La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

venerdì 26 aprile 2019

la lettura di Don Pietro della DOMENICA II DI PASQUA.

1. “La sera di quello stesso giorno, il primo della settimana”. 

- Gesù non frappone indugi ad incontrare i discepoli. Sembra avere premura di farsi vedere.
- Perché, senza Risurrezione, la vita è insopportabile.
- Un’urgenza – quella di annunciare la Risurrezione – che dobbiamo fare nostra, pena la disperazione dell’uomo.
- La Risurrezione è il primo dei giorni, il giorno dei giorni, il nuovo inizio del mondo, il vero inizio, la nuova Creazione attesa.

2. “mentre erano chiuse le porte, venne Gesù e si presentò in mezzo a loro”.

- sono, sempre, le porte della paura, del fallimento, della morte, del non senso e dell’angoscia, dell’uomo e del mondo ripiegati e prigionieri di se stessi. Le porte delle ideologie…
- Dall’interno l’uomo non sa, non può, forse non vuole aprire quelle porte. Solo il Signore può irrompere dall’esterno e abbattere tutti i muri per snidare l’uomo e incontrarlo liberandolo.
- Cristo continua ad abbattere muri e porte anche oggi. Quanti muri sono stati abbattuti e quante porte sfondate! Altre lo saranno a tempo debito.

3. “Pace a voi!”

- Ripetuto più volte, non è un saluto convenzionale. E’ il dono del Risorto che fa passare i discepoli dalla paura e angoscia alla serenità e gioia. Un cambiamento che può avvenire solo perché è stata vinta la morte da cui ha origine ogni paura.
- Questo saluto riassume tutte le speranze messianiche. “Pace a voi”… La pace è cominciata. Con questo saluto si apre uno spazio nuovo alla comunione degli uomini con Dio e degli uomini fra loro.
- Questo spazio profetico, ultimo, è il Regno di Dio di cui la Chiesa è il segno anticipatore e la prova di “fattibilità”. A condizione che viva la Pace.

4. “mostrò loro le mani e il costato…e i discepoli si rallegrarono…”

- Fonte e ragione della nostra gioia, speranza e vita sono solo quelle mani trafitte e quel petto squarciato, scudo tra il nostro peccato e Dio.
- Quelle mani crocifisse e quel costato aperto ci parlano di un Amore infinito, di un Amore capace di vincere la morte e di dare vita, di un amore che abbatte e supera ogni barriera.
- Essi (mani e costato) hanno fatto e fanno per noi molto più di quanto non abbiano fatto comandando ai venti, placando le onde e operando prodigi.
- Liberata da pietismi devozionali è la vera, unica nostra devozione!

5. “soffiò su do loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”.

- questo soffio evoca il primo soffio, quello che evoca dal nulla le cose e le fa essere.
- Ora, la nuova creazione, è far emergere ogni essere dalla morte. Non più essere-per- la morte, ma essere-per-la vita, è il destino della creazione.
- E la vita nuova offerta è la comunione con Dio di ogni essere, da realizzare, incoativamente, già nella storia.
- Questa comunione con Dio è la verità nascosta nel mondo, la sua vocazione, destino e piena realizzazione; la Chiesa la anticipa, la celebra e la testimonia al mondo. E’ la sua missione unica.

6. “Tommaso”.

- Tommaso – dice il testo – non era con gli altri quando Gesù era venuto la prima volta. E dov’era? Forse cercava nella solitudine un conforto al suo immenso dolore per aver perso il suo Maestro tanto amato…
- Tommaso non crede alla testimonianza netta, chiara, semplice degli altri che affermano di aver visto il Signore.
- Tommaso non crede ma resta con gli altri discepoli e otto giorni dopo (allusione di Giovanni all’incontro eucaristico domenicale?) di nuovo miracolo e mistero: Gesù venne di nuovo e dice a Tommaso di toccarlo.
- Ma Tommaso rinuncia alle prove che pur aveva preteso, si prostra ed esclama: “mio Signore e mio Dio!”.
- Una confessione stupenda di fede. A Pietro, a Cesarea, Gesù dice che gli è suggerita dal Padre suo che è in Cielo. E a Tommaso da chi? Da uno stato di estasi?
Certo che Tommaso va oltre il “mio Signore” e riconosce in Gesù, , il “mio Dio”, cosa inconcepibile per quei tempi e, forse incomprensibile anche per noi moderni.
L’incontro termina con l’ultima beatitudine del Vangelo: beati quelli che credono senza aver visto.
Termina anche il Vangelo di Giovanni con questa confessione: Gesù Risorto, Signore e Dio.
- Povero Tommaso! Emblema, nei secoli, dell’incredulità, miscredenza e dubbio. Probabilmente anche noi avremmo reagito come lui.
Perché Tommaso, in ogni tempo, rappresenta la fragilità umana dinanzi alla divina perfezione di Gesù.
Uomo facile allo scoraggiamento, Tommaso è, però, uomo di grande lealtà nei confronti di Gesù. Più degli altri, forse.
Ed anche uomo di coraggio, come emerge dalla decisione rischiosa di seguire Gesù a Gerusalemme dopo la notizia della morte di Lazzaro (“Andiamo anche noi a morire con Lui…) mentre gli altri cercavano di dissuadere Gesù; e poi quando ha il coraggio di dire a Gesù che parlava della sua strada verso la morte-vita; “Signore, noi non sappiamo dove vai, come facciamo a sapere la strada?”, il coraggio,cioè, di voler vedere le cose chiaramente.
- Tommaso dopo aver visto la fine dolorosa e ingloriosa di Gesù, era un uomo in crisi, prima ancora che un uomo “scientifico” ante litteram, un uomo oscillante tra scetticismo e incredulità. (E’ l’esperienza di tutti…).
Ma nel buio profondo della crisi di Tommaso viene Gesù: “metti qui il dito e non essere incredulo ma credente”.
La risposta di Tommaso non è una conclusione filosofica, ma una confessione di fede profonda: “Mio Signore e Mio Dio”.
- Mio Signore, confessione: della sovranità di Gesù, della volontaria sottomissione del credente.
- Mio Dio, confessione della divinità di Gesù e dell’obbligo di adorazione che il credente adempiee volontariamente.
- Gesù, per Tommaso, non è più un problema razionale, ma una realtà spirituale davanti alla quale può solo inchinarsi in sottomissione e adorazione.

Due conclusioni:
a) la confessione di fede collettiva (folla, dodici) deve divenire personale, come per Tommaso.
b) La confessione di fede impegna personalmente ma va vissuta in compagnia degli altri credenti la cui lista, compilata da Dio, non coincide sempre con quella fatta da noi. Con Tommaso c’eravamo anche noi, persone che non hanno visto e credono.

giovedì 18 aprile 2019

Presentazione del Mistero pasquale della Settimana Santa. Dalla Domenica delle Palme fino alla Pasqua di Risurrezione.

“Quando le ragioni della vita ebbero vittoria definitiva su quelle della morte”

La Pasqua è un’ esperienza forte per tutti coloro che, avendo fatte con Cristo il viaggio della Quaresima come possibilità per l’uomo di maturare, ora si trovano con lui all'ultimo appuntamento, al duello decisivo, quando le ragioni della vita segnano la vittoria definitiva su quelle della morte.ci troviamo coinvolti non con idee, ma con fatti semplici e sconvolgenti.

1. LA DOMENICA DELLE PALME
Gesù entra a Gerusalemme come Re ed è accolto dalla folla plaudente che gli tributa omaggi e inneggia a Lui riconoscendolo come il Signore.chiari e trasparenti sono però i segni di una regalità altra rispetto a quelle mondane. Gesù è Re di pace. Cavalca un mite asinello e non  è circondato da armi e strumenti di distruzione e di morte. Non  i potenti lo accolgono, bensì i piccoli, gli umili, i poveri. Il suo trono non sarà di marmi pregiati. Regnerà dalla Croce. Sul capo non avrà un diadema tempestato dio pietre preziose, bensì una corona di spine.
L’odierna festività è colmata di letizia, di festa, di onore e di gloria per Gesù. Però già la Passione e Morte del Giusto proiettano la loro gelida ombra… Ecco la ragione per cui nella liturgia di questo giorno si proclama il Passio, il Vangelo della passione.

2. IL GIOVEDI’ SANTO
Cristo fa la Cena di addio, come ricordo permanente del suo amore per l’uomo. Ogni vita ha bisogno di alimento. La prima fame e sete di vita è quella di avere “ragione di vita”, verità, certezza, significati alti e, quindi, valori degni. Nell'Eucaristia di Cristo troviamo la verità stessa di Cristo, fatta di pane e di vita. Attraverso le grandi e sconvolgenti esperienze liturgiche del Giovedì Santo, Cristo dona se stesso come pane della verità per la vita del Mondo.

3. IL VENERDI’ SANTO
Cristo viene  brutalmente assassinato, sepolto, sigillato. L’innocente è sacrificato per l’uomo. La vita non  si ha veramente se uno non la conquista di persona, accettando con coraggio il prezzo del sacrificio di sé. Nella Passione del Cristo noi ritroviamo la sorgente della vita nuova. “Se il chicco di grano muore produce molto frutto”.

4. DOMENICA DI PASQUA
“Perché cercate tra i morti Colui che è vivente?”. È il momento in cui nella storia è stata operata una colossale operazione algebrica, è cambiato il valore all'esistenza dell’uomo: dal segno negativo di morte, che è pessimismo disfattista, paura del futuro, ricerca egoistica di sé, al segno positivo di vita, fiducia e speranza, apertura all’”ALTRO” e agli altri.
Vivere la vita significa camminate per una lunga strada, orientati dalla verità e stimolati dal coraggio del sacrificio. Cristo risorge dalla morte per annunciare al mondo la vittoria definitiva della nuova vita. Dalla Risurrezione del Cristo prorompe un’incontenibile forza e il bisogno di gridare a tutti: “e ora correte in tutta fretta e dite che è risorto dai morti”. Il Cristo risorto Dio dice sì alla vita, alla gioia di vivere per ogni uomo. La Pasqua diventa la muova legge universale, il passaggio dalla morte alla vita che circonda come gigantesco abbraccio tutto il cosmo e tutti i secoli. Nella vita dell’uomo nulla vi è di irreparabile, perché l’amore di Dio è irrevocabile. Se Cristo supera la frontiera invalicabile, la morte, la disperazione e il no senso, non vi è più alcun limite alla sua potenza di modificare le situazioni più impensate. È stupido notare come tutti i racconti della risurrezione siano punteggiati di: “non abbiate paura, coraggio, perché temete?”. La Pasqua deve farci fare questa scoperta: la vita ha un futuro e un futuro migliore dell’ oggi. Cristo risorto è sempre davanti a noi per dirci: “non temete, io sono con voi, coraggio, io ho vinto il mondo, piccolo gregge, nessuna paura!”. Vivere Cristo risorto vuol dire trovarsi di fronte alla “novità” permanete della vita. “Ecco io faccio tutto nuovo”. Cristo ci invita all'avventura della vita, a nuovi orizzonti, nuovi gusti. Basta frequentarlo nella Bibbia, nel servizio, nei sacramenti, nei suoi amici. Dove c’è crescita dei giovani nella partecipazione, nella cultura, nello sport, nel lavoro… ivi opera il Risorto.dove c’è ricerca del nuovo e del meglio, ivi opera il Risorto. Dove c’è il passaggio dal disumano all'umano, ivi opera il Risorto. Dove c’è il passaggio dalla paura alla speranza, ivi opera il Risorto. Dove c’è il passaggio dalla tristezza alla gioia, ivi opera il Risorto.
Martin Luter King, profeta indimenticabile del Cristo vivente, soleva dire ai giovani sfiduciati: “Se la paura bussa alla tua porta, ad aprire manda la tua fede. Vedrai che fuori non c’è nessuno!”. La paura che paralizza i giovani d’oggi è lo scoraggiamento, il cruccio, il rimorso, il male, il ricordo di una esperienza di dolore e di tristezza, il ripiegamento su se stessi. La fede che bisogno mandare fuori ad aprire è la certezza che il Padre ci ama, che Cristo è proprio qui per risollevarci, che le ragioni della vita nuova sono superiori a quelle della morte e della disperazione, che i poveri aspettano il tuo sorriso e il tuo aiuto, per credere anche loro alla vita.
Questa fede può distruggere ogni paura!

domenica 14 aprile 2019

DOMENICA DELLE PALME. Riflessione di Don Pietro

Uno schema sintetico della Celebrazione della Domenica delle Palme

1. Acclamiamo a Gesù come Messia.
Inneggiamo a Lui come Salvatore.
Lo accogliamo come Re-Signore del mondo.

2. Il regno messianico si costituisce attraverso il sacrificio del suo Re: Gesù.

3. Il sacrificio di Gesù si esprime attraverso
la sua obbedienza e
il suo servizio.

4. Egli è il Servo del Signore:
totalmente disponibile alla parola-progetto del Padre
percorre totalmente la via dolorosa
vi si preparò rendendo “dura la sua faccia”.

5. Anche la nostra fedeltà a Dio comporta una “lotta” agonia
viene l’ora delle tenebre (la nostra debolezza)
ma per ogni debolezza c’è sempre una possibilità di: riscatto e salvezza.

sabato 6 aprile 2019

Riflessione sul Vangelo della V DI QUARESIMA. Don Pietro

L’ADULTERA
1. Qui non si parla dell’adulterio.
Il tema centrale di questo episodio non è il giudizio di Gesù sull’adulterio.
Gesù non ne sminuisce, né ne sottolinea la gravità.
Anche gli interlocutori di Gesù non sono tanto interessati alla condanna o alla assoluzione della donna, quanto a conoscere la posizione di Gesù rispetto alla legge di Mosè.
La donna, accusata di adulterio, non è senza colpa, anche se non è l’unica colpevole.
Ma nella logica dell’evangelo predicato da Gesù questa donna, anche se colpevole, ha ragione:
semplicemente perché qui essa è la vittima
e secondo il Vangelo le vittime hanno sempre ragione quando sperimentano paura e solitudine
Gesù è venuto per i poveri, innanzitutto. E questa donna è in condizione di estrema povertà: è senza difesa, senza rispettabilità, priva di qualsiasi sicurezza di tipo morale-sociale-terreno.

2. L’adulterio e l’Alleanza.
Questa donna è un’adultera.
Ora nel mondo giudaico l’adulterio è la principale trasgressione di cui possa rendersi colpevole una donna.
Questo perché L’Alleanza che Dio ha stretto col suo popolo, Israele, rivive nel rapporto di fedeltà al patto matrimoniale stretto dagli sposi. Violare, con l’adulterio, questo patto significa produrre una ferita nell’Alleanza Dio-popolo, cadere nell’idolatria del proprio istinto e nuocere alla comunità.
Al tempo di Gesù vigeva una disparità profonda, a livello di prassi legale e del sentire comune rispetto all’adulterio a seconda che lo si considerava dalla parte della donna o dell’uomo.
Era certamente sempre adultera una donna che si univa ad un uomo che non era suo marito, sposato o meno che l’uomo fosse.
L’uomo, invece, che si univa alla donna di un altro uomo, più che adultero, era colpevole di attentare ai “diritti di proprietà” dell’altro, allo stesso modo che se si fosse appropriato di una pecora o di un sacco di frumento.
Se poi quest’uomo sposato si univa a una donna libera, non commetteva nessun reato tollerando la legge vigente che l’uomo potesse avere delle concubine, oltre alla moglie.
Ugualmente il marito poteva ripudiare la moglie che non trovava più grazia ai suoi occhi: insomma che non gli piaceva più, si direbbe oggi.
E la legge mosaica prevedeva la pena di morte per l’adultera.

3. Il contesto dell’episodio.
Nel nostro episodio, gli uomini che vogliono lapidare la donna non sono tanto accusatori della donna, quanto oppositori di Gesù. Più che la rabbia e lo sdegno verso la colpevole, li muove il livore verso Gesù cui vogliono tendere un tranello per avere di che accusarlo.
E il pretesto è ben congegnato:
Se avesse risposto che era giusto lapidarla lo avrebbero accusato di incoerenza col suo messaggio.
Se avesse detto che non era giusto ucciderla potevano accusarlo di andare contro la legge di Mosè.
Ma Gesù non cade nel tranello tesogli e smaschera la loro colpa fondamentale:
quella di non essere puri di cuore, quella di vivere nella menzogna perché perseguivano un fine diverso da quello dichiarato.
Gesù, sempre accogliente verso i peccatori, si dimostra particolarmente severo verso questa gente ipocrita e tortuosa, sebbene si ammantasse di virtuosità.

4. Qualcuno manca.
La donna, a detta degli accusatori, è stata colta in flagrante adulterio, insomma proprio tra le braccia di un uomo.
Perché adesso è sola? Dove si trova il suo partner di adulterio?
Il suo amante doveva stare lì. Se il suo amore, quantunque illegittimo fosse stato autentico e rispettabile, doveva farlo essere lì: per difendere la sua compagna, se possibile, o altrimenti per condividere la sua sorte, per morire insieme. Chi ama veramente non può volere che questo.
Invece l’amante non c’è.
Anche un altro uomo ci colpisce per la sua strana assenza: il marito della donna, leso nei suoi diritti di proprietà.
Chissà che lui stesso non fosse corresponsabile dell’adulterio della moglie: forse per poco amore, per rozza volgarità o magari solo perché non voluto e non scelto.
Potrebbe anche darsi che il marito invece c’era, confuso tra la folla, magari anche lui con la sua pietra in mano.
E forse era soddisfatto perché la sua onta coniugale stava per essere lavata nel sangue, ma certo lontanissimo dall’idea di potere impedire quella esecuzione offrendo alla donna il suo perdono.
Orrore! Un marito offeso che perdonava, secondo la mentalità patriarcale era un debole, un incapace, un uomo senza dignità e onore.
E’ proprio qui il peccato di fondo, il peccato strutturale che Gesù vuole denunciare: il peccato, cioè, di una religione tutta concepita e tutta vissuta a misura d’uomo, piegata all’orgoglio e all’egoismo del maschio.
Quella donna è terribilmente sola in mezzo agli uomini della legge indignati e vocianti.
Anche Gesù è solo, come la donna: due solitudini di fronte.
Da un lato Colui che è senza peccato e che prende su di sé i peccati del mondo; dall’altro una peccatrice su cui pesano i peccati del mondo.
Una vittima dinanzi a un’altra vittima.
Entrambi condannati a morte. Ma mentre la morte della donna sarà evitata, quella di Gesù non può esserlo.
Per salvare la donna Gesù non cerca attenuanti per la sua colpa. Non tenta neppure di fare appello alla pietà e ai sentimenti umani degli accusatori.
Fa, invece, un gesto stranissimo e enigmatico, unico nei Vangeli: si china a scrivere col dito a terra.
Cosa abbia scritto è difficile congetturare. Certo che quel gesto trasmette un messaggio agli astanti.
Un messaggio consegnato allo scritto in un contesto culturale in cui lo scritto – la scrittura – aveva una particolare forza, la stessa autorità della norma.
Un messaggio, dunque, quello scritto da Gesù che rimanda ad una logica altra rispetto a quella dell’orgoglio e del dominio patriarcale.
Un messaggio che rinvia all’istanza di un cuore nuovo per tutti, uomini e donne.
Il gesto di Gesù è già un evento di questo cuore nuovo.

5. Un invito a guardarsi dentro.
Il gesto di Gesù ha in sé un’intenzione provocatoria. Come provocatorie sono le sue parole: “Chi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei”.
Un’autorizzazione a lapidare, che invece equivale a un divieto, un divieto profondo, totale, definitivo.
(Vi si potrebbe trovare anche il fondamento teologico dell’inammissibilità, sempre e comunque, della pena di morte!).
Gesù non rivolge un vero rimprovero agli uomini che ha dinanzi. Il suo atto è molto più e molto meno di un rimprovero.
Gesù fa appello all’interiorità, risveglia la loro coscienza e quella della donna.
Il vero giudizio deve avvenire dentro di loro, deve parlare nell’intimo del loro cuore.
Invece di aggrapparsi alla legge e disprezzare quella donna, devono guardarsi dentro.
E’ questo sguardo nuovo dentro di sé, che li fa andare via perché scoprono che nessuno è senza peccato.
Nessuno: neppure chi esteriormente poteva dirsi in regola con la legge.
Il peccato non risiede in primo luogo nella trasgressione esteriore, visibile e vistosa, ma nell’intima disposizione, nel cuore, il centro misterioso della persona, del suo sentire e volere.
A quegli uomini Gesù vuol far capire che se anche non hanno mai commesso adulterio, lo hanno desiderato e non l’hanno commesso solo per timore delle conseguenze.

6. Assoluzione o annuncio?
Se la frase “Chi è senza peccato…” costituisce il messaggio di fondo di Gesù su un piano comunitario, la parola alla donna: “Neppure io ti condanno. Va’ e non peccare più” ne costituisce la risonanza individuale  quasi “sacramentale”.
Non si tratta di una semplice esortazione a non fare più quello che è male, come in una lettura moraleggiante e debole delle parole evangeliche.
Gesù ignora questo paternalismo perbenistico.
Le sue parole proclamano la redenzione e la attuano.
Dicono che la donna è liberata dal peccato perché ha incontrato Lui, la salvezza, il Regno di Dio.
E’ una donna nuova, d’ora innanzi. Ha tanta pienezza nel cuore che non ha più bisogno di mendicare un po’ d’amore da un uomo che non è suo marito o dallo sfogo del suo istinto.
La sua vita privata ha incrociato il piano di Dio ed essa è diventata una creatura nuova, finalmente capace di rapporti umani nuovi e radicali.
Gesù le dice “Vai…”: non è un congedo. E’ un invito.
Chi sperimenta la vita nuova è inviato ad annunciarla.