La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

venerdì 30 novembre 2018

I Domenica di Avvento anno C. Riflessioni di Don Pietro

1. Siamo nella paura

A) Siamo figli della paura.
Per l’uomo antico la sicurezza si fondava sulla convinzione della immutabilità degli astri, della natura. Per noi moderni si è fondata a lungo sull’aspettativa della stabilità delle istituzioni, della tradizione.
Questa sicurezza oggi è in crisi e ci domina la “paura di ciò che potrebbe accadere”.
Alla luce della fede dobbiamo saper leggere questo segno del tempo, che è la paura, per scoprire se, per caso, non ci sia in essa una saggezza preziosa per la vita. Intanto è scorretto sfruttare, sciacallescamente questa paura collettiva, per fini apologetici: infierire sulla perfidia dell’uomo e catturarlo per riportalo al nostro ovile.
In questa paura ci siamo anche noi, insieme a tutti; credenti e non credenti siamo partecipi di un comune destino. L’area delle certezze incrollabili è andata restringendosi anche dentro il perimetro ecclesiale.
Del resto l’esempio del Fondatore, Gesù, testimonia ampiamente come Egli non sia mai stato in un luogo sicuro, una oasi di pace lontana dai clamori del mondo, ma al contrario Egli è stato sempre tra i pericoli di un mondo che voleva braccarlo e non è scappato a mettersi in salvo, ma è andato incontro alla morte.

B) Dinanzi a questa paura collettiva da insicurezza dobbiamo esercitare il discernimento della fede:
La sicurezza perduta non derivava forse da ragioni umane, troppo umane, da sapienti accorgimenti nostri?
     La nostra (ormai smarrita) tranquillità non l’avevamo costruita chiamandoci fuori dal                     pianto degli uomini ed esonerandoci il più possibile dalle tribolazioni di tutti gli altri?
     Insomma ci eravamo costruita una sicurezza fondandola sulla carne e sul sangue, non sulla roccia che è Dio, con la sua Parola e il suo Spirito.
A noi ora è chiesta una sicurezza diversa: una sicurezza che sappia confrontarsi con la catastrofe che investe ogni cosa. Non la catastrofe come evento finale, ma come processo che investe ogni cosa portandola a lenta ma inesorabile consunzione.

2. Dentro la catastrofe.

Ebbene in questo processo di consumazione di tutto (i cieli e la terra) noi siamo profondamente immersi e coinvolti. E’ sempre in azione quello che gli psicanalisti chiamano “il principio di morte”.
La fede, alimentata dalla Parola di Dio, ci invita a non ostentare dinanzi a questo principio di morte una falsa sicurezza, ma a farci invadere dalla paura derivante dalla constatazione che tutto passa, tutto finisce. In questa paura è nascosta una profonda sapienza umanistica e cristiana.
E questo principio di dissoluzione non dobbiamo riferirlo solo alla terra, al cosmo, alle sue istituzioni, ma alla nostra vita personale che veleggia verso la morte, la fine di noi stessi.
Pensare che la catastrofe-morte riguardi il mondo, gli altri e non noi sarebbe avere il “cuore appesantito dalle dissipazioni” come dice Gesù nel Vangelo di oggi.
La catastrofe c’è e riguarda ciascuno di noi.
Accettare questa lezione di umiltà circa il destino della nostra carne può aiutarci a vincere parte almeno della superbia del nostro spirito.

3. Catastrofe e annuncio di fede.

Bisogna partire dall’umile accettazione di questa nostra condizione per comprendere e accogliere l’annuncio consolante e liberante che Gesù è venuto a farci: “Alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina!”.
In fondo alla catastrofe non c’è il vuoto, il nulla. C’è un Incontro. C’è un’Alleanza col Dio della vita. Questa è la promessa di Dio.
Noi crediamo nella promessa di Dio e nel Dio della promessa.
Questa è l’essenza della fede.
Ma, allora, se c’è questa promessa che già si è attuata nel Figlio, il nostro atteggiamento non può più essere di paura invincibile e devastante.
Per quanto passino i cieli e la terra, per quanto passa la mia esistenza, c’è una cosa che non passa: la Parola che mi promette la vita.
Allora la tragedia della fine la viviamo senza finzioni dentro di noi, ma la superiamo con l’attesa delle cose nuove che devono venire e che, nella forma delicata di timidi germogli, noi già vediamo spuntare qua e là sotto cumuli di foglie morte e imputridite.
La risposta della fede non è quella di piangere su queste cose morte o moribonde (lasciate che i morti seppelliscano i loro morti), ma di allearci con le cose nuove che Dio fa nascere e attraverso cui traspare l’adempimento della promessa.
Un adempimento sempre promesso e da attendere sempre come dono e futuro.
Il Signore è colui che viene. Il suo giorno non appartiene al passato, è futuro che irrompe nel presente, è “adventus”, qualcosa che viene verso di noi.
Questo irrompere di Dio è il processo di vita che Egli oppone alla catastrofe. Con questo processo dobbiamo allearci attenti a non mettere il piede sul germoglio nuovo che Egli ha già fatto nascere.
Aver fede è saper cogliere ciò che nasce come nuovo.
E così incontriamo il Dio vero non un Dio consolatorio che, poi, ci impedisce di cogliere la tragedia della condizione umana e di sperimentare la vera serenità interiore.
Incontrare il Dio vero significa anche essere liberi dalla paura.
Cosa può accaderci di irreparabile?
A chi è impegnato ad allevare il germoglio che è noto, non resta tempo per la paura.
Quel germoglio gli attesta che la vita vincerà sulla morte.
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi…”. Ma, chiusi dalla morte, quegli occhi si apriranno alla luce del giorno senza tramonto, il Giorno del Signore che viene

sabato 24 novembre 2018

SOLENNITA’ DI CRISTO RE. riflessione di Don Pietro

1. Cristo non voleva essere fatto "re". Ma la chiesa lo ha fatto lo  stesso.

Quella di Gesù è un'allergia verso la regalità di tipo ereditario. Anche suo Padre nel Primo Testamento rivela molte perplessità circa l'istituto monarchico.
Oggi il titolo di re e un po' anacronistico e anche parecchio logorato.

2. Eppure l'unico cui spetta il titolo di re è Gesù.

È raro un re che finisce arrestato, processato e condannato a morte.
È inaudito un re che serve e lava i piedi ai suoi sudditi.
È paradossale che il suo trono sia una croce, la corona di spine sul capo, mani e piedi crocifissi.

3. Perché una fine così gloriosa per gli uomini,  a Gesù fa guadagnare i galloni di re sul campo?

Perché Gesù è stato testimone di verità: e la verità è sempre crocifissa Perché è insopportabile per l'uomo
Perché il regno di Dio è riservato solo a chi serve e a chi ama.
Perché Gesù non ha rivendicato alcuna autonomia da suo Padre.

4. Anche noi come Gesù siamo chiamati a regnare

Saremo re solo servendo Dio, il prossimo, la terra.
Regneremmo solo testimoniandola verità.
Saremo signori solo sottomettendoci a Dio.

venerdì 16 novembre 2018

VANGELO DELLA DOMENICA 33 DEL T.O.. Riflessioni di Don Pietro

1. Apocalipsy now

La fine del mondo è una tema tornato di moda. La letteratura, il cinema, la pubblicistica utilizzano la grande paura diffusa nelle persone per riproporre temi apocalittici.
Ovviamente c'è anche chi specula e lucra su questa paura.
C'è chi gongola perché dinanzi all'avvilimento della cultura, dinanzi all'imbarazzo dei programmatori del futuro, vede gente che finalmente torna a Dio. In effetti assistiamo quasi esclusivamente ad un ripiegamento delle coscienze, ad una ripresa di contatto con i timori dei nostri padri.
Ma l'annuncio cristiano non è un annuncio della fine di tutte le cose, bensì del cominciamento di un mondo nuovo e di una nuova creazione. Questo nuovo inizio del mondo è qui, ora, nel tempo, anche se solo germinalmente. Non fosse così che "buona notizia" sarebbe il vangelo? Eppure nel genere apocalittico c'è una parte di verità. Bisogna coglierne la novità evangelica.

2. Il fallimento dell'ottimismo creaturale

Si è appena conclusa una stagione culturale che guardava sprezzante al passato, che pensava sempre alla fine del mondo, che era ossessionata della provvisorietà dell'umanità. Una stagione che considerava la storia come una marcia lineare verso mete gloriose. Il progresso illimitato, il divenire dello Spirito assoluto, l'umanità come nuova divinità del cosmo erano considerati autentici dogmi da non discutere.

Siamo chiamati a riprendere contatto con la verità delle Vangelo che impietosamente dichiara:

"Il cielo e la terra passeranno"

Il nostro mondo, il nostro ambiente vitale, sono provvisori.
Provvisoria è anche la nostra vita e provvisoria la vita dell'umanità.
Gesù esprimeva tutto questo con le figure letterarie del suo tempo che erano  impregnate di catastrofi astrali. Noi usiamo altri generi letterari: la bomba N, la bompa ecologica, quella demografica, la violenza, l'assurdo, l'angoscia...

3. La Parola nuova della fede

Con Gesù irrompe nel tempo il Regno di Dio

Il Regno come terremoto, uragano, capovolgimento di ogni realtà.
Meglio: il Regno come parto doloroso, ma perché veda la luce un mondo nuovo.
Per raggiungere il fine bisogna passare attraverso la fine.
Come è già accaduto a Cristo: la resurrezione attraverso e dopo la sua morte.

venerdì 9 novembre 2018

BREVE RIFLESSIONE SULLE LETTURE DELLA DOMENICA XXXII DEL T. O. Don Pietro

1. Prima lettura: la vedova di Zarepta

A. Alla povertà e alla carestia risponde  Dio col suo dono di pienezza.

Le vedove e gli orfani costituivano in quel tempo le categorie più indifese della comunità.
Ebbene Dio sceglie proprio una vedova per il sostentamento del profeta Elia.

B. Da notare che Elia era cercato a morte dalla perfida regina Gezabel e trova  salvezza presso la vedova di Zarepta.
Ecco: Dio  sa trarre il bene là dove l'uomo scorge solo il male.

C. L'episodio della vedova di Zarepta allude all'epoca messianica.

Dio realizza le sue promesse di abbondanza, di vita, di felicità, di pienezza proprio dentro la storia di dolore dell'uomo. 
Elia è il profeta obbediente  a Dio perché su sua indicazione si reca a Zarepta.
La vedova dà fiducia alla parola di Dio che il profeta Elia le proclama.
L'obbedienza e la fiducia costituiscono per il Nuovo Testamento la vera conversione per entrare nel Regno che viene.

D. La vedova del Vangelo è l'immagine positiva dopo quella negativa  incarnata dagli Scribi e dai Farisei.
Questi seguono una religione esibizionista,  esteriore, fatta di apparenze e di ricerca di elogi umani.
Gesù lodando la vedova ci undica come fare il bene:  nel nascondimento e nella ricerca non della propria dalla gloria, ma unicamente di Dio.
Può donare tutto, come fa Gesù, solo chi è povero di cuore.

domenica 4 novembre 2018

Riflessione di Don Pietro al Vangelo della 31° domenica del T.O.

"Ascolta Israele!" (Dt 6, 4ss)

1. La parola

L’ebraismo è spesso considerata come la religione del Libro o della Parola. In realtà essa è innanzitutto  la religione dell’ascolto. Un ascolto  che deve precedere il culto, la preghiera, l'azione.
Il pio israelita la parola di Dio deve legarsela al braccio: perché essa sia guida alla sua azione.
Deve appendersela alla fronte: perché  guidi il suo pensiero.
Deve appenderla gli stipiti della porta di casa: perché essa guidi la sua vita sociale, la vita fuori di casa.

2. Nel libro del Deuteronomio, al cap. 4, sul monte Sinai Dio si rivela a Mosè  solo come  una "voce" tra le fiamme. Poi Dio  rientra nel suo silenzio.
Perché se  Dio mostrasse all'uomo la sua luce sfolgorante, questi non potrebbe reggerla.
Il salmo '94 esorta il credente ad ascoltare ogni giorno la voce di Dio.
E nel salmo 40 del Signore si afferma: " Sacrificio non gradisce, gli orecchi mi ha scavato".
L'orecchio scavato era quello dello schiavo perché stesse a ricordargli l'obbligo dell'obbedienza al suo signore.
In ebraico ascoltare, shemà, significa anche obbedire. 

3.  Ascoltare per crescere come credenti.

Nella tradizione islamica quando nasce un bambino viene subito consegnato ancora grondante di sangue tra le mani del suo papa il quale suggerisce all'orecchio destro del bambino: Dio è il Signore e Maometto è il suo profeta. Poi all'orecchio sinistro: ora per te incomincia il tempo della preghiera. E infine: ricordati che sei  cenere e luce.

4.L'ascolto della parola di Dio comporta un esercizio di umiltà

Nessuno è in grado di accogliere tutta la pienezza di mistero  la parola di Dio che sempre ci trascende.

5. Per accogliere la parola di Dio dobbiamo fare il vuoto

Dobbiamo, cioè, liberare la mente il cuore da tutti i nostri pregiudizi e le nostre precomprensioni.

6. Bisogna infine riscoprire il silenzio

Il silenzio non è  senza di parole ma la sintesi muta di tutte le parole.
Così come accade per i colori dove il bianco non è assenza di colore ma il risultato dell'unione di tutti i colori base.
Il filosofo e matematico Pitagora soleva dire che non bisogna mai rompere il silenzio se non si ha qualcosa di più importante di esso da comunicare.

venerdì 2 novembre 2018

Commemorazione dei defunti. Riflessioni di Don Pietro

1. Il senso della commemorazione dei defunti

Ricordiamo, oggi, i fratelli e le sorelle che hanno già attraversato il passaggio buio, difficile della morte e che ora sono presso Dio.
Ci conforta la certezza nella fede che nessun tormento può più toccarli e nessuna fragilità può più farli soffrire.
Essi hanno oltrepassato quella porta che  separa  questa vita dall'eternità.
Essi hanno seguito il Cristo, loro Signore, lungo il percorso che porta dalla morte alla vita.
Essi stanno davanti a Dio e conoscono senza fatica il suo splendore ed il suo affetto di padre.
Essi ricordano al Signore di tenere sempre spalancate per noi le porte della sua casa.
Cos’  anche noi, nonostante le nostre debolezze, tradimenti, ansie e paure, potremo un giorno essere ammessi nella dimora della luce.

2. Meditazione sul senso della morte dei propri cari

Dinanzi alla morte dei propri cari  c'è chi trova nella preghiera la forza per continuare a vivere, sperare, ad avere fiducia: la presenza del Signore lo sostiene.
C'è chi, invece, dinanzi alla morte non riesce ad esprimere con le parole il tumulto dei sentimenti: piange e tace.
Qualcuno sente nascere in sé la rivolta e la ribellione. Non solo non riesce a pregare ma protesta con Dio. Non è giusto, grida!
L’odierna commemorazione dia ad ognuno la possibilità di affrontare con serenità il problema della morte. E diventi un'occasione per pregare. Pregare è infatti sia rivolgersi a Dio con fiducia, sia meditare in silenzio, sia far arrivare a lui la nostra amarezza e protesta. Il Signore ha vissuto l'esperienza della morte. Ascolterà le nostre parole e ci darà una parola di conforto.

3. Rinnovare la nostra fede

La fede ci assicura che la nostra vita non è nelle mani di un cieco destino. La morte non potrà dire l'ultima parola sulla nostra esistenza. La nostra vita è nelle mani di Dio.
La parola di Dio ci garantisce che Dio si prende personalmente a cuore la nostra vita. Egli non c'abbandonerà alle tenebre, ma ci condurrà verso la vita che dura per sempre.
Anche di fronte alla morte noi ci fidiamo di Dio.
La buona notizia consegnata alle Scritture ci ricorda che Gesù ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra vita, conoscendone gioie e dolori.
Egli non ha evitato la morte ma nel suo amore per Dio e per noi l'ha affrontata senza paura.
Per questo, per il dono che  ha fatto di tutto se stesso fino alla morte, e alla morte di croce, Dio lo ha risuscitato e gli ha dato una gloria senza misura. Ha fatto di lui il primogenito dei viventi.
Ora noi abbiamo il suo Spirito che anima questa nostra vita e la conduce verso il compimento. Ci sostiene nello sforzo di cercare di amare Dio sperando nel suo regno.