perché anche la sofferenza, il dolore e la malattia possono essere realtà piene, colme di una presenza, quella del Crocifisso, che trasforma anche il male in possibilità di crescita e di vita nuova. Vogliamo  augurarci la ricchezza? La ricchezza spesso può essere disonesta, ingiusta, può favorire in noi  l'illusione dell'autosufficienza, dell'autonomia. Può renderci orgogliosi, ingiusti  ed egoisti. Non la ricchezza dunque ci auguriamo. Ma neppure la povertà: potrebbe farci dubitare della volontà di bene di Dio nei nostri confronti. A Dio chiediamo solo il necessario. Però lasciamo a lui definire cosa nella nostra vita è veramente necessario. Vogliamo augurarci il successo? La televisione, l’ultima delizia della caverna dell’uomo, non fa altro che stimolarne in noi il desiderio. Ma il prezzo da pagare è troppo alto… Non il successo, ma neppure fallimenti dobbiamo augurarci:  potrebbero farci sprofondare nell'abisso della depressione. E comunque ricordiamo che anche chi dovesse incappare nel  fallimento è amato da Dio. Auguriamoci la pace, questa sì. Purché sia quella vera, quella  che abita nel cuore di Dio  e che noi accogliamo con gioia e che ogni giorno contribuiranno a costruire e a diffondere dovunque nel mondo.

mercoledì 25 dicembre 2019

Natale, la riflessione di don Pietro


Sarà l'atmosfera particolare che si crea in questo periodo, ma nessuno o quasi resiste alla suggestione e alla magia del Natale, l'accadimento che dà inizio all'evento cristiano. Credenti, agnostici e anche  non credenti dichiarati,  benestanti e i disperati, ciascuno,certo, con modalità diverse, lo festeggia. È già questo un piccolo miracolo che ogni anno si ripete. Al di là del fascino da coreografia, probabilmente la forte presa di questa festa su piccoli e grandi va ricondotta ai significati che essa veicola e che trascendono la pura sfera del religioso. Intanto la sua dimensione simbolica tocca e permea con grande immediatezza i livelli più profondi e le regioni più recondite dell'animo umano, anche e forse soprattutto per il disincanto, le devastazioni e l'impoverimento che l'arida e imperante cultura tecnico-scientifica ha determinato nell'immaginario collettivo.

Non a caso al centro della festa c'è un bambino, un neonato, allusione potente cioè ad un atteso e auspicato nuovo inizio della creazione e della storia, nostalgia intensa di innocenze perdute e inseguite, riscoperta, trepida e preziosa insieme, della fragilità e finitudine di un'esistenza  gettata nello spazio-tempo e bisognosa, per preservarsi, dell' altrui cura e tenerezza. C'è sempre chi attenta e vuole sopprimere il bambino che è in noi. Il fantasma di Erode si aggira minaccioso ancora tra noi con milioni di epigoni sinistri e feroci.  Uccidere il bambino, la sua stupenda e intatta capacità di stupore e candore, è uccidere il sogno che rende sopportabili i giorni dell'uomo e che ripaga delle ferite della vita. Il sogno che vuole sopravvivere alla deriva nichilistica del tempo è simboleggiata dalla Stella di Natale sui nostri presepi e lungo le strade della città.

Da lontananze siderali trasmette a cuori prigionieri di molte tenebre un consolante messaggio di speranza. Seguirla è andare oltre il mortificante esistente, altrove, nelle misteriose regioni dove la vera libertà può riscattarsi dalle sue dure necessità e farsi appello ad osare un viaggio insidioso ma irresistibile verso lande seducenti e sempre solo intraviste.
Anche l'Angelo sfolgorante di luce è, a Natale, promessa e annuncio che all'insopportabile solitudine della creatura umana su una terra, non sappiamo più se ostile o benedetta, si accompagna la solitudine di un Altro, non più lontano e irraggiungibile, ma con le nostre stesse fattezze, viandante come noi sui sentieri delle opere e giorni, alla ricerca come noi di un senso non deludente per un vivere finalmente riscattato dall'assurdo, dalla disperazione e dalla vanità.

Questi significati del Natale, e altri ancora presenti nella sua inesauribile e misteriosa profondità, sono il dono prezioso che ogni anno e forse ogni giorno ci viene offerto. L'uomo che è in noi, che noi siamo, la città dell'uomo, con le sue molte ombre e poche luci, che noi abitiamo ne hanno estremo, urgente bisogno. Il panorama cittadino, nazionale e mondiale, senza indulgere a sterili lamentazioni di rito, senza cedere a perniciosi pessimismi di maniera, non autorizza affatto facili entusiasmi, né disegna scenari incoraggianti per il presente e per l'immediato futuro. Venti gelidi di guerra, amplificati dai soliti noti, rischiano di soffocare una pace di per sé già tanto timida, fragile e precaria.

La grande crisi economica, smentendo tutte le facili e fallaci promesse inscritte in una messianica globalizzazione dei mercati, portatrice di una età dell'oro per tutti, incombe minacciosa sul mondo  col suo carico di devastazioni, di ingiustizie planetarie e di drammi familiari e personali. Anche la terra, con l'aria, l'acqua, le piante, sottoposta ad uno sfruttamento selvaggio e agli attacchi forsennati dell'uomo, rischia di non essere più madre nutriente e amica dei suoi ospiti. La violenza più efferata, nelle sue forme antiche e inedite, l'individualismo cinico e spietato, l'indifferenza, l'invivibilità delle città, gli attentati al welfarstate... completano il quadro. Il Natale viene proprio per questo: per una iniezione di nuova energia e salutare speranza. La sua luce vuole ancora brillare tra le nostre tenebre. Compito dell'uomo, di ogni uomo di buona volontà, è organizzare questa speranza. Ogni giorno, non solo a Natale.

Auguri di Pace e di Amore

Che il miracolo di Natale
ti comunichi una gioia
che duri per sempre.
Che tu senta il calore dell'amicizia e dell’affetto
che ti vengono espressi.
Che la dolce pace di Natale
scenda gentilmente su di te dal Cielo.
E il Cristo di Natale
riempia la tua casa
di armonia e di amore.
Che questo Natale e quest'Anno riempiano la tua casa
della pace e dell'amore di Cristo.
Auguri
d. pietro


domenica 22 dicembre 2019

MEDITAZIONE SULLA IV DOMENICA. Don Pietro


1.      Giuseppe al centro, ma alla luce di Gesù e di suo Padre

Non pochi commentatori titolano e indicano questo brano come «L'annuncio a Giuseppe». E certamente è il padre legale di Gesù il destinatario dell’odierno messaggio angelico. E’ il falegname di Nazaret l'interlocutore di Dio. E’ Giuseppe l'uomo che vive un'ora drammatica della sua fede. E’ lo sposo di Maria che si rivela nel racconto uomo giusto e ricco di amore per Dio e per la sua donna.
Ma il cuore del brano, il centro della narrazio­ne, non è Giuseppe: è ancora Dio nella novità sor­prendente del suo agire ed è Gesù, iI Figlio nel quale il Padre vuole realizzare una presenza definitiva e salvifica.
Questa sezione del Vangelo secondo Matteo si configura, dunque, come teologica e cristologica, senza per questo escludere il sue radicamento storico, il suo ancoraggio ad antichi racconti traman­dati dai parenti di Gesù, da Maria in particolare.

2.     Gesù, le attese dei secoli si realizzano

Anche per tale pagina, allora, essenziale è co­gliere il cuore del messaggio che l'evangelista vuo­le trasmettere al lettore attraverso simboli, allusioni, rinvii alle Scritture e attraverso i comportamenti degli attori non protagonisti della vicenda narrata.
Ancora una volta l'interesse di Matteo è per quel bambino misteriosamente presente, minuscola goccia di vita, nel grembo di una giovane donna (alma), di una vergine (parthénos). Quel minuscolo grumo di carne pulsante è l'approdo di una storia lunga millenni, carica di attese, bagnata dal pian­to delle generazioni, mille volte nel fango e sem­pre fatta ripartire da Dio rinnovando la sua anti­ca promessa.
Nelle sue notti, frequenti e lunghe, il popolo di Dio, o almeno un suo piccolo resto, ha potuto so­pravvivere all'ostilità del mondo circostante e al suo proprio peccato aggrappandosi a quella pro­messa che Isaia (7,14) enuncia in termini scanda­losi per l'umana ragione e che Matteo riporta a con­ferma della fedeltà di Dio:
« Ecco, la vergine con­cepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele » (1,23). In Gesù l'antica profezia si adem­pie. Dio non delude: tiene fede alla propria pro­messa.
La Scrittura registra puntualmente interventi particolari, diretti, di Dio nella nascita di uomini che dovevano incarnare una sua speciale presen­za, scelti per far progredire il suo disegno di salvez­za. Accade per Isacco (Gn 21), per Giacobbe (Gn 25,21), per Samuele (ISam 1,4-20).
Per Gesù, il Figlio, l'intervento divino è straor­dinario, unico, oltre le leggi della natura. Non ci sarà un padre terreno. Sarà sostituito dallo Spiri­to, il principio ultimo e primo della creazione e della vita. Giuseppe, come vedremo, non si offenderà. La fede e la pratica diuturna della giustizia davan­ti a Dio e agli uomini l'aiuteranno a capire e ad accettare un Dio difficile.

3.      Un futuro delineato fin dalla nascita.

Nel grem­bo verginale di Maria confluisce il fiume dei secoli e, in germe, è già presente e si delinea nei suoi tratti fondamentali il futuro di colui che nascerà. Lo Spi­rito, che concorre al suo concepimento e alla sua nascita, non lo abbandonerà più per l'intero arco della sua breve ma intensa esistenza. Sarà sempre su di lui, in lui, risuonerà sulle sue labbra, renderà potenti le sue mani, lo sosterrà nell'ora tenebrosa.
Preconizzato fin dal grembo materno come Dio-che-salva (Jeshuà), come Dio-con-noi (Emmanuele), egli onorerà pienamente questi titoli, impegnativi oltre che onorifici. Nella casa di Nazaret, sul grem­bo di Maria che nasconde un mistero tanto gran­de, già si protende la luce dei sentieri palestinesi battuti dai piedi dell'amico-dei-peccatori e già si al­lunga l'ombra della croce con cui Dio-salva.
Anche l'elemento arcano, la dimensione del me­raviglioso che attraverserà gli eventi dell'esistenza di Gesù è già presente al suo concepimento, come alba che prelude al giorno.
4.     Giuseppe: scomparire per esserci.
Dio irrompe nel­la vita di questa piccola grande creatura e, come sempre accade, la sconvolge per sempre. Tutto ini­zia con quella gravidanza umanamente inspiegabile  della sua fidanzata, fonte di allegrezza per Ma­ria, di turbamento per lui. La legge di Dio gli im­pone di ripudiare la donna che ama. La certezza della sua innocenza e la carità glielo vietano. Ma non è questo il dilemma che rende interminabili e angosciose le sue notti. Non tra giustizia della legge ed esigenze della carità è il suo dramma.
Giuseppe teme che Dio ami di un amore esclu­sivo la stessa donna che lui ama e siccome è uomo giusto non vuole competere con Dio. Gli avrebbe lasciato campo libero se Dio, attraverso il suo an­gelo, non gli avesse fatto sapere in sogno che l'a­more divino non entra in concorrenza con l'amo­re umano: lo assorbe e lo trasforma, lo trascende, ma non lo distrugge.
E Giuseppe accetta, felice di amare Maria in Dio, rispettoso del mistero che l'avvolge. La Parola-rivelazione di Dio scioglie il dramma di Giuseppe. Rinuncerà a un amore carnale verso Maria per amore di Maria, madre del suo Signore. Ma il suo non sarà un matrimonio apparente. Sarà un vin­colo saldissimo fondato su un amore immenso.
Anche la sua paternità non sarà fìttizia. Il fi­glio, di Maria e dello Spirito, anche Giuseppe dovrà ogni giorno generarlo alla vita, a una fede-obbedienza, a un amore di Dio tanto forte da di­ventare salvifico. Ogni giorno lo ri-conoscerà come Dio-che-salva e lo chiamerà Gesù. Vivendo con lui sperimenterà che cosa veramente significa l'Emmanuele, il Dio-con-noi.
In Giuseppe si compie, anticipato, un piccolo evento pasquale: muore ai suoi progetti umani, al­le sue sicurezze, e dal sonno-morte del suo dram­ma di uomo e di credente esce come risuscitato-"(egherteìs, il verbo della risurrezione!), uno di que­gli uomini nuovi che il Figlio guiderà.

martedì 17 dicembre 2019

Il presepe: mito, simbolo e tradizioni. G. Matino


E’ il giorno del presepe. È oggi che si accende. Papa Bergoglio vorrebbe che la sua tradizione venisse preservata, lo scrive nella sua ultima lettera apostolica Admirabile signum: "Con questa Lettera vorrei sostenere la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe. Come pure la consuetudine di allestirlo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze".
Francesco d'Assisi ha messo in scena il primo presepe vivente, anche se è chiaro che la sua intenzione dovesse essere altra, potremmo definirla "mistica della consistenza" per dare compimento a un sogno, anzi permettere al sogno di farsi acchiappare fisicamente. Qui da noi quel sogno ancora affascina, tanto che a più riprese mi sono permesso di affermare che Napoli potrebbe essere a pieno titolo la città del presepe. "Quanno nascette Ninno a Betlemme era notte e pareva miezo juorno",così scriveva il prete poeta Mattia Del Piano, e non Alfonso Maria de' Liquori come per secoli è stato scritto, raccontando il Natale, componendo insieme al verso la più famosa delle melodie che celebrano ancora oggi la nascita del bambino a Betlemme. "Quando nacque il bimbo era notte e pareva mezzogiorno", la scrisse in dialetto per essere vicino a coloro che meglio dei dotti, per propria condizione di miseria, avevano nel proprio cuore la forza dell'incanto. Poveri, come quelli di quella notte che scoprirono il Mistero adagiato in una mangiatoia, e benché non sapienti, compresero che ne sarebbero diventati i primi testimoni. La scrisse in dialetto per farsi comprendere, metodo antico e sapiente di passaggio del Verbo nella lingua dì chi ne è destinatario, per accompagnare il Vangelo che va passato alla vita reale di chi dovrà farlo suo, uguale per il presepe che resta comunque passaggio di Parola. "Tu scendi dalle stelle", che ne riprende le tracce, questa sì di Alfonso, ancora commuove e diletta, come ebbe a dire Giuseppe Verdi. Racconto che trae spunto dalla visione di Isaia che annuncia per quella nuova nascita la pace universale, vinto il conflitto che separa gli uomini, perfino le bestie feroci faranno pace, il creato intero assapora finalmente la concordia universale. Nello scorrere del testo incuriosisce un passo:"Correttero i pasturi alla capanna... Restajeno `ncantate a boccapierte", i pastori accorsi alla grotta dinanzi all'incanto si paralizzano restando a bocca aperta. Altro non riescono a fare, troppo è il veduto per non lasciarsi sopraffare, troppa la gioia che paralizza come luce immensa che acceca. I pastori, i primi invitati all'incanto, altro non possono fare che sbalordire per l'evento. Come resta ogni bambino dinanzi a un dono inaspettato e commuove e intenerisce per la sorpresa stampata in volto. Così resta al centro della scena presepiale lo stupore, il primo attore. Ne ho già scritto nel Pastore della meraviglia, e commosso noto ora perfetta sintonia con lo scritto di Papa Francesco, sorprendente somiglianza. Restajeno `ncantate a boccapierte, a bocca aperta proprio come il pastore della meraviglia, come l'intera umanità di fronte alla gioia della nascita divina. Incantati i pastori, paralizzati dall'evento come racconta il Vangelo apocrifo di Giacomo.
È Bergoglio non ancora Papa Francesco che parla: «Cí avviciniamo al presepe, dove albeggia "una grande luce" (Mt 4,16), una luce nascosta nel silenzio di Nazareth e nella pace notturna di Betlemme; eppure presto si manifesterà a tutte le genti (Is 60,1-3; Mt 2,2-9) e ai discepoli (Mt 17,12; Lc 2,32). È la luce del mondo (Gv 8,12; 9,5; 12,46), la luce in cui dobbiamo camminare per esserne figli (Gv 12,36›. Lontano dai linguaggi dotti della teologia ufficiale, il presepe ancora oggi comunica la gioia della salvezza all'uomo qualunque che, in maniera distratta, continua a festeggiare il Natale. Mito, simbolo e tradizione fanno del presepe un intreccio di storie che consentono di custodire la tradizione di un popolo, esprimendo la mai risolta assimilazione di un culto nuovo alla civiltà preesistente. Il presepe è dunque lo sposarsi del Verbo che si fa carne con ì miti, le favole, i racconti e le suggestioni di un popolo che continua a conservare il suo passato, benché anni di cristianesimo. Leggenda, storia, fantasia, verità, mito, cronaca tutto si fonde e confonde in questo avvenimento: Cristo si è fatto carne nostra! E così presepe diventa un racconto da passare, un Vangelo senza libro da raccontare.

sabato 14 dicembre 2019

Una riflessione per la Terza domenica di Avvento. Don Pietro

"Se tu colui che deve venire a salvarci, o dobbiamo aspettarne un altro?".

La domanda del battista, il prigioniero di Macheronte diventa la nostra stessa domanda, anche se noi non siamo come lui in carcere, il che ci farebbe onore, ma peggio, molto peggio, noi siamo nella prigione del vuoto esistenziale.
Cosa ci risponde Gesù di Nazaret?
Egli ci dice: se  volete, siete liberi di attendere e di sperare in altri Messia. Se volete, siete liberi di porre le vostre aspettative in sistemi filosofici, teologici,  economici e politici nuovi. Ma sappiate -e dovreste già esserne edotti per amara vostra esperienza- che non c'è alcun programma politico, nessuna ingegneria istituzionale, nessun modello socio-economico che possa fare alla vostra bisogna e liberarvi dalla distretta in cui vi trovate. Solo uomini nuovi, raggiunti dall'amore di mio Padre e sanati nello spirito e nel corpo, possono abitare nel mondo nuovo che io ho inaugurato in un Venerdì per voi tragico, ma per me glorioso, della storia.
La salvezza poi che io vi prometto, vi offro è questa, annotatela bene sui vostri taccuini e annunciatela a tutti:

A) La mia salvezza non si realizza subito come vorrebbe la vostra inguaribile impazienza. E’ una gestazione lunga; porta sì alla vita, ma passando attraverso la morte, non quella ultima, ma quella quotidiana, giorno dopo giorno.

B) Questa mia salvezza non si realizza distruggendo i malvagi, con la scure e il fuoco inceneritore, come in buona fede credeva anche l'ottimo Giovanni, il battezzatore, e come anche voi desiderereste, dopo esservi cautelativamente, ma abusivamente, collocati nella schiera dei giusti.

C) La presa di posizione ultima e definitiva di Dio nei confronti del mondo peccatore è quella che si rileva nelle mie opere: un aiuto generoso e gratuito per risanare la miseria umana e ridare così ad ogni uomo la forza di affidarsi a Dio con fede e speranza.
Il giudizio di Dio è rimandato alla fine. Con me inizia il tempo della misericordia, della pazienza e del perdono per tutti.

D) Io non sono venuto solo ad eliminare il male nelle sue conseguenze, ma son venuto a curare il cuore violento dell'uomo, laddove il male si progetta e si produce.
Non son venuto a sterminare i malati di cuore, ma ad offrire loro guarigione e vita.

E) Ai vostri delitti non seguirà la vendetta della giustizia divina, perché me ne farò carico io dinanzi al Padre. La mia obbedienza a lui mi ha reso tanto pieno di verità, di amore e di giustizia da poter riversare su tutti gli uomini questi beni di salvezza e di vita.
Sono io quel Servo obbediente e sofferente che non dice a voi: "morirete", ma dice: "morirò io al vostro posto e la mia morte sprigionerà una potenza di vita per salvare tutti i peccatori".

"E beati voi se non vi scandalizzerete di me"

Quando in me povero, sconfitto, incompreso, in compagnia di lebbrosi, prostitute e sbandati, si manifesterà e verrà a voi un Dio diverso da quello che vi aspettate e credevate  giusto.
Questo è il Gesù-Messia che viene a noi per salvarci, per liberarci da mali impossibili, per guarire le nostre ferite profonde, per strapparci dagli abissi della disperazione e far fiorire la nostra esistenza rattrappita dalla paura e dallo sconforto.
Se ci lasciamo salvare da questo amore vi diventiamo anche noi salvatori col nostro amore.

sabato 7 dicembre 2019

Solennità dell'Immacolata. Riflessioni don Pietro


1. In Maria Immacolata possiamo contemplare il primo stupendo frutto della redenzione:
Con lei la persona umana è recuperata all'integrità del progetto di Dio.
Il peccato che sembrava connaturato all'uomo viene distrutto, reso estraneo.
La speranza si riempie di consolanti realtà e si supera ogni rischio di illusione.
A ben comprendere tutto questo ci aiuta la prima lettura che è come un affresco sulla condizione umana prima della redenzione

2. Prima lettura: Genesi, 3, 9-15. 20

L'uomo e la donna hanno violato il comandamento di Dio per raggiungere una impossibile autonomia da lui,
Hanno considerato Dio come un loro avversario e la sua legge come un limite insopportabile.
hanno creduto di trovare la libertà affermando come assoluto il loro desiderio.
Questo evento passato, delle origini della vita dell'uomo, è ancora attuale. Quello che la Bibbia narra l'inizio della storia umana rimane vero ancora oggi, si ripete sotto forme diverse in ogni tempo.
Il peccato originale contiene in sé il peccato di sempre e ne evidenzia la grande malizia.
Il brano della Genesi descrive in modo magistrale gli effetti del peccato:
il primo effetto è l'incapacità dell'uomo di stare alla presenza di Dio. "Il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: dove sei? Rispose: ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura perché sono nudo, e mi sono nascosto".
Significativa è già la domanda di Dio: "Dove sei?". Vuol dire che l'uomo non è là dove dovrebbe essere, che si è determinato già uno scarto tra ciò che l'uomo sarebbe dovuto essere secondo il pensiero di Dio e quello che realmente è diventato.
L'uomo cioè non è più quello che dovrebbe essere, non è più un là dove dovrebbe essere. Una vera disgrazia! Sperimentare l'amarezza di questa disgrazia è avere il senso del peccato.
L'uomo dice: "ho avuto paura perché sono nudo e mi sono nascosto".
L'uomo dunque non è, come dovrebbe, alla presenza di Dio, ma abita, come non dovrebbe, nel luogo della paura.
"Sono nudo": la nudità esprime la condizione di debolezza che è propria della natura umana dinanzi alla grandezza del mondo e alle potenze che lo inabitano. Questa fragilità incute paura all'uomo. Avesse avuto fede in Dio, fosse vissuto sotto il suo sguardo paterno, avrebbe fugato ogni timore. Questo nasce dal fatto che l’uomo non  è al suo posto davanti a Dio, si è nascosto a Lui e si trova solo di fronte all’immensità di un mondo a lui indifferente
Ma non basta: estraniato da Dio l'uomo è diventato anche sospettoso nei confronti della donna che pure aveva considerato "osso delle mie ossa e carne della mia carne".
Ora la donna appare all'uomo come una estranea cui far portare tutto il peso del peccato e della punizione: "la donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato del frutto dell'albero ed io ne ho mangiato".
E così viene meno la solidarietà tra uomo e donna e questo non fa altro che rendere ancora più pesante la condizione di debolezza e di solitudine.
Infine: la donna chiama in causa il serpente che l'ha ingannata.
Figura inquietante quella del serpente: nel mondo che è stato creato da Dio e che quindi in radice è "molto buono" c'è però un serpente che può ingannare. Per l'uomo, cioè, esiste il rischio concreto di essere ingannato, di essere trascinato lontano da Dio con l'illusione di una strada facile e autonoma di felicità.
Domandiamoci: non è forse così anche oggi? Non succede forse che il mondo -certo buono- può diventare tentazione di idolatria?

Il Vangelo: Luca 1, 26-38

Questi elementi richiamati che descrivono la fisionomia spirituale dell'uomo decaduto fanno risaltare il messaggio positivo che è presente nella figura di Maria, nel suo itinerario di vita e di santità. Tentiamo una lettura sinottica, in controluce, tra la prima lettura e il Vangelo.

L'uomo peccatore è incapace di stare davanti a Dio, si nasconde a lui.
Maria di Nazaret al contrario vive la sua esistenza come uno stare alla presenza di Dio

Adamo cerca la sua realizzazione allontanandosi dalla volontà di Dio
Maria di Nazaret al contrario fa dell'obbedienza la scelta essenziale della sua vita: “ Eccomi solo la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola”.

Adamo ed Eva hanno paura di Dio, sospettano che la sua volontà su di loro sia arbitraria e tirannica.
Maria al contrario si affida al progetto di Dio con docilità piena e fiducia totale.



Adamo ed Eva, rompendo il rapporto con Dio, sperimentano anche incomprensione, egoismo e conflitto nella loro relazione.
Maria di Nazaret, al contrario, aderendo a Dio, compie un servizio a vantaggio dell'intera umanità.

Eva si lascia prendere e dominare dal serpente.
Maria di Nazaret, al contrario, si lascia invadere dall’amore di Dio, tanto che l'Arcangelo la saluta come “piena di grazia”.

Così in questa creatura è recuperata la bellezza originaria della persona umana, quella bellezza che il peccato aveva deturpato. Forse per questa bellezza la religiosità popolare ha esaltato Maria contornandola di un alone di mistica ammirazione. Per molti Maria è diventata la figura eccelsa, l’immagine di quello che nessuno di noi è. Attenti però: quello che la vera fede vuole dirci è esattamente il contrario. Maria infatti, se è l'immagine di ciò che nessuno di noi è mai stato con le sue forze, è soprattutto il prototipo di ciò che Dio in Gesù Cristo può fare di ciascuno di noi. Maria, allora, non è l'ideale perduto o irraggiungibile, ma il futuro proposto da Dio come possibile con la sua grazia, il nostro  consenso e la nostra collaborazione.

venerdì 29 novembre 2019

Prima Domenica di Avvento. Le riflessioni di Don Pietro


Buon Nuovo Anno Liturgico a tutti. Ecco un piccolo sussidio per iniziarlo bene con la Prima domenica di Avvento



1. L'avvento


L'avvento è il tempo nel quale la comunità credente ripercorre l'attesa del Messia e, poi, ne accoglie La venuta nel tempo.
L'avvento è il tempo del Dio che viene per offrire all'uomo la sua compagnia, per liberarlo dalla solitudine e dall'angoscia cui lo spinge la cultura del presente mentre l'uomo è fatto per l'eterno. L'avvento e anche il tempo della risposta gioiosa e confidente dell'uomo. È un tempo per vivere rapporti nuovi e, così, realizzare il ideale della creazione compromessa dal peccato.

2. Le letture bibliche di questa domenica

A. San Paolo.

La storia è orientata al compimento del Giorno del Signore. La notte è lunga: da qui smarrimento e angoscia nei credenti. Ma la notte è anche avanzata: dunque siamo vicini all'alba.
Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo attendere e sperareil futuro di Dio. Questo futuro di Dio viene inatteso e improvviso. Il futuro di Dio è  Gesù Cristo al quale dobbiamo sottometterci e del quale dobbiamo rivestirci. Il futuro di Dio è la rivelazione piena dell'amore di Dio.
Il credente in Cristo non segue i richiami della carne, cioè l'egoismo, nei suoi desideri. Il credente si lascia guidare dallo Spirito di Dio che è amore e santità. Il credente fa diventare presente il futuro che spera modellando la sua vita su Cristo.

B. Il Vangelo


Il futuro - è questo il messaggio del Vangelo di oggi - viene anche come giudizio di Dio.
Un giudizio che separa due uomini. Un giudizio che viene improvviso e inatteso, come è venne il diluvio. Un giudizio incerto circa l'ora e il modo: bisogna solo essere sempre pronti e preparati.

C.  lsaia


Isaia descrive il suo grande amore per il tempio del Signore. Al tempio egli vede convergere tutti i popoli perché lì finalmente la giustizia e la pace incontreranno le promesse di Dio.
Il profeta, però, si rivolge solo a gente che spera e attende, non agli scettici, ai disincantati, ai ripiegati su se stessi.

3. Spiritualità del tempo di avvento

Bisogna uscire dal torpore e dall’assopimento spirituale.
Occorre molta attenzione per cogliere i segni del Signore che viene, che  sempre viene.

domenica 24 novembre 2019

SOLENNITA' DEL CRISTO RE. LA RIFLESSIONE DI DON PIETRO

1.  Il senso della festa
La festa di Cristo Re vuol essere ed esprimere la lode riconoscente della Chiesa al suo Salvatore.
Acclamando Re e Signore dell'universo Gesù Cristo la Chiesa vuole attribuire al lui il titolo più appropriato ed elevato, quello che solo al lui conviene perché solo da lui deriva ogni salvezza.
Purtroppo la nostra cultura non possiede parole forti che riescano ad esprimere tutto quanto si vorrebbe dire di Cristo. Gli ebrei potevano dire Messia, i greci  Signore, i latini Imperatore, le altre culture antiche potevano usare il titolo di Re per evocare un potere sconfinato e salvifico.
Per noi, invece, una volta svuotata del suo contenuto sacrale la nozione di autorità, tutte queste parole risultano prive di forza e di valore reale. Che titolo, dunque, potremmo dare Gesù per tutto quello che di sommo e di inaspettato egli rappresenta per noi?
La liturgia usa ancora il titolo di Re, ma avverte il bisogno di premettere molte precisazioni e spiegazioni per giustificarne l'applicazione Gesù.
Egli infatti è Re, ma in un senso totalmente diverso da come lo sono le figure largamente squalificate delle moderne monarchie e anche da come lo erano i potenti sovrani del passato.
Egli è Re nell'abbassamento è nell'abbandono della croce. Lì Gesù è incoronato Re e lì ha inizio la sua regalità salvifica e portatrice di vita eterna. Perciò in questa festa il brano evangelico della crocifissione
2.   Il Vangelo della crocifissione
Sul calvario i soldati, oltre che con le loro lance, tormentano il Cristo in croce con lo scherno, l’arma più vile che la ferocia umana possa brandire all'indirizzo e al cospetto di un morente.
Agli occhi della soldataglia un re incapace di salvare se stesso, il suo ruolo regale, l’onore per la sua figura, merita solo disprezzo e scherno. Prima dei soldati erano stati i capi a schernirlo, a sfidarlo: "Ha salvato gli altri, salvi se stesso!".
Poi a farlo sarà uno dei malfattori crocifissi  con lui: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi".
Luca per ben tre volte, mentre Cristo è in croce, parla di salvezza: evidentemente è su questo tema che intende concentrare e richiamare l'attenzione.
È come se Luca volesse dire: "Se quest'uomo è capace di dare salvezza a sé e agli altri, allora e solo allora la sua pretesa di essere il Figlio di Dio, il restauratore dell'umano, non è assurda  e  mistificatrice, ma approvata, legittima e noi possiamo riconoscerlo come vero Re-Salvatore e possiamo affidare a lui con fiducia le nostre esistenze.
Ebbene, che Gesù morente in croce sia vero e unico Salvatore, in un modo però inatteso, imprevisto, risulta dal dialogo con lui dell'altro malfattore.
Anch'egli desidera la salvezza. Però nulla pretende e soprattutto non pretende che essa consista nella sua volontà, nel suo desiderio che in quel momento non poteva essere altro che quello di scampare alla morte.
Per lui la salvezza si fa operante e presente nel momento in cui riconosce la verità di Gesù e su Gesù proclamandolo innocente e abbandonandosi con fiducia alla sua persona. Gesù regna dunque quando l'uomo, l’uomo peccatore in specie, diventa capace, perché investito di una luce superiore, di annunciare la verità sfuggendo alla menzogna del mondo.
Nell'innocenza di Gesù il malfattore intravede una particolare e nuova dignità regale: Gesù infatti è riconosciuto da lui come Messia e Salvatore, non perché è il più forte come gli altri pretendevano fosse, ma perché è giusto agli occhi di Dio. Per lui l'innocenza di Gesù merita fiducia proprio perché è un'innocenza sconfitta degli uomini ma approvata da Dio. In questa proclamazione di innocenza da parte del malfattore, Dio esercita la sua sovranità in quanto approva il giusto Gesù e condanna i colpevoli che lo mettono a morte.
Col pentimento, poi, il malfattore convertito esprime anche la sua fede: egli non pensa come gli uomini, ma ormai ragiona e pensa come Dio.
Per tutto questo Gesù lo rassicura che avrà parte nel suo regno, non alla fine dei tempi, ma subito, perché lo seguirà e in lui è anticipato l'accesso alla meta definitiva, quel Paradiso da cui il Risorto regna e dove è già piena di beatitudine.
E così da malfattore quell'uomo si trasforma nella primizia degli gli uomini riconciliati da Cristo con Dio "con il sangue della sua croce".
Questo sangue versato esprime la sottomissione totale di Cristo alla volontà del Padre e la premessa della sua costituzione a Re e Signore. Appunto come dicevamo: è sulla croce che Cristo viene incoronato Re dell'universo.
Il primo a riconoscerlo e a proclamarlo tale è un malfattore. Che è anche il primo a sperimentare a proprio vantaggio la potenza di salvezza e di vita che promana dalla fedeltà del Crocifisso al Padre.
Conclusione
La chiave di volta della festa di oggi, dunque, ci viene offerta dal compagno di patibolo di Gesù, il primo santo canonizzato direttamente da Gesù.
Il ladrone è l'uomo del riconoscimento, il primo teologo del Dio nascosto, colui che ha saputo riconoscere il volto di Dio sotto l'immagine di un malfattore comune.
Questo ladrone riconosce il Cristo come Re e Salvatore non nel momento del trionfo, ma nel momento della sconfitta, del buio e del fallimento. Riconosce il Re quando è sfigurato, non quando è trasfigurato.
Ora spetta a noi riconoscere la regalità di Cristo nella sua umiliazione e fare le nostre scelte nei confronti di questo Re rigettato e condannato a morte.
È facile seguire il Gesù dei miracoli, arduo e seguire il Gesù dell'abbassamento. Ma la vittoria è promessa solo  a chi osa schierarsi dalla parte di questo Re perdente.

venerdì 15 novembre 2019

Riflessione, di Don Pietro, al Vangelo della 33° Domenica del T.O..


1. È diffusa in molte culture religiose la convinzione della fine del mondo.

L'universo, la terra e la storia umana, come hanno avuto un inizio così avranno un termine.
Per naturale consunzione secondo alcune tradizioni o accompagnato da sconvolgimenti cosmici in altre, provocati dall'ira di Dio a causa della malvagità umana.
Cosa dice in proposito il Grande Racconto cristiano sulla terra e sull'uomo così com'è andato sedimentandosi nella narrazione biblica?
Qualche secolo prima dell'era cristiana e per qualche secolo dopo di essa nasce un genere letterario cosiddetto "apocalittico” che con immagini terrificanti descrive la fine del mondo attraverso sconvolgimenti tellurici, astrali e storici.

2. Come si pone l'annuncio cristiano dinanzi a questo “topos”, a questo luogo abbastanza comune ai tempi di Gesù e nel corso dei secoli cristiani fino ai giorni nostri? Oggi, poi, siamo in presenza di straordinari eventi che imprimono una inedita accelerazione alla storia per questo  vedono il pullulare di sette millenaristiche che ripropongono il verbo della fine del mondo come evento prossimo venturo.
Per avere qualche linea di risposta, esaminiamo la parola di Dio di questa domenica.

3 . Iniziamo dal brano di Malachia che annuncia e promette l'avvento del "Giorno del Signore", la famosa categoria profetica del giudizio giusto di Dio sulla storia umana.
In quel giorno di Dio instaurerà il suo Regno di giustizia e di pace in un mondo rinnovato.
Quel Giorno sarà dunque l'evento decisivo e risolutivo della storia umana.
E  precisa il profeta: le prospettive mondane che celebrano i ricchi, i sazi, i potenti, i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia, saranno totalmente ribaltate e la vera beatitudine sarà destinata ai cultori del Nome di Dio, ai poveri (impoveriti!), agli affamati, ai sofferenti, ai perseguitati.

4. Nel Vangelo di oggi possiamo individuare quattro passaggi:

I° : Gesù parla della distruzione del tempio e di Gerusalemme. Perché il simbolo, cioè il tempio, deve cedere dinanzi alla realtà piena e cioè il corpo di Cristo e la vita del credente. Il tempio degenera da luogo di incontro con Dio e con i fratelli a simbolo ostentato di orgoglio, di potenza e di discriminazione. L'avvertimento è anche per certa nostra religiosità vuota, esteriore, alienante e disumanizzante.
II°:  Gesù parla del tempo della fine e ammonisce che non bisogna lasciarsi ingannare da falsi profeti e da messianismi ingannevoli. Cioè bisogna relativizzare le "grandezze" di questo mondo. Gli stessi eventi tragici -naturali e/o relazionali- non vanno letti come segni di un infarto, di un collasso della terra o della storia,  bensì come segni della precarietà, della finitudine e imperfezione di un mondo che non va, dunque, divinizzato.
Questi eventi sono la costante e non l'eccezione della vita del mondo. Bisogna imparare a conviverci considerandoli come occasione e sfida per il nostro impegno.
III° Gesù aggiunge che il tempo lasciato ai suoi discepoli è tempo di persecuzioni. Queste sono un segno per capire la natura del tempo in cui si vive: un tempo ancora parzialmente sotto il dominio della bestia. Sono, perciò, conseguenza del rifiuto opposto dai credenti alle pretese dei potenti a esercitare sul mondo una signoria che compete solo a Dio.
A queste pretese -nel confronto drammatico che si instaura tra luce e tenebre, bene male, mondo e Dio- non risponderanno i credenti, ma lo Spirito di Dio che parlerà in essi.
Allora i vincitori saranno i vinti e sarà capovolto l'ordine che il mondo vuole imporre.
Dovremmo chiederci chi sono oggi i perseguitati: La chiesa? Gli ebrei? Gli oppressi?

IV:  Gesù, infine, nelle persecuzioni invita alla pazienza e alla perseveranza nella fede. Il brano è una pagina di speranza: Dio e fedele e mantiene le sue promesse.
Conclusione
Circa la fine del mondo e della storia la parola di Dio non si interessa del modo e del tempo. Non soddisfa le nostre curiosità. Afferma solo che siamo già entrati negli ultimi tempi: occorre, perciò, vivere secondo questa misura. La parola di Dio parla di un ritorno di Cristo: la Parusia. Occorre, dunque, vivere nell'attesa vigile  e operosa del Signore che, si badi!,  viene e non solo verrà. Bisogna vivere senza ansia e senza oziosità. Bisogna scoprire il volto di Dio su quello del fratello.

sabato 9 novembre 2019

Commento al Vangelo di don Pietro

1. La questione posta dai Sadducei è: ci sarà e come sarà-se ci sarà- il dopo-morte?Per i Sadducei   non ci sarà: le difficoltà per loro  nascono dalfatto che essi concepiscono l'altra vita  in termini di continuitàcon la vita terrena.Per Gesù invece non esiste continuità rigida tra questo mondo,contingente e provvisorio, e il mondo futuro, la patria celeste.Per Gesù le caratteristiche del mondo dei risorti sono opposte aquelle attuali: perché là la vita continua la vita là non ha  né inizio, né fine conseguentemente non ha più luogo il matrimonio in vistadella generazione e non è più possibile la morte.Insomma: non ci sarà alcuna coordinata spazio-temporale, crocee dilizia, confine e limite dell'attuale esistenza.  Se   poi   -dice   ancora   Gesù-   si   vuole   affermare   qualcosa   dipositivo della vita futura, si deve partire direttamente da Dio eaffermare   che   i  figli   della   risurrezione  saranno  figli   di   Dio.Apparterranno    alla   vita   stessa  di   Dio   e   ne   condivideranno   lecaratteristiche   (amore   ed   eternità).   Se,   di   quella   esistenza,   sivuole un modello, non si deve più pensare all'esperienza terrena,ma agli angeli. I risorti saranno uguali agli angeli, quindi avrannouna nuova esistenza, quasi una nuova natura.La vita con Dio: il paradiso1. Ma non è facile pensare la vita con Dio essendo egli al di là diogni immaginazione e di ogni pensiero.Quando gli scrittori sacri parlano del mondo perfetto di Dio, dellasua   città,   lo   fanno   cancellando   da   questa   realtà   celeste   ognitraccia di male e di sofferenza.
2.   Forse   la   definizione   più   bella   della   Gerusalemme   celeste   èl'annotazione   semplicissima   dell'Apocalisse:  "Dio   asciugheràogni   lacrima   dai   loro   occhi".  Occhi   senza   lacrime,   dunque   inparadiso.
3.   Ma   un   occhio   può   essere   asciutto   per   cinismo   o   perindifferenza al dolore altrui, oppure per stoica sopportazione delproprio dolore, o perché le lacrime uno ormai le ha versate tutte.Ma la parola di Dio parla di occhi asciutti non perché non ci sonopiù   lacrime,   ma   perché   queste   lacrime   sono   state   asciugate.C'erano e sono state tolte. C'è stato dunque un cambiamento, unpassaggio.
4.   Per   i   credenti   le   lacrime   sono   il   tempo   presente,   la   storiaumana solcata dal partire come un volto lo è dal pianto.Dire allora che le lacrime sono asciugate significa affermare chesi è entrati in un nuovo tempo, nel futuro di Dio dove il patire ècancellato, assente.Questo   parlare   di  lacrime   asciugate   noi,   però,   possiamo   farlosolo dentro il tempo presente, che è il tempo delle lacrime. Solose  viviamo   nel   pianto possiamo pensare   e   sperare   un   mondosenza lacrime. Per chi è soddisfatto nel tempo presente questodiscorso è senza senso.
5. Dunque la parola di Dio pensa fondamentalmente il paradisocome la terra senza male, sognata da chi vive nella terra abitatadal male. Del resto non è questo il senso della descrizione biblicadel   paradiso,   dell'Eden? 
In   Genesi 2   -prima   del   peccato-   èpresentato   un   mondo   dove   l'esistenza   umana   è   pienamenteriuscita nelle relazioni che la costituiscono. In Genesi 3 si narrainvece   di   come   il   peccato   abbia   corrotto   e   rovinato   quellerelazioni. L'autore di quelle pagine,  ovviamente, non  era presente  primadella   colpa.   Egli   ha   esperienza   solo   del   mondo   ormaicompromesso   e   solo   per   antitesi   può   disegnare   quello
dell'innocenza. Così l'autore ha esperienza di un corpo (e di un io che lo  inabita)vissuto come opacità, come nido velenoso di concupiscenza e diaggressività   e   questo  gli   fa   pensare   per   antitesi   ad   un   corponudo   che   dice   trasparenza,   innocenza,   che   non   ha   nulla   danascondere   perché   tutto   è   a   posto,   in   un'armonia   senzadissonanze.Similmente   l'autore   fa   esperienze   di   relazioni   interpersonalisegnate   da   sospetto,   violenza   e   perciò   sogna   e   disegna   unmodello   relazionale   dove   regna   la   reciprocità   armoniosa,   lacomunione dei diversi. Infine l'autore conoscendo  solo una terra  maledetta, avara  neiconfronti dell'uomo, sogna fiumi irrigui e vegetazione fitta, terrabuona e zolle seconde.6. Paradiso, allora, è da pensare come compimento perfetto dellavita nelle sue fondamentali relazioni.Paradiso, in altri termini, come perfezione della comunione degliuomini   con   Dio   e   tra   di   loro,   come   circolazione   perfettadell'amore infinito di Dio.Quest'amore   ci   permetterà   di sperimentare,   di   vedere faccia   afaccia Dio e di  goderlo come bene che dà infinita  beatitudine.Altro non ci è dato di dire, anche perché la terra e il cielo che cisono promessi saranno nuovi…

domenica 3 novembre 2019

Riflessione sul Vangelo XXXI Domenica del Tempo Ordinario. Don Pietro

I racconti ascoltati su Gesù avevano probabilmente reso curioso  il pubblicano Zaccheo, un uomo inviso al popolo perché per conto dei romani riscuoteva le imposte, un lavoro per giunta non sempre esercitato con onestà ma fraudolentemente: insomma, uno sfruttatore, uno strozzino, un usuraio. Zaccheo aveva sentito anche di un suo collega di lavoro, Levi chiamato anche Matteo, anche lui pubblicano che,  chiamato da Gesù, aveva lasciato tutto ed era diventato suo discepolo e seguace. Forse in fondo al cuore di Zaccheo  era non del tutto spenta  la nostalgia per una vita diversa da quella che conduceva, una vita buona, onesta, che non gli attirasse l'antipatia e l'odio della gente. Anche noi, sia pur raramente raccontiamo a qualcuno di Gesù. Chiediamoci: il nostro parlare di Gesù fa nascere in qualche cuore la curiosità., il desiderio di incontrarlo,  conoscerlo e seguirlo? 
Zaccheo, per via della sua bassa statura, quando Gesù arrivò al suo villaggio non riusciva a vederlo perché lungo la strada c'era molta  folla assiepata. Allora Zaccheo pensa di risolvere il problema arrampicandosi su di un albero cresciuto lungo la strada. Da li avrebbe potuto godere di un splendido colpo d'occhio. La condizione di Zaccheo,  quella cioè di non poter vedere Gesù a causa della sua bassa statura, non è forse anche la nostra, di noi  cioè che non ci siamo impegnati a crescere nella fede percui dal basso della nostra mediocrità ci riesce difficile se non impossibile vedere il Volto del Signore, anche quando ci passa accanto? Inoltre, quale potrebbe essere per noi l'albero su cui salire per poter vedere Gesù? L'albero principale su cui poterci arrampicare è senza dubbio quello della parola di Dio, un albero con due rami: la preghiera incessante e una carità  viva e concreta, disinteressata e umile verso i fratelli. Ma poi anche da quest'albero occorre scendere, perché l'incontro con Gesù deve essere intimo, diretto, personale, non a distanza di sicurezza. 
Gesù vede quest'uomo a cavalcioni sul ramo dell'albero e, pur conoscendo la sua storia non proprio esemplare, non gli rivolge alcun rimprovero. Lo chiama affettuosamente e amichevolmente per nome e lo invita a scendere. Come mai Gesù conosceva Zaccheo? Forse qualcuno gliene aveva parlato? O Dio conosce ciascuno di noi per nome? Sceso Zaccheo dall’albero,  Gesù si autoinvita a casa sua per il pranzo. Noi, c’è da scommetterci, lo avremmo rimproverato,  ammonito e forse gli avremmo fatto una bella predica morale. Gesù no. Invitandosi a pranzo a casa del peccatore  gli manifesta attenzione, amicizia e in qualche modo  stima. Dicevamo che forse qualcuno aveva parlato a Zaccheo di Gesù. Domandiamoci: noi  parliamo mai di Gesù a qualcuno e di qualcuno a Gesù?
Da notare tre avverbi di tempo: oggi, subito e in fretta. Il vero amore evidentemente ha sempre premura, non tergiversa, non indugia, non attende, in qualche modo si precipita verso la persona da amare. L'altra espressione da sottolineare è pieno di gioia: non le ricchezze, non il successo dunque possono dare vera gioia, ma solo l’incontro trasformante con Gesù, la sorgente di ogni autentica letizia.
Gesù, abbiamo detto, si autoinvita a casa di Zaccheo che era peccatore senza attendere che lui gli rivolgesse l’invito. Questo perché Gesù, per entrare da noi e da tutti, non deve chiedere permesso a nessuno: noi infatti siamo suoi!
Da notare: Zaccheo prima incontra Gesù e poi si converte. Questo significa che la grazia precede ogni nostro sforzo morale. Non posso convertirmi, cioè, se l'amore di Dio non mi precede, non viene a me suscitando nel mio cuore il desiderio della conversione. Certamente in Zaccheo peccatore agiva da sempre lo Spirito come nostalgia di bene. Questo ci apre il cuore alla speranza. Mai dobbiamo disperare di noi e degli altri: lungo la strada dei nostri erramenti  c'è sempre in agguato Colui che può amarci, redimerci, trasformarci. Basta salire e scendere da qualche albero…

sabato 2 novembre 2019

Una lettura di fede della Commemorazione dei defunti. Don Pietro

1. Il senso della commemorazione dei defunti
Ricordiamo, oggi, i fratelli e le sorelle che hanno già attraversato il passaggio buio, difficile della morte e che ora sono presso Dio.
Ci conforta la certezza nella fede che nessun tormento può più toccarli e nessuna fragilità può più farli soffrire.
Essi hanno oltrepassato quella porta che  separa  questa vita dall'eternità.
Essi hanno seguito il Cristo, loro Signore, lungo il percorso che porta dalla morte alla vita. Essi stanno davanti a Dio e conoscono senza fatica il suo splendore ed il suo affetto di padre.
Essi ricordano al Signore di tenere sempre spalancate per noi le porte della sua casa. Cos’  anche noi, nonostante le nostre debolezze, tradimenti, ansie e paure, potremo un giorno essere ammessi nella dimora della luce.

2. Meditazione sul senso della morte dei propri cari
Dinanzi alla morte dei propri cari  c'è chi trova nella preghiera la forza per continuare a vivere, sperare, ad avere fiducia: la presenza del Signore lo sostiene.
C'è chi, invece, dinanzi alla morte non riesce ad esprimere con le parole il tumulto dei sentimenti: piange e tace.
Qualcuno sente nascere in sé la rivolta e la ribellione. Non solo non riesce a pregare ma protesta con Dio. Non è giusto, grida!
L’odierna commemorazione dia ad ognuno la possibilità di affrontare con serenità il problema della morte. E diventi un'occasione per pregare. Pregare è infatti sia rivolgersi a Dio con fiducia, sia meditare in silenzio, sia far arrivare a lui la nostra amarezza e protesta. Il Signore ha vissuto l'esperienza della morte. Ascolterà le nostre parole e ci darà una parola di conforto.

3. Rinnovare la nostra fede
La fede ci assicura che la nostra vita non è nelle mani di un cieco destino. La morte non potrà dire l'ultima parola sulla nostra esistenza. La nostra vita è nelle mani di Dio. La parola di Dio ci garantisce che Dio si prende personalmente a cuore la nostra vita. Egli non c'abbandonerà alle tenebre, ma ci condurrà verso la vita che dura per sempre.
Anche di fronte alla morte noi ci fidiamo di Dio.
La buona notizia consegnata alle Scritture ci ricorda che Gesù ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra vita, conoscendone gioie e dolori.
Egli non ha evitato la morte ma nel suo amore per Dio e per noi l'ha affrontata senza paura.
Per questo, per il dono che  ha fatto di tutto se stesso fino alla morte, e alla morte di croce, Dio lo ha risuscitato e gli ha dato una gloria senza misura. Ha fatto di lui il primogenito dei viventi.
Ora noi abbiamo il suo Spirito che anima questa nostra vita e la conduce verso il compimento. Ci sostiene nello sforzo di cercare di amare Dio sperando nel suo regno.

mercoledì 30 ottobre 2019

UNA LETTURA DELLA SOLENNITA’ DI TUTTI I SANTI. Don Pietro

1. I santi non sono eroi, superman, taumaturghi che operano miracoli. E neppure sono i "perfetti". Tanto meno dobbiamo vedere i santi come asceti severi che hanno rinunciato ad ogni gioia del vivere.

2. Essi semplicemente sono quelli resi capaci dalla grazia corrisposta di essere liberi da sé stessi, poveri di sé perché la loro fiducia totale è riposta esclusivamente  in Dio.
Santi sono tutti i misericordiosi. Ogni santo ama tutto e tutti. Per sempre. Soprattutto  ama gratuitamente.
Santo è quel contadino che ringrazia Dio per il buon raccolto ed anche se è venuto scarso o è stato distrutto dal maltempo. 
Santa è quella casalinga che ogni giorno accudisce con fedeltà e amore attendendo con costanza ai ripetitivi lavori domestici. 
Santo è l'operaio che compie con spirito di sacrificio  col senso del dovere il suo lavoro. 
Santo è lo studente che si prepara alla vita non per conseguire successi suoi ma per servire al meglio i fratelli con il suo impegno professionale. Santa è la portinaia che accoglie le persone con un sorriso, con pazienza, con amabilità. 
Santo è il malato che non soo non bestemmia Dio, ma lo ringrazia perché può partecipare alla croce di Cristo. 

3.  Ci sono delle immagini che possono aiutarci a comprendere un po' meglio quel mistero sono il santo e la santità.
Il santo è come un flauto: come da questo strumento, dai suoi buchi, escono suoni e melodie, così dalla povertà accolta  da una persona, Dio può ricavare stupende armonie.
Il santo è come uno specchio: investito dai raggi del sole lo riflette sugli altri w sul mondo illuminandoli.
Il santo è come il vetro di una finestra, il suo  vano : lascia che entri la luce, il vento dello Spirito, e il sole della parola di Dio.

4. La santità non è un privilegio per le anime belle.. Tutti vi sono chiamati. La nostra più grande tristezza è quella di non essere santi.
 Ma quali sono le vie che conducono alla vera santità? 
La risposta del Vangelo di oggi è una sola.: le Beatitudini.

sabato 26 ottobre 2019

Riflessioni di Don Pietro

La parola di Dio di questa Domenica contiene un forte  invito a tutti noi a verificare l'autenticità della nostra esperienza religiosa.
Per discernere questa autenticità in particolare il Vangelo ci offre criteri preziosi:
non si tratta di compiere dei riti ottemperando a delle prescrizioni perché ci sia autenticità
non basta neppure esibire una pagella di condotta religiosa con buoni voti.
neppure una fedina morale illibata, integra, può bastare allo scopo.
Una esperienza religiosa autentica si ha quando:
Dio ci incontra, ci guarda, ci accoglie e stringe un'alleanza d'amore con noi. Solo allora "penetriamo le nubi" (prima lettura)
Nel Vangelo abbiamo due modelli di esperienze religiose legate a due figure. Un modello è negativo, l'altro è positivo.
Il modello negativo:
Il "fariseo" fallisce il suo tentativo di incontrare  Dio perché:
non è capace di guardare a fondo dentro di sé e non vede il baratro tenebroso che gli si spalanca dentro. Ama la sua immagine esteriore e ha ridotto anche la sua religiosità a manifestazione, a spettacolo, a esibizionismo e culto di sé. La sua buona coscienza è il risultato, dunque, della sua cattiva vista. Gli capita ciò che capita alle persone che si credono importanti, soprattutto se pubbliche: a furia di essere adulate, si convincono di essere davvero grandi.
attribuisce unicamente a sé il bene reale che riscontra nella sua vita. Non comprende che Dio è la fonte di ogni bene e opera giusta.
prega tra sé: cioè prega dentro di sé, si prega addosso. E’ tutto compiaciuto della sua immagine. E’ un narcisista inguaribile.
non ha carità: infatti disprezza il pubblicano. Un disprezzo che lo porta al razzismo. Cos'altro è il razzismo se non il vanto della propria diversità avvertita e vissuta come superiorità?
infine: non ha il senso del peccato suo personale e della sua complicità con quello degli altri
Il modello positivo:
il pubblicano è nella verità: sa di essere un nulla e sa che solo Dio è tutto.Riconosce il suo nulla e si affida al tutto di Dio.
se una virtù può esibire davanti a Dio è l'onesto riconoscimento di non avere virtù.
non rifiuta il giudizio che pesa su di lui. Non cerca giustificazione ma si pente, invoca pietà e chiede misericordia
il pubblicano sa che in se stesso non trova rimedio alla sua condizione di lontananza dalla giustizia. Ma sa anche che la soluzione è nella grazia del perdono che Dio gli offre e che deve accogliere con fede impegnandosi, dopo la riabilitazione, a riparare il male compiuto e compiendo gesti di generosità, come ad esempio fa Zaccheo.
Conclusione
Perché ci sia autentico incontro con Dio occorre:
pregiudiziale  consapevolezza e riconoscimento della propria nullità e miseria di creature di fronte a lui, il Creatore. Questa è l'operazione verità.
convinzione che l'amore di Dio è così grande da non escludere nessuno, neanche chi ha vissuto o vive tutta la propria esistenza sotto il segno e la schiavitù del peccato. Questa è l'operazione speranza: il Dio di Gesù Cristo ha una buona disposizione verso i peccatori. Detesta solo i presuntuosi, fossero anche buoni. 
occorre più amore verso il prossimo. Questa è l’operazione amore
Assolutamente insufficiente è invece solo limitarsi a:
pagare le decime
digiunare due volte alla settimana.
Cioè oggi:
andare a Messa
devolvere l'otto per mille alla Chiesa cattolica e poi disprezzare e volere che stiano alla larga da noi zingari e stranieri.


sabato 19 ottobre 2019

Riflessioni sulla 30° domenica del T. O.. Don Pietro


La parola di Dio di questa Domenica contiene un forte  invito a tutti noi a verificare l'autenticità della nostra esperienza religiosa.
Per discernere questa autenticità in particolare il Vangelo ci offre criteri preziosi:
non si tratta di compiere dei riti ottemperando a delle prescrizioni perché ci sia autenticità
non basta neppure esibire una pagella di condotta religiosa con buoni voti.
neppure una fedina morale illibata, integra, può bastare allo scopo.
Una esperienza religiosa autentica si ha quando:
Dio ci incontra, ci guarda, ci accoglie e stringe un'alleanza d'amore con noi. Solo allora "penetriamo le nubi" (prima lettura)
Nel Vangelo abbiamo due modelli di esperienze religiose legate a due figure. Un modello è negativo, l'altro è positivo.
Il modello negativo:
Il "fariseo" fallisce il suo tentativo di incontrare  Dio perché:
non è capace di guardare a fondo dentro di sé e non vede il baratro tenebroso che gli si spalanca dentro. Ama la sua immagine esteriore e ha ridotto anche la sua religiosità a manifestazione, a spettacolo, a esibizionismo e culto di sé. La sua buona coscienza è il risultato, dunque, della sua cattiva vista. Gli capita ciò che capita alle persone che si credono importanti, soprattutto se pubbliche: a furia di essere adulate, si convincono di essere davvero grandi.
attribuisce unicamente a sé il bene reale che riscontra nella sua vita. Non comprende che Dio è la fonte di ogni bene e opera giusta.
prega tra sé: cioè prega dentro di sé, si prega addosso. E’ tutto compiaciuto della sua immagine. E’ un narcisista inguaribile.
non ha carità: infatti disprezza il pubblicano. Un disprezzo che lo porta al razzismo. Cos'altro è il razzismo se non il vanto della propria diversità avvertita e vissuta come superiorità?
infine: non ha il senso del peccato suo personale e della sua complicità con quello degli altri
Il modello positivo:
il pubblicano è nella verità: sa di essere un nulla e sa che solo Dio è tutto.Riconosce il suo nulla e si affida al tutto di Dio.
se una virtù può esibire davanti a Dio è l'onesto riconoscimento di non avere virtù.
non rifiuta il giudizio che pesa su di lui. Non cerca giustificazione ma si pente, invoca pietà e chiede misericordia
il pubblicano sa che in se stesso non trova rimedio alla sua condizione di lontananza dalla giustizia. Ma sa anche che la soluzione è nella grazia del perdono che Dio gli offre e che deve accogliere con fede impegnandosi, dopo la riabilitazione, a riparare il male compiuto e compiendo gesti di generosità, come ad esempio fa Zaccheo.
Conclusione
Perché ci sia autentico incontro con Dio occorre:
pregiudiziale  consapevolezza e riconoscimento della propria nullità e miseria di creature di fronte a lui, il Creatore. Questa è l'operazione verità.
convinzione che l'amore di Dio è così grande da non escludere nessuno, neanche chi ha vissuto o vive tutta la propria esistenza sotto il segno e la schiavitù del peccato. Questa è l'operazione speranza: il Dio di Gesù Cristo ha una buona disposizione verso i peccatori. Detesta solo i presuntuosi, fossero anche buoni. 
occorre più amore verso il prossimo. Questa è l’operazione amore
Assolutamente insufficiente è invece solo limitarsi a:
pagare le decime
digiunare due volte alla settimana.
Cioè oggi:
andare a Messa
devolvere l'otto per mille alla Chiesa cattolica e poi disprezzare e volere che stiano alla larga da noi zingari e stranieri.


domenica 13 ottobre 2019

Lettura della 28° domenica T.O.. Don Pietro


Il rapporto salvezza-fede costituisce il contenuto centrale del messaggio affidato alla parola di Dio di questa domenica.

A) Della salvezza offerta da Dio i brani proposti oggi sottolineano innanzitutto la universalità e la gratuità
1l'universalità
Ogni uomo è destinatario del dono di Dio, cioè del suo amore che è vita e  dà vita.
L'essere straniero rispetto al popolo che Dio si è scelto, il popolo di elezione, Israele, non costituisce condizione di svantaggio, ne è  motivo di esclusione. Anzi sembrerebbe esattamente il contrario: per l'occhio di Dio la condizione di straniero sembra costituire un titolo preferenziale rispetto al dono della salvezza.
Straniero è Naaman il Siro guarito da Eliseo e straniero è uno dei dieci lebbrosi guariti da Gesù. Quest'ultimo è uno straniero particolare, è, cioè, un samaritano, vale a dire un eretico rispetto alla religione giudaica. Ebbene Dio non è tenuto a rispettare e difatti  non tiene conto delle scomuniche delle Chiese e delle religioni. Quando Egli vuole salvare un uomo lo raggiunge con il suo amore cui nessuno, neppure la Chiesa, può porre limiti o imporre direzioni.
2.la gratuità
Questa emerge proprio dalla condizione di samaritano di uno dei dieci lebbrosi e dalla condizione di lebbrosi di quanti ottengono la guarigione.
L'essere samaritano equivaleva per Israele ad uno status di indegnità religiosa. Mentre l'essere lebbroso significava uno stato di indegnità fisica, essendo la lebbra considerata come segno e prova della maledizione di Dio. Insomma Dio guarisce miracolosamente proprio quelli che per Israele non erano in condizioni di meritare la salvezza. Appunto: la salvezza non è qualcosa che si può meritare. È dono gratuito dell’amore di Dio. È grazia. Precede la stessa fede. Dopo viene la fede  che è segno di salvezza totale
SALVEZZA ED UMILTÀ
Se la salvezza non può essere meritata, rivendicata come  un diritto, essa però può essere desiderata e favorita dal nostro comportamento.
Namaan, il Siro, il lebbroso, ottiene la salvezza (fisica e spirituale) perché, vincendo il suo orgoglio e rinunciando alla sua volontà umana, si sottopone ad azioni progressive di umiliazioni:
dalla sottomissione al suo  Re passa a quella al profeta e poi addirittura a quella del servo del profeta;
dalla sua preferenza per i fiumi meravigliosi di Damasco passa all'esiguo  fiume Giordano;
dal suo desiderio di grandi rituali, magici e spettacolari, passa al semplice gesto di immersione nel Giordano.
Ecco: per essere guariti nel corpo e nello spirito, per avere salvezza da Dio, occorre umiltà e obbedienza. Senza questi atteggiamenti non c'è salvezza. Non basta appartenere al popolo eletto o alla Chiesa.
 I SEGNI DELLA SALVEZZA ACCOLTA IN PIENEZZA
Dei dieci lebbrosi guariti, nove vanno a Gerusalemme, al Tempio, a presentarsi ai sacerdoti che  dovevano reintegrarli  nel tessuto sociale dopo averne constatata la guarigione. Uno solo torna indietro da Gesù a ringraziarlo per il dono della guarigione. Solo quest'ultimo è veramente e pienamente salvato. I nove -nota Luca- sono  sanati solo nel corpo.  Il decimo è salvato in pienezza perché ha compreso che il Tempio è solo un simbolo di Dio. Dio veramente abita in Gesù, la sua umanità è il vero Tempio, il luogo della presenza e dell'incontro con Dio. Senza Gesù il Tempio, la religione, non hanno senso salvifico, sono privi dell'essenziale.
I nove guariti adempiono le prescrizioni della Legge e sono "buoni" ebrei, israeliti osservanti e basta. Non vanno oltre.
Il decimo, invece, supera il livello della Legge e si apre a ciò  che non nasce dalla Legge bensì dal cuore e dalla grazia. Si apre cioè al ringraziamento e alla lode a Dio.
 ringraziamento
La grazia non ci pone solo in uno stato di grazia davanti a Dio, ma ci pone in azione di grazie, in ringraziamento. Chi ha ottenuto grazia, rin-grazia. Chi ringrazia lo fa perché comprende che niente gli è dovuto e tutto è grazia, tutto è eucaristia.
culto a Dio

L’uomo salvato non celebra più se stesso o l'uomo, ma celebra Dio.