Le comunità cristiane post-pasquali attendevano come imminente il ritorno glorioso del signore Gesù, la sua parusia. Questo clima di attesa, protraendosi molto, aveva indotto non pochi al disimpegno, in qualche caso a un vero e proprio ozio spirituale e materiale, come nella comunità dei Tessalonicesi. Paolo indirizzerà a quei cristiani moniti molto severi. Verosimilmente anche nel suo gruppo Matteo deve aver registrato un calo di tensione spirituale e morale, riconducibile pur’esso a una diffusa delusione per il ritardo del Signore. Memore di una parola di Gesù sul comportamento da tenere proprio nell'eventualità di un differimento della sua venuta, Matteo ripropone la parabola delle dieci vergini, adattandola al momento particolare che la sua Chiesa stava vivendo.
La parabola ad alcuni è parsa parecchio inverosimile. E infatti certi particolari presentano un carattere più vicino all'allegoria che alla parabola. Tenendo conto di queste osservazioni, proviamo a leggerla come rivolta a noi che, similmente ai nostri antenati cristiani, viviamo nel tempo dell'attesa di un ritorno del Signore che sentiamo ancora lontano.
Gesù, annunciando il proprio ritorno, aveva già più volte esortato i discepoli ad una vigilanza attenta e operosa. Ora li invita ad essere prudenti e preveggenti, nel senso di attrezzarsi dell'occorrente nel caso in cui l'attesa della parusia dovesse protrarsi.
L'incontro tra il Signore che ritorna e l'uomo che lo attende era stato finora descritto da Matteo come rapporto padrone-servo. Con questa parabola il rapporto diventa sposo-sposa. Quest'ultima, cioè la Chiesa, è la realtà a cui alludono le dieci vergini. Non c'è dubbio che la metafora nuziale è molto più ricca di tonalità affettive e anche più biblica: basti pensare al profeta Osea.
La festa nuziale di cui parla il brano è ambientata nella notte. Metafora potente, la notte! Certamente la più idonea per alludere a quella condizione di buio profondo e in cui la creatura tanto spesso viene a trovarsi, prigioniera delle tenebre. Tenebre rotte soltanto dall'affanno e dal gemito dell'uomo; tenebre anche come allegoria del peccato e della morte.
Proprio nel cuore della notte, a mezzanotte, l'ora del trionfo massimo delle tenebre, man che l'ora più amata da Dio, accade l'imprevisto: Dio visita la sua creatura, la Chiesa, il mondo, per legare tutti gli esseri con un vincolo d'amore eterno e senza più ripensamenti. Dieci vergini escono incontro allo sposo. In questa breve notazione è racchiuso tutto il senso dell'esistenza: vivere è uscire, esodo permanente da quella tirannia che il proprio io faraonico vuole imporre su tutto, per scoprirsi viandanti tesi ad un incontro con Qualcuno che da sempre è già in cammino verso di noi.
Cinque di quelle dieci vergini sono prudenti perché portano con sé una scorta d'olio per le lampade. Le altre cinque, essendo stolte, non lo fanno.
Ancora una volta grano e zizzania insieme, pesci buoni confusi con i cattivi. Sarà così sino al ritorno dello Sposo, piaccia o no ai nostalgici del paradiso in terra e di una Chiesa già ora senza rughe e senza macchie.
Le cinque stolte erano comunque vergini. Evidentemente la verginità da sola non garantisce, se non si sposa con altre virtù, con la prudenza nella fattispecie. Prudenza, in questo caso, come preveggenza, accortezza, sapienza, discernimento, intelligenza, giudiziosità..., insomma tutto il corteo delle altre preziose virtù che rendono la prudenza indispensabile. Un dono dello Spirito, la prudenza, da invocare nella preghiera, da accogliere con cuore riconoscente, ma anche da coltivare esercitandola ogni giorno.
"Poiché lo sposto tardava, si assopirono tutte e dormirono".
Perché questo ritardo dello sposo?
Perché l'ora di Dio non sempre coincide con la nostra ora. Perché anche il suo ritardare è grazia per noi. Con l'attesa può crescere e diventare più vivo il nostro desiderio di lui e la sua assenza può diventarci salutarmente insopportabile. E intanto, mentre aspettiamo, possiamo purificarci, prepararci meglio all'incontro: il tempo, vuoto di per sé, c'è dato proprio per questo e possiamo anche, se è a una festa di nozze che dobbiamo andare, viestirci degli abiti della festa smettendo quelli logori della fatica e del pianto.
C'è, però, la tragica possibilità che le vergini, tutte e dieci, comprese le prudenti, si addormentino. Accade quando non riusciamo ad essere più uomini e donne dell'attesa di Qualcuno. Cioè quando non siamo più niente, perché la creatura altro non è che vuoto che anella a colmarsi, assenza assetata di compagnia, solitudine alla ricerca di un tu in cui ritrovarsi.
Accade all'uomo sazio che ha tutto e non è più in grado di accorgersi che manca di Tutto, che è di infinito la sete infinita che lo divora.
Accade quando non si è più capaci di vedere e interpretare i segni premonitori dell'arrivo dello sposo: la profondità della notte e il sonno dei cuori. Già, il sonno. Non è identico nelle dieci vergini. Quello delle stolte abbraccia anche il loro cuore. Nelle prudenti le membra esauste per il ritardo si abbandonano sì al sonno, ma il loro cuore veglia, presago delle visite notturne dello sposo. È il cuore ancora capace di sorpresa, aperto alla novità, consapevole che i giochi non sono mai fatti del tutto, il cuore che sta come sentinella sull'uscio a scrutare ogni impercettibile rumore di passi di viandante nella strada.
"A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro".
Chi sono quelli che debbono scuoterci dai nostri torpori grevi, snidarci dai rifugi onirici in cui amiamo rintanarci? Sono i profeti, i provocatori di coscienze intorpidite, i giusti con la limpidezza della loro vita; sono le moltitudini di uomini e donne in lamento e grido per l'oppressione che li sovrasta; è la chiesa quando lo Spirito la libera dal ripiegamento su se stessa. Ed è sempre un grido di gioia: ecco lo sposo, l'Atteso dei secoli, la speranza delle genti.
"Dateci del vostro olio...". "No..., andate piuttosto dai venditori e compratevene ".
Senza l'olio della fede-speranza-carità non può iniziare la festa. In oriente l'olio si offre all'ospite. Nel sogno dei profeti il suo fluire a fiumi giù per le valli è il segno atteso per i tempi messianici insieme con cascate di vino. Nella lettura devota dei rabbini l'olio simboleggia la giustizia messianica che avrebbe illuminato e rallegrato la terra.
Il rifiuto delle vergini prudenti di spartire il loro olio con le stolte non va imputato a egoismo o ad avarizia. Il tempo della condivisione è quello che precede l'arrivo dello sposo. Oltre quella soglia si è soli davanti a lui, ognuno con quello che è riuscito a portare nelle proprie mani. Del resto, verità, giustizia, sapienza, amore..., sono conquiste personali, fatiche non delegabili ad altri, esperienze fatte in prima persona anche se insieme con gli altri, mai vicarie. I compiti a casa non ce li può fare nessuno: al massimo qualcuno può aiutarci, mai sostituirsi a noi.
"E la porta fu chiusa".
Parola spaventosa. Decisione terribile. Dietro quella porta spalancata, nella sala illuminata a giorno, gioia, danze, festa: la letizia dell'amore, il gaudio di un incontro di intimità e comunione. Fuori, "pianto e stridore di denti". In mezzo lo sposso nelle vesti di giudice e una sentenza agghiacciante: "non vi conosco". Eppure anche quelle cinque vergini erano state invitate alle nozze...
"Vegliate dunque".
La vita cristiana è vigilia per tutto l'arco della sua durata. È attesa delle nozze. Occorre prepararsi all'evento. La lampada rischia di spegnersi se non la si alimenta ogni giorno con l'olio della preghiera, del desiderio vivo di Dio, di quella carità operosa secondo la misura sovrabbondante del "discorso della montagna". È di amore che dobbiamo riempire questo frattempo di grazia che ci è concesso.
Per il mondo il tempo è denaro. Per il discepolo è grazia, tempo offertogli per amare Dio che per primo ci ama e quanti lui ama.