La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

sabato 28 marzo 2020

COMMENTO ALLA V DOMENICA DI QUARESIMA.(D. PIETRO)




Nell'incontro con la Samaritana Gesù si presenta come il dono di Dio per il bisogno di vita dell'uomo.
Nell'episodio del cieco nato  appare come la luce del mondo per orientare l'uomo smarrito.
Gesù è dunque il grande dono di Dio. Ma è anche capace di misurarsi con la morte? Può superare la sfida del tempo?
La storia di Lazzaro ci insegna che chi crede  e pone in Gesù la sua esistenza conoscerà la morte, ma "anche se muore vivrà" a motivo della sua fede. La morte disfa e distrugge  la vita fisica dell'uomo, i suoi progetti e desideri, ma non può distruggere la vita che Dio dona agli uomini mediante Gesù.
La vita fisica viene dal mondo ed è sottoposta alle leggi che governano il mondo: nascita, crescita, consunzione, dissoluzione.
La vita eterna invece viene da Dio ed è sottratta a queste leggi, come è sottratto Dio.
Credere allora significa cogliere da Dio attraverso Gesù quest'offerta di vita eterna e affidare a lui per sempre la nostra esistenza. Ecco perché "chi crede non morirà in eterno"

La conferma all'amico di Gesù

Che non si tratti di una illusione dell'uomo, di una proiezione del suo desiderio di immortalità, ci è confermato dall'ultimo grande segno operato da Gesù: la risurrezione di Lazzaro.
Il suo ritorno alla vita, dopo quattro giorni di sepolcro, è la conferma -non l'unica- che è presente e opera in Gesù una forza più potente della morte.
Questa forza si manifesta verso Lazzaro, l'amico che Gesù amava intensamente. Lazzaro è simbolo dell'uomo che Dio ama e perciò gli dona la vita. Lazzaro è simbolo del discepolo cui Gesù si lega non solo con idee, ma con un rapporto personale di amore e di amicizia.

Amore e morte. Gloria di Dio e di Gesù

1. La risurrezione di Lazzaro è allora segno di potenza: Gesù è più forte della morte. Ma è anche segno d'amore: l’amore di Gesù per l'uomo è più forte della morte
2. "Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il figlio di Dio venga glorificato".
L’amore di Dio doveva scontrarsi con la realtà della morte per vincerla e mostrarsi ad essa superiore.
La risurrezione di Lazzaro manifesta la superiorità dell’amore di Dio sulla morte e in questo Dio viene glorificato. E viene glorificato  Gesù in quanto partecipe della stessa potenza e vittoria.

 Nella Giudea

Per liberare Lazzaro dalla morte, Gesù torna in quella Giudea in cui molti tramavano contro di lui per ucciderlo. Significa che per dare la vita a Lazzaro Gesù ha rischiato la propria vita. Anzi, per donare la vita all'altro, Gesù sacrifica la propria vita.
C'è qui un'allusione forte al senso della salvezza: perché l'uomo non muoia, Gesù accetta di morire lui stesso.
Dunque:
l'amore vince la morte prendendo su di sé la morte.
Dio è più forte della morte, ma questa forza di Dio si manifesta nel momento in cui Gesù si sottomette alla morte per amore.

Risurrezione e morte

Con la venuta di Gesù tra gli uomini  il vivere e il morire sono cambiati in profondità perché in questi eventi naturali è entrato il mondo futuro.
Il mondo non è più quello di prima, da quando Gesù vi ha seminato la forza vitale del mondo di Dio.
Gesù non promette alcun esonero dalla morte e dai mali che l'anticipano. Gesù colpirà la morte, dopo che la morte ci ha colpiti.
La risurrezione rimane futura, dopo la morte. Giovanni la considera già realizzata in quando l'operatore di risurrezione, il Cristo, è per sempre unito a noi, se noi non lo respingiamo.
Noi, ora, non abbiamo già la risurrezione, ma la vita che dovrà produrla, nella forma di un seme che deve germogliare e svilupparsi. Dobbiamo lasciarci contaminare dai fermenti di vita eterna per guarire dalla morte di cui siamo ammalati.
Chi possiede questi fermenti è Gesù, il Cristo, il Vivente. Solo lui può liberarci dalla malattia mortale della morte. Per sempre. Cristo ha lacrime per il nostro dolore. Il Lazzaro dentro di noi che è morto uscirà dal nostro profondo grazie alle sorelle che lo chiederanno al Cristo.

domenica 22 marzo 2020

IV domenica di Quaresima. Riflessioni di don Pietro


 Le tappe del cammino di fede

1. La fede è dono, luce che ci investe dall'alto. L’uomo si apre o si chiude a questo dono di luce. L'incontro luce-uomo è sofferto, laborioso e  lungo. Passa attraverso tappe,  esperienze, coinvolge la nostra ragione e la supera a un livello più alto, quello della verità-rivelazione.
2. L'episodio del cieco nato guarito da Gesù è esemplare di questo cammino dalle tenebre alla luce, dalle certezze della ragione alla verità della fede.
Il cieco, guarito dalla malattia fisica, ha bisogno di guarire anche dalle tenebre che avvolgono il suo spirito. E ci arriva solo alla fine di un itinerario di conoscenza e di rivelazione.

L’itinerario del cieco

1. La prima tappa consiste nella semplice conoscenza esterna di Gesù. "Quell'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Và a Siloe e lavati". Continua il cieco: "io sono andato, mi sono lavato, e ora ci vedo".
Il cieco sta dinanzi alla pura materialità dei fatti, ma non sa ancora nulla né del chi, né del come. Non sa capire e spiegare quel fatto così nuovo e sconvolgente che gli è capitato.
È la nostra condizione quando si presenta davanti a noi l'oggettività del Cristo e del suo dono trasformante: un evento tra i tanti.
Si tratta ancora di capire e di decidere che cosa può voler dire per noi personalmente.
Dinanzi all'evento che lo ha coinvolto e sconvolto, il cieco sente nascere in sé delle domande: "Chi è mai costui? E da dove viene la forza ed efficacia della sua parola?".
Un indizio è nel nome della piscina "Siloe" che significa "Inviato".
Che fosse questo il vero nome di Gesù?
Che fosse lui l'inviato del Padre, autorizzato a parlare e ad agire a suo nome? Per questo, forse, le sue parole sono efficaci in quanto trasmettono la forza stessa di Dio?
Gesù, dunque, come inviato di Dio, in rapporto col Padre dal quale viene: è questo il mistero profondo della sua persona.
A questa scoperta il cieco arriva per tappe. Intanto comincia a riconoscere Gesù come un profeta, un uomo che pronuncia parole non sue, ma di Dio. Un buon inizio, non c'è dubbio, ma ancora lontano dalla meta, che resta l'umile e gioiosa professione di fede: "Io credo Signore".
Nella marcia di avvicinamento alla fede lo Spirito che lo guida si avvale anche della contestazione dei giudei, dei farisei.
Questi hanno i loro schemi e le loro teorie, anzi teoremi e tutti gli eventi vanno compresi e spiegati in base ai loro assiomi e postulati. Anche il caso del cieco deve entrare nei loro schemi precostituiti. Secondo questa logica il fatto della guarigione del cieco -un fatto incontestabile- non esiste. Come può operare un miracolo un uomo peccatore come Gesù che non osserva il Sabato?!
Dove può condurre la logica! O Gesù è peccatore e dunque non può operare miracoli o, se opera miracoli, non è dunque peccatore!
Per fortuna il cieco che non è teologo sofisticato, ma un uomo di buon senso, risponde: "Se sia un peccatore non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo".
Poi, con la semplicità dell'uomo della strada aggiunge: "Noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta... se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla...".
2. Fin qui il cammino che il cieco ha potuto fare da solo. Il resto deve venire dall'incontro personale con Gesù.
Questi gli chiede: "credi tu nel  figlio dell'uomo?". Credi, cioè, che attraverso colui che ti ha aperto gli occhi passa la potenza stessa di Dio? E sei disposto a lasciare che la tua vita sia illuminata e corretta da lui?
Da notare: il cieco giunge a confessare pienamente la sua fede quando è espulso dalla sinagoga, quando cioè viene a trovarsi in una condizione di solitudine ed emarginazione, condizione che egli accetta come prezzo per proclamare la sua fedeltà a Gesù e per professare la sua fede in lui.
Un prezzo invece troppo alto e che non son disposti a pagare né i conoscenti del cieco, né i suoi genitori. Ai primi piace interessarsi del caso, ne discutono animatamente, ma non sono disposti a sostenere l'impegno della fede quando questa si fa esigente. Ai secondi  -genitori- fa paura il rischio della scomunica, cioè dell'emarginazione sociale e si tirano indietro. Per loro la fede costa troppo: troppo grande sarebbe il sacrificio richiesto in termini di onorabilità e stima sociale.
Lo stesso discorso vale per i capi farisei giudaici. Essi  si considerano i depositari autentici della scienza religiosa e a partire dalle loro certezze giudicano tutto e tutti. Nei loro sistemi non esiste un varco per una rivelazione di Dio.
Da qui il senso delle ultime, durissime parole di Gesù: "Io sono venuto in questo mondo per giudicare (cioè per operare con discernimento), perché coloro che non vedono (quelli cioè che di fronte alla vita sono disorientati e sentono il bisogno di essere illuminati) possano vedere, e coloro che vedono (cioè quelli che ritengono di avere sufficiente luce nella loro intelligenza e nelle loro certezze) diventino ciechi (vengano cioè privati dell'unica luce vera, la rivelazione dell’amore di Dio e della salvezza loro offerta).
Quelli che capiscono che il loro limitato potere  non è la misura di tutta la realtà, quelli che si riconoscono ciechi vengono aiutati a guarire.
Importante è non dire mai: da soli mai riusciamo a vedere tutto chiaro.
La storia del cieco ci dice che l'uomo rischia di perdersi, nonché di cadere nel ridicolo, se si culla nel vecchio mito dell'onnipotenza della ragione.
Per essere guariti dalla cecità, bisogna sentirsi ciechi.
Cristo anche a noi dice: "va' a Siloe...: va' a quella fontana dove  la Croce di Cristo ha redento le colpe di tutti" (Sant'Ambrogio)

giovedì 19 marzo 2020

Se la Chiesa chiude le porte. V. Mancuso


Sorge nella mente una questione che, per riprendere Spinoza e il suo Trattato teologico politico, si può definire teologico-politica: le istituzioni religiose devono sottostare alle disposizioni del potere politico, oppure, specialmente quando sono in gioco le loro funzioni spirituali, possono agire extra legem? La Chiesa italiana ha risposto nei fatti a tale questione optando con chiarezza per la prima alternativa e sospendendo di conseguenza le celebrazioni a causa dell'emergenza sanitaria. A mio avviso ha fatto benissimo, dando esemplare dimostrazione di due preziose qualità: consapevolezza della gravità della situazione e servizio al bene comune.
Il punto infatti è che la Chiesa, come ogni altra istituzione che vive e opera in uno Stato laico, non è al di sopra della politica, né tantomeno della scienza. Questo non significa che essa debba rispettare sempre gli ordinamenti della politica, perché quando la politica diviene tirannide è sacrosanta la disobbedienza per la Chiesa, come per ogni altra istituzione e i singoli cittadini. Questo significa piuttosto che la Chiesa nel suo agire all'interno della società non è al di sopra della ragione scientifica e che, quando la politica dispone leggi conformi alla ragione scientifica, essa deve semplicemente ubbidire. Esattamente come sono tenuti a fare tutti, credenti e non credenti di ogni tipo. Se al contrario la Chiesa avesse preteso che la sua azione
nell'amministrare i sacramenti avrebbe potuto esercitarsi comunque in deroga alla legge e alle indicazioni degli scienziati, ciò avrebbe significato due cose: 1) l'esibizione di un clericalismo che pretende privilegi; 2) la non comprensione della gravità della situazione sanitaria del Paese. La Chiesa italiana non è caduta in questo errore. Né vi è caduta la Chiesa francese
che ha preso i medesimi provvedimenti per le parrocchie, disponendo per la prima volta nella storia la chiusura del santuario di Lourdes. Si è evitato così di replicare quanto ventisei secoli fa scriveva Eraclito dei suoi contemporanei: "Si purificano con altro sangue e insieme si contaminano, come se uno, dopo essersi immerso nel fango, si lavasse con il fango stesso. Se qualcuno degli uomini vedesse costui mentre fa questo, lo considererebbe un pazzo. E rivolgono preghiere a statue di Dei, come se uno si mettesse a conversare con le mura delle case, senza conoscere che cosa siano gli Dei egli Eroi" (Eraclito di Efeso, DK, B 22, 5). È dovere di ognuno tenere presente quanto gli esperti . sanitari ci comunicano ogni giorno: che siamo noi esseri umani il veicolo del virus. Il che vale anche per il
sacerdote: anche l'amministratore dei divini sacramenti può diventare un dispensatore dei diabolici virus che stanno ammalando e uccidendo non pochi di noi. La storia conosce situazioni in cui un eccesso di devozione ha aumentato il contagio, l'osservava già Alessandro Manzoni raccontando la peste di Milano. E le cronache raccontano di assemblee di fedeli diventate occasioni di infezione in Corea del Sud, in Francia, in Italia.
La sapienza etica delle filosofie e delle tradizioni spirituali ha sempre saputo che il bene di tutti è più prezioso del bene particolare di alcuni, chiunque essi siano, i più fedeli o i più infedeli tra noi. Questi giorni drammatici richiedono che ogni persona responsabile sacrifichi qualcosa del proprio interesse particolare per il bene superiore di tutti. Infine, per quanto riguarda i credenti, il succo della testimonianza profetica ed evangelica è che l'esercizio del bene e della giustizia è molto più importante di qualsiasi atto di culto.

sabato 7 marzo 2020

II Domenica di Quaresima. Don Pietro


LA TRASFIGURAZIONE


1. La situazione dei discepoli

Un evento, qualsiasi evento, l'uomo lo vive attraverso il filtro della situazione esistenziale che sta attraversando.
Per comprendere, allora, non superficialmente, la Trasfigurazione dobbiamo calarci nello stato d'animo dei tre protagonisti umani di essa, Pietro, Giacomo e Giovanni.
Anche noi, probabilmente, possiamo riconoscerci nel momento particolare della loro biografia quando accade e li sorprende la Trasfigurazione.
L'orizzonte è quello del rapporto dell'uomo col divino, la crisi delle ragionevoli aspettative umane e la sorpresa per l'inimmaginabile prospettiva di Dio.
Pietro, Giacomo e Giovanni, come tutti gli altri, avevano seguito con entusiasmo Gesù, si erano entusiasmati a vedere i suoi grandiosi miracoli e ora fremevano per la costituzione del suo Regno.
Con la rivolazione dietro l'angolo, ormai la conquista trionfale di Gerusalemme e la presa del Palazzo d'inverno sembravano cosa fatta.
Ma ecco che Gesù incomincia a fare strani discorsi: parla di rifiuto, di sofferenze, di annientamento, di morte. Certo, anche di risurrezione... ma l'annuncio di una vittoria attraverso la sconfitta non li convince, è troppo lontana dalle loro attese, prezzo troppo alto che non sono disposti a pagare. E all'euforia è succeduta la paura, la disullusione, il crollo delle speranze. 

2. Un sostegno alla fede dei discepoli

Gesù comprende che in quello stato d’animo i discepoli non avrebbero retto allo scandalo della crocifissione e morte  ed ecco la Trasfigurazione: la manifestazione anticipata della gloria del Risorto, quasi a convincere i discepoli che l'uomo dei dolori altri non sarebbe stato che quello stesso che ora sul monte si manifestava nella gloria.

3. Elementi teologici della trasfigurazione

Ogni particolare contiene un messaggio teologico:

la montagna:

Gesù l'ama per la solitudine e la preghiera. È il luogo preferito da Dio per le teofanie, come nel caso di Abramo, di Mosè e di Elia.

la luce sul volto di Gesù e le vespe candide:

l’inesprimibile è detto con i simboli della luce e delle vesti candide.
La luce non è riflessa sul volto di Gesù, come fu per Mosè, ma è irradiata direttamente da lui.
La luce è simbolo della vittoria sul peccato, simboleggiato a sua volta  dalle tenebre.
Le vesti candide, nell'Apocalisse, sono rese tali dal sangue versato nel martirio, e sono simbolo dei risorti e dei viventi per sempre, dei giusti accolti presso Dio.
Se la luce è il simbolo della vittoria sul peccato, le vesti candide sono simbolo della vittoria sulla morte.

Mosè ed Elia:

Erano attesi negli ultimi tempi: dunque con Gesù si inaugurano i tempi ultimi e definitivi. Dio in Cristo stabilisce la sua tenda fra gli uomini.
Mosè ed Elia hanno fatto entrambi un'esperienza unica di Dio:
Mosè ha sentito la maestosità terribile e affascinante di Dio.
Elia ha sentito vibrare Dio nella leggerezza del vento. Ora Gesù trascende entrambi nell'esperienza della paternità di Dio e della sua figliolanza nello Spirito.
Mosè ed Elia, cioè la legge e i profeti, hanno preparato e annunciato l'Unto del Signore. Ma ora bisogna oltrepassarli e ricevere la testimonianza che al Figlio rendono nella Pasqua il Padre e lo Spirito.

Facciamo tre tende:

Pietro crede di essere già alla meta. Non comprende che deve ancora entrare nella Nube dello Spirito per esserne trasformato e fare la vera esperienza di Cristo.
Etica e profezia non bastano, occorre il battesimo nello Spirito.
Questa nube, se è segno della gloria di Dio, cioè della sua abitazione fra gli uomini, è anche rinvio al deserto, cioè ad un cammino lungo e faticoso: la meta, la terra promessa è ancora molto lontana.

Questi è il mio figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo:

Parole simili a quelle del Battesimo di Gesù, quasi a dire che ora viene comunicato anche ai discepoli il carattere proprio della messianicità di Gesù. Questo è il battesimo dei Discepoli.
La parola "figlio" conferma che Gesù è il Messia. I termini "prediletto e compiaciuto" evocano la figura del Servo e quella di Isacco e alludono alla perdita di Gesù nella morte come via ineludibile per giungere alla vera salvezza, alla gloria.

Ascoltatelo:
A Gesù è conferita l'autorità di indicare ai discepoli quale dev'essere la via storica alla salvezza e cioè la via della croce..
Pietro, invece, pensava che la salvezza fosse il trasferimento immediato e indolore della vicenda umana nel mondo della gloria.

Caddero con la faccia terra:

Nella Bibbia è l'atteggiamento consueto di chi si dispone ad ascoltare una chiamata di Dio. Non è ancora precisato il contenuto della chiamata. Per ora consiste solo nel seguire Gesù.

4. Il significato dellaTrasfigurazione per noi

Il piano salvifico di Dio per l'uomo non prevede una liberazione in forma di depenalizzazione, di sanatoria a mo' di colpo di spugna, bensì una redenzione che non aggira il male, ma lo affronta, lo assume per trasformarlo in bene.
Gesù, in obbedienza, rinuncia servirsi della sua potenza per liberarsi dalla croce. La Gloria è preceduta dall'annientamento, la vita nascerà dal travaglio della croce.
Questa legge vale anche per il discepolo, per noi.
Il futuro della gloria è certo, ma rimane futuro. Nel presente c'è una strada lunga e faticosa da percorrere.
Tocca anche  vivere come Gesù, fino in fondo, l'esperienza del servizio ubbidiente. Senza esoneri e scappatoie miracolistiche.
La salita a Dio è una Via Crucis. La decisione per la causa degli uomini, in quanto causa di Dio, porta con sé sofferenza e morte.
Non dobbiamo vergognarci delle sofferenze di Gesù e prendere su di noi la sua croce: questo è il presupposto per capire e partecipare alla sua Gloria.
Non è solo vero che noi seguiamo Dio in Gesù. È vero anche il contrario: in Gesù Dio si inserisce nella nostra storia umana di sofferenza e si identifica con la sofferenza di tutta l'umanità.
Nel racconto della Trasfigurazione si tratta anche della trasfigurazione della sofferenza umana in un regno dove tutte le lacrime saranno asciugate, dimenticate e dove sono indossate solo vesti rese bianche dalla sofferenza


domenica 1 marzo 2020

PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA. Don Pietro


1. Siamo tutti dentro il tunnel della tentazione
Viviamo tutti in una perenne condizione di tentati. Il male è dentro di noi. Noi siamo dentro il male. La tentazione fa parte della stessa natura umana, inerisce alla base della condizione umana, per la necessità di provare la nostra fedeltà.
La realtà mondana è posta tutta sotto il maligno. Tutto può essere sotto tentazione.
C'è la tentazione dei sensi, che i maestri dello spirito fin dall'antichità  chiamavano la concupiscenza della carne. C'è la tentazione estetica, chiamata concupiscenza degli occhi e c'è la tentazione dell'autonomia dell'esistenza da Dio conosciuta come superbia della vita. Insomma c'è l'impulso a dominare e l'impulso a possedere. Conseguentemente ogni cosa è strappata dal suo ordine e questo a causa del fascino del nulla come lo definisce Qoelet. Siamo allora tutti  tentati e tutti i possibili tentatori.
È tutto il mondo che soggiace alle tentazioni. Cristo che impersona tutta l'umanità non poteva non passare pure lui per il tunnel delle tentazioni. Per questo è condotto nel deserto. Il deserto è lo spazio delle scelte fondamentali e assolute. Vi rimane quaranta giorni per collegarsi ai quarant'anni di Israele nel deserto, per portare cioè a compimento l'esodo di Israele.
Gesù è tentato mentre digiuna e prega. Dunque preghiera e tentazione si inseguono, si intrecciano come accade per il bene e per il male, per la santità e per la perdizione.
Le tentazioni sono il vero banco di prova di ogni vita, segnano come il crinale della storia.

2.  Prima tentazione: felicità contro libertà
Registriamo, intanto, la presenza inquietante, misteriosa e sfuggente del maligno dalle infinite personificazioni:
·        è il Lucifero che cade dal cielo.
·        è il serpente che striscia e si attorciglia all'albero della vita.
·        è lo spirito angelico che siede nel consiglio celeste e discute con Dio come rovinare un uomo.
·        ora osa accostarsi allo stesso Cristo
·        è il figlio della notte
·        è il fratello oscuro dentro di noi
·        questo Maligno preferisce annidarsi, infiltrarsi, nascondersi proprio là dove è Dio
·        è il principe delle tenebre che si veste di luce, colui che si presenta sotto la forma del potere assoluto.
È nota la lettura che  di questa prima tentazione fa Dostoevskij ne’ I Fratelli Karamazov:
Al potere (al cardinale) sta a cuore la felicità dei suoi protetti. Al Cristo invece sta a cuore la verità e la libertà dei suoi fratelli.
Ecco il dramma umano, ecco la tentazione: scegliere tra felicità e libertà e cioè verità. (Come se poi si potesse essere felici senza essere liberi. Mentre si può essere liberi senza essere felici). Il cardinale dice: "proteggere gli uomini dalla libertà, per proteggerli dal male. Superare  Dio in questa cura paterna". Questa è la tentazione più diffusa sulla terra cui nessuno è immune, neppure la Chiesa.
Del resto la libertà è più gravosa che  gradita. Ed ecco che il potere si assume tutto il peso della verità, esonerandone gli altri. Cioè l'autorità si mette al posto della verità per cui la coscienza non serve più, basta l'obbedienza. L'autorità da sola si confronta con la verità e a tutti gli altri basta confrontarsi con l'autorità.
Nella prima tentazione, in vista della sua missione, Cristo sceglie la verità della parola di Dio che rifiuta l'offerta di un pane senza libertà e verità.
E questo dal Grande Inquisitore gli è contestato come imperdonabile imprudenza e forse errore: aver voluto, cioè, offrire all'uomo la verità e la libertà e non il pane solo, senza di esse. Bastava offrire pane, sesso, gioco, canzoni...
Questa è stata la prima tentazione: fà sazio all'uomo ed egli sarà disteso ai tuoi piedi. Perché l'uomo si stanca di stare sempre in piedi: che poi vuol dire battersi sempre per la propria dignità e libertà.

3. Seconda tentazione
Cristo, come agnello negli artigli di un rapace, è portato nel vento dal deserto sul pinnacolo del Tempio.
Perché proprio sul Tempio? Perché dove c'è Dio, lì il maligno vuole insediarsi anche lui. Il suo farsi avanti è segno che li c'è Dio.
La seconda tentazione è eminentemente spirituale: Cristo è tentato su Dio, sul servirsi dei valori della fede, ai fini dell'irrazionalità e del negativo.  È la tentazione del miracolo come scorciatoia alla fatica del vivere.
"Se sei figlio di Dio..." Cristo è attaccato da Satana nell'orgoglio della identità, nel prestigio della qualifica. È la tentazione dell'uso magico di Dio, rifiutando la creaturalità e i limiti dell'umano.
E’ anche la tentazione dell'abuso della parola di Dio per coprire e legittimare imprese umane sensazionali.

4. Terza tentazione
Prostrarsi al potere per possedere la terra: è questa l'altra tentazione. La proposta di Satana è menzognera e fatua.
·        "I miei regni": chi riceve il potere non l'avrà come originario. Sarà solo delegato a rappresentare i veri detentori del potere che rimarranno sempre occulti e sconosciuti.
Il potente di turno sarà sempre un burattino in mano ad un nascosto burattinaio.
Il Vangelo ha una visione pessimistica del potere.
·        "Prostrati...": non c'è potere se non fondato sull'umiliazione di chi lo detiene: "come rettili strisciano e i più vili emergono: è al colmo la feccia" (Salmo 12).
Satana non faceva vedere a Cristo il vero volto del potere: morti, violenze, stupri, stragi, distruzione. Né gli poteva dire che dietro il dominio c'è la discordia fomentata proprio da lui, il maligno.
·        "Se ti prostrerai ai miei piedi": l'ambizione suprema di Satana è vedere il figlio di Dio in ginocchio ai suoi piedi.
Dei "regni" Satana non sa che farsene. È il possesso dell'uomo che lui vuole, la sua libertà, la sua capacità di ricorso a un Altro più grande di lui.
Ma Cristo non fa la genuflessione al potere per possedere la terra. Perde la terra, ma salva la sua libertà e la libertà umana.
Cristo sceglie la vita come servizi a Dio. E Dio si fa servo dell'uomo.