La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

martedì 27 febbraio 2018

Blasfemia politicante.

Dal vangelo secondo Matteo (Salvini) (ho paura dei sostantivi maiuscoli)
«In quel tempo un popolo in difficoltà stava per recarsi alle urne. Venne un uomo, da Milano, il suo nome era Salvini, si era autoproclamato (d’altronde il suo nome era un segno!) il salvatore della Patria, colui che avrebbe ristabilito le sorti della Famiglia, giurando su Dio che avrebbe fatto qualunque cosa pur di diventare Presidente del Consiglio.
Così si mostrò ai suoi vivace, con un rosario in mano, e disse: Vi precedo al seggio, e voi farete cose più grandi di me! Votatemi e sarete finalmente liberi dai negri, liberi dagli omosessuali, liberi dai comunisti, liberi dai criminali, e avrete di nuovo forza e risorgerete anche voi!
Seguitemi, vi farò diventare una nazione ricca e prospera!».
 Ora io mi domando e dico: ma abbiamo compreso il potere dei segni?
Un uomo che si presenta sotto le guglie del Duomo di Milano, col rosario nella mano destra e con la sinistra poggiata sul Vangelo a giurare: «Mi impegno e giuro di essere fedele al mio popolo, a 60 milioni di italiani, di servirlo con onestà e coraggio, giuro di applicare davvero la Costituzione italiana, da alcuni ignorata, e giuro di farlo rispettando gli insegnamenti contenuti in questo sacro Vangelo. Io lo giuro, giurate insieme a me? [folla: SIIIIII] Grazie! Andiamo a governare e riprendiamoci questo splendido Paese».
Parole che contano e che sono oggi così bistrattate: giuramento, impegno, fedeltà, popolo, costituzione, sacro Vangelo, esplodono nella piazza milanese.
E poi questa velata minaccia: Andiamo a riprenderci questo Paese.
Ma perchè? Il paese nelle mani di chi è? E tu vuoi riprendertelo per farlo a tua immagine e somiglianza? A me sembra tanto un “A noi!” 2.0.
Toni pacati e assertivi con i quali chiede ai presenti di “diventare testimoni e apostoli di questo cambiamento”: sostituire il linguaggio politico con quello sacrale è una furbata che deve avergli suggerito qualche ex prete.
“Italiani che hanno voglia di certezze”: secondo me ha visto troppi film con protagonista Winston Churchill.
E poi quel rosario brandito come segno di rispetto e di attenzione agli ultimi, ai disabili.
E poi in Sardegna l’alleanza con il Partito Sardo d’Azione, che lascerà a casa i Quattro Mori... per carità!
Credo che non bisognerebbe trascurare la potenza evocativa dei segni.
Non è un caso che nel dopoguerra, in un paese con un altissimo tasso di analfabetismo, i simboli dei principali partiti rappresentassero una croce da una parte e falce e martello dall’altra: simboli facilmente accessibili anche a chi non sapeva leggere.
E oggi che sappiamo leggere ma non leggiamo comunque, la storia si ripete.
Matteo Salvini conosce bene il suo elettorato, soprattutto al Nord, quel cattolicesimo diffuso, parrocchie, oratori, squadre sportive, patronati, cinema e via dicendo, quel cattolicesimo non sempre fatto di convinzioni, ma spesso di “appartenenza naturale”, quell’identificarsi coi “valori cristiani” a prescindere, dove però il rosario al massimo sta appeso allo specchietto retrovisore e il vangelo lo si regala al nipotino alla prima comunione.
No, non dovremmo sottovalutare i segni.
 In altri tempi Pio XI fece chiudere tutte le chiese e spegnere tutte le campane di Roma, e andò a Castel Gandolfo, quando Hitler fu ospite di Mussolini e le strade di Roma furono addobbate con la svastica in onore del Führer e disse: «Tristi cose, molto tristi, e da lontano e da vicino a noi; molto tristi cose; come il fatto di inalberare a Roma le insegne di un’altra croce, che non è la Croce di Cristo».
Ieri è stato peggio, perchè quel rosario e quel vangelo sono quelli veri.
Ma usati per altri scopi. Non dimentichiamolo.
Bisognerebbe che facessimo lo sforzo di non farci abbindolare da chi si presenta con segni che non lo rappresentano, ma rappresentano la pancia di chi deve votare.
Ecco, bisognerebbe non votare di pancia.
Il problema è che già mi vengono i conati, il mio stomaco non regge, e sinceramente è molto difficile oggi prendere una decisione.
Una cosa è certa: non voterò chi usa i miei segni, quei segni tanto cari e preziosi per me, il vangelo e il rosario, per darsi una parvenza di cristianesimo e di cattolicesimo, per accreditarsi agli occhi degli elettori.

venerdì 23 febbraio 2018

Riflessione alla II Domenica di Quaresima: La Trasfigurazione. Don Pietro

1. Il senso cristologico della Trasfigurazione.
- La trasfigurazione è la manifestazione anticipatrice della Gloria della Resurrezione.
- Il Figlio di Dio vive eternamente nella Gloria, dimensione misteriosa dell’essere e della vita intima di Dio.
- Rivestito di umanità e inviato tra gli uomini il Figlio di Dio nasconde sotto i veli del corpo questa sua Gloria eterna, Luce diversamente insostenibile ad occhi umani.

2. Mosè ed Elia.
Per entrare nella profondità del mistero della Trasfigurazione possono aiutarci le figure di Mosè ed Elia.
- Essi compaiono vicino al Cristo nella gloria del monte,
- certo, per collegare Gesù ai grandi testimoni del passato di Israele,
- certo, per accreditare agli occhi del popolo Gesù facendolo affiancare da queste due figure mitiche del passato.

Ma c’è dell’altro:
- Mosè ed Elia sono uomini animati, pervasi, agiti totalmente dallo Spirito.
- Dunque, anche la Trasfigurazione del Tabor è essenzialmente esperienza dello Spirito, per Gesù e per i discepoli.

        La nube.
- Il filo conduttore che unisce Gesù, Mosè ed Elia e i discepoli è la NUBE attraverso cui si manifesta la Gloria di Dio.

         Mosè.
- Mosè ha sperimentato la NUBE quando ha incontrato Dio faccia a faccia sul Sinai.
- Solo attraverso la nube l’uomo, creatura della finitudine e del limite, può fare esperienza di Dio.
- La nube gli fa vedere Dio come attraverso un velo che copre il viso, altrimenti gli occhi dell’uomo, cioè la sua ragione, sarebbero impossibilitati a sostenere il riverbero della Gloria di Dio.

          Elia.
- Qualcosa di simile accade ad Elia.
- Il profeta, stanco, deluso, avvilito, scappava lontano dalla perfida Gezabele che lo perseguitava a morte.
- Dio gli si rivela in questo momento di totale depressione – desiderava di morire – non nel vento impetuoso, non nel terremoto, neppure nel fuoco bensì nel mormorio di un VENTO leggero.
- Dunque l’esperienza dello SPIRITO, della PRESENZA di Dio lega Gesù, il grande dono dello Spirito al mondo, a Mosè mediatore del PATTO e ad Elia, restauratore dell’ALLEANZA.
- Gesù, Mosè ed Elia sono accomunati dallo stesso parlare con Dio, dallo stesso zelo per il Signore, dalla stessa indole di fuoco.

3. Pietro, Giacomo e Giovanni.
E qual è il significato dell’esperienza dei discepoli?
- Certo, quello di donare loro forza e intelligenza di fede in vista degli eventi tragici che incombevano, prima che la cresi li cogliesse impreparati.
- Purtroppo però questo tentativo resterà senza esito positivo. Essi non sapranno gestire lo scandalo della passione e morte del Signore e, tutti, si defileranno dimenticando che l’uomo dei dolori è lo stesso che al Tabor si è manifestato nella GLORIA.
Ma, oltre questo intento pedagogico, di consolidamento della fede dei discepoli, c’è dell’altro.
a) -     La trasfigurazione vera è quella degli Apostoli. Essi, infatti, per un istante passarono dalla carne allo Spirito e ricevettero la grazia di vedere l’umanità di Cristo come un corpo di luce, di contemplare la gloria del Signore nascosta sotto la kénosis, l’umiliazione.
- Questa visione della Gloria del Figlio che seduce e avvince i discepoli è promessa per l’ottavo Giorno, cioè per la fine della storia. Ad essi è resa possibile perché la potenza delo Spirito li ha investiti trasformandoli interiormente e immettendoli nella nube di una conoscenza oltre, non più quella degli occhi, cioè della ragione. Dio lo si può vedere solo con gli occhi “trasformati dalla potenza dello Spirito” (Palamos).
b)     Gloria ed umiliazione.
Ma l’esperienza del Tabor serve ai discepoli a capire anche la fondamentale relazione tra Gloria e umiliazione.
- La sofferenza-morte-umiliazione precede sempre la gloria della vita nuova.
- La gloria, abitazione di Dio in mezzo agli uomini, non è possibile senza sofferenza e persecuzione.
- I tre non comprendono perché nulla sanno ancora della Risurrezione. Croce e Gloria si possono capire solo l’una alla luce dell’altra.
c) Mosè ed Elia scompaiono.
Inoltre i discepoli, dalla scomparsa di Mosè ed Elia, debbono apprendere che la legge (Mosè) prepara solo la manifestazione di Dio mentre la profezia (Elia) la annuncia. Poi legge e profezia vengono oltrepassate quando al Figlio, che è la piena manifestazione della Gloria, la testimonianza verrà data direttamente del Padre e dallo Spirito.

4. La trasfigurazione per noi.
a) Il monte Tabor proposto nel tempo della Quaresima ha lo stesso significato e scopo del monte Sinai nel cammino di Israele nel deserto. Vedere Dio attraverso la nube dello Spirito. La mete della Quaresima è di contemplare la gloria della Risurrezione sul Volto dell’Uomo dei dolori per lasciare che la Luce del Volto di Dio investa e trasformi anche i nostri volti, mondo ed esistenza. Ma questa gloria anche per noi, come per il Cristo, si raggiunge attraverso l’umiliazione.
- Morte e Resurrezione sono strettamente legate. Questo perché l’Amore non può che essere crocifisso e sacrificale. Questo deve darci speranza: la via della Croce nostra e del mondo risplende già della luce di Pasqua.

b)   Il trasfigurato Gesù è allora pegno della nostra trasfigurazione finale.
Ma l’amore di Dio ci offre fin d’ora qualche anticipo di quello che saremo quando finalmente vedremo Dio faccia a faccia. Le lacrime saranno asciugate e dimenticate e le vostre vesti saranno bianche perché rese tali dalla sofferenza.
- Un momento forte di trasfigurazione nello Spirito è l’Eucaristia comunitaria:
- Pane e Vino: altro cibo e bevanda.
- Parole umane: Parola di Dio.
- Aggregazione umana: Famiglia di Dio.
- Peccatori: perdonati e amati.
- Figli delle tenebre: Figli del giorno.
C’è una luce eucaristica che non si vede, ma fa vedere! E noi la possiamo vedere secondo la nostra capacità: Dio si dona agli uomini secondo la loro sete.
Che la luce di Dio oggi e sempre possa risplendere sui nostri volti!
Perché ciò avvenga domandiamo con insistenza come Mosè: “Mostrami Signore il tuo volto, mostrami la tua gloria”.

venerdì 16 febbraio 2018

Prima domenica di Quaresima, riflessione al Vangelo. Don Pietro

1. La Prima Alleanza di Dio con l’uomo peccatore dopo il diluvio.

Non è un’alleanza bilaterale, ma è l’impegno solenne e  irrevocabile di Dio di essere a favore dell’uomo e di non distruggere più alcun vivente a causa del peccato.
L’umanità è incapace di evitare il peccato. Meriterebbe di essere distrutta attraverso lo scatenamento della natura.
Ma Dio non lo farà mai più. La sua ira si fermerà in tempo, prima che gli elementi della natura si scatenino contro l’uomo infedele.

2. L’arcobaleno.

Nell’antico Oriente i patti erano orali e un segno richiamava ai contraenti gli impegni assunti.
Nell’alleanza Dio-umanità il segno sarà l’arcobaleno. Esso:
o Indica la riconciliazione tra Dio e l’uomo – le disposizioni favorevoli di Dio verso l’uomo.

L’insistenza con cui se ne parla (5 volte!) vuole sottolineare il valore eterno di
questa alleanza.

L’arcobaleno nelle culture:
È ponte di collegamento tra terra e Cielo ( nella sua forma a parabola).
Nel Buddismo:  la scala a 7 colori è quella su cui Budda scende dal cielo.
Per i Pigmei, in Polinesia, Melanesia, Indonesia,  per iGiapponesi: “è il ponte fluttuante del Cielo”.
Nell’Islam: nei 7 colori sono raffigurati i 7 attributi divini. L’arcobaleno è perciò epifania Dio nel creato.
Presso molte tribù africane: è il desiderio di Dio di entrare in relazione con loro.  Orientano un arco verso il cielo e inneggiano a Dio Forte  e lo invocano perché ottenga la  liberazione dal diluvio.

Riflessione cristiana:
L’arcobaleno e ladifesa dalle grandi acque superiori (l’Arca da quelle inferiori).
L’Arca e l’Arco  delimitano l’area della  grazia e della salvezza.
L’Arca simboleggia la Chiesa; l’Arcobaleno è  Cristo (Cfr. pitture paleocristiane e mosaici).

Non è, esso, un segno per l’uomo, ma per Dio perché si ricordi dell’uomo.

L’essere del mondo e la nostra sopravvivenza sono appesi al filo dell’Amore di Dio.

Giobbe dice (2,10): “E’ Dio che ha nella mano l’anima di ogni vivente e l’alito di ogni carne vivente”.

Questo segno rilancia la bellezza dell’armonia totale del Cristo:
tra Dio e l’uomo.
tra l’uomo e la natura.
tra Dio e la natura.

Questa parziale armonia anticipa e promette quella ultima, definitiva, quando:
l’uomo giocherà con Cielo e terra, sole e creature.
Proverà gioia intensa, e riderà.
Anche Dio riderà con le creature.

S. Paolo: In Cristo sono ricapitolate tutte le cose.

3. Messaggio di grande speranza.

L’uomo non è preda di un destino cieco, vittima di un fato malvagio ma è nelle mani di un Dio che si è impegnato nei confronti della natura, habitat dell’uomo.

Alla base della natura e della storia c’è un “SI” di Dio:  un SI alla sua creazione e ad ogni vita.

Un “SI” incondizionato che nulla potrà mai veanificare.

Il male apparirà ancora nel mondo. Ma Dio veglia. L’esito finale non sarà la catastrofe cosmica, ma la redenzione piena di ogni creatura quando “Dio sarà tutto in tutti” (1 Cor15,28).

4. Atteggiamento  di Dio verso il peccato.

Egli “è lento all’ira”:
manifesta, ma frena il suo sdegno verso il male.
Fa conoscere la gravità della colpa ma limita il castigo rendendolo così appello alla conversione.

Paolo chiama questo stile Dio “il tempo della pazienza”: Dio disapprova la colpa ma aspetta  pazientemente l’uomo finché torni alla giustizia.

Se Dio ha pazientato prima del diluvio, continua a farlo anche oggi verso chi non crede e verso il male.
In Cristo, poi, Dio non si limita a tollerare il peccato e il peccatore, ma apre ad ogni uomo la reale possibilità di recuperare la via della giustizia.
In questo senso il “tempo è compiuto” e la sovranità di Dio è vicina!


5. La Quaresima.

1. Dio pone nei nostri cuori possibilità nuove di bene.
Queste non dipendono da noi, ma da Lui e per questo sono efficaci.

Dobbiamo ringraziare Dio
Per averci sopportato finora.
Per l’offerta rinnovata di una via d’uscita dal male garantita dall’esperienza di Gesù che, tentato dal Maligno, rimane fedele al progetto di suo Padre  con l’ascolto della Parola, con la preghiera e col digiuno.

Gesù conosce la nostra fragilità, la nostra debolezza, sa che siamo soli nel mondo e sempre esposti al male.
Ma Egli non ci farà mancare l’aiuto e la forza per vincere il Maligno.

sabato 10 febbraio 2018

RIFLESSIONE SULLA DOMENICA SESTA TEMPO ORDINARIO. Don Pietro

1. Società, devianza, emarginazione

È impressionante quello che abbiamo letto nel primo brano della Scrittura: le prescrizioni fatte da Mosè riguardo ai lebbrosi. Il lebbroso doveva vivere fuori dell'accampamento, in solitudine, doveva vestire abiti laceri, avere il capo coperto e doveva gridare sempre: " sono immondo sono immondo".
Queste norme -ed è questo l'aspetto più inquietante- erano avallate e sanzionate dalla religione. Erano, cioè, prescrizioni volute da Dio. Almeno così ritenevano i responsabili della religione.

2. Al tempo di Gesù fino ad oggi

Questo costume, questo meccanismo di espulsione dall'accampamento, dalla società di chi è diverso, deviante, di chi non si integra nell'ordine costituito perché pericoloso, vigeva ancora al  tempo di Gesù ed opera ancora oggi.
Anche nei nostri "accampamenti" non c'è posto per i lebbrosi, per gli anormali, in tutti i sensi. Per loro sono previsti compartimenti transennati, riserve, ghetti ben lontani dalle città,  moderni accampamenti.
Come al tempo di Mosè vigono ancora oggi metodi analoghi, gli stessi meccanismi di espulsione: quelli che non sanno, non riescono, non vogliono vivere secondi i canoni stabiliti dalla legalità, tutti quelli che danno fastidio ai "normali", quelli che deturpano con le loro piaghe un'immagine di città-accampamento che si vuole perfetta e pienamente integrata, vanno soegregati perché incapaci di vivere come noi. Pezzi nonriusciti, avanzi, esuberi, scarti del nostro sistema: da tollerare, con sospetto paternalismo e con benevola concessione. Comunque sempre mele marce da separare da quelle buone. Persone trattate come ortaggi…
Leggi sempre scritte e convenzioni morali sanzionano, da sempre, questi meccanismi di segregazione con l'avallo delle cosiddette "persone perbene", coloro che Gesù chiama i sani, i virtuosi, gli integrati, per i quali egli non ha avuto parole da dire se non di vituperio, di biasimo e di condanna.

3. Gesù e noi

Ma Gesù, con la sua parola e con il suo comportamento verso tutti gli esclusi che ha incontrato ha insinuato  dubbi nelle certezze di quanti vivono comodamente insediati negli accampamenti, i garantiti, i normali, i sistemati.
Gesù dichiara, senza mezzi termini, abusive le nostre granitiche sicurezze.  Gesù smaschera le nostre discriminazioni riconducendole al nostro ambiguo bisogno di garantirci da ogni infezione.
Gesù denuncia che  sotto la nostra legalità si nasconde un'intenzione iniqua: quella di difenderci dagli altri etichettandoli così pericolosi,  considerandoli come costi solo passivi  per la nostra organizzazione sociale.
Anche la religione, se non è attraversata da spirito evangelico, finisce per apporre il suo sacro sigillo legittimando questi procedimenti di emarginazione e convincendo i deboli, le vittime, che è giusto che siano emarginati, tanto poi ci sarà un mondo diverso, ma solo nell'aldilà, dove queste speculazioni non ci saranno più.
Gesù, dunque, è un segno di contraddizione per questa mentalità che emargina e ghettizza uomini e donne, dopo averli prodotti, e  magari con la benedizione della religione.
Gesù, che circolava fuori dell'accampamento, mette a soqquadro l’accampamento contestandone i valori, sacrali o laici che essi siano.
Gesù non persuade gli esclusi ad avere pazienza, ad attendere la morte per avere un risarcimento. Avesse fatto questo, l'accampamento lo avrebbe stipendiato perché garantiva la sicurezza. Invece l'accampamento lo ha fatto morire. Perché aveva dato ai lebbrosi  il sentimento della loro dignità,  persino quello di essere privilegiati agli occhi di Dio. Perché ha smascherato le virtù stabilite dall'accampamento come imbiancamento di sepolcri. Perché ha denunciato i suoi maestri  come falsi maestri.
Gesù guarendo il lebbroso e rinviandolo all’accampamento-società,  ha tentato di guarire anche l'accampamento-società dallasua lebbra: quella di non essere spazio di vita per tutti e questo non per i limiti e le debolezze delle realizzazioni umane, ma come esito voluto, programmato e perseguito con diabolica tenacia.
Questo è l'evangelo di sempre che vale per noi  suoi discepoli che siamo dentro l'accampamento e magari abbiamo anche qualche grado in esso...
Concretamente:  fare di ogni lebbroso, di ogni emarginato, il metro di misura e di giudizio di tutto l'accampamento.
Dobbiamo metterci in ascolto di quanti sono fuori l'accampamento per sentire il loro giudizio sull'accampamento.
 Guardare, insomma, il mondo dalla sua periferia, non dal suo centro. Gesù così ha fatto.
Dobbiamo perlustrare il nostro territorio umano per scoprire e contrastare i tanti processi di emarginazione. Donare  dignità e vita.
Ricordiamoci sempre che il Regno viene  quando un segregato viene reinserito in una società, che però per farlo, deve rimettersi in discussione.
Il Nome santo di Dio non può essere usato per giustificare il mondo così com’è, ma può essere pronunciato solo per preparare il mondo nuovo che viene e che Cristo ha già inaugurato.
Allora esso è un nome di liberazione. Perché il vero culto a Dio si celebra nel momento in cui l'escluso viene ricondotto dentro le mura di tutti.

sabato 3 febbraio 2018

Vangelo della V domenica del Tempo Ordinario. Riflessione di Don Pietro

La giornata tipo di Gesù  comprendeva un tempo dedicato alla preghiera, uno alla predicazione e uno alla guarigione degli infermi. Con libertà e flessibilità, ovviamente…

1. Gesù " uscito dalla sinagoga"
La Comunità e la Celebrazione  eucaristica sono momenti fondamentali della fede. Poi, però, come Gesù, bisogna "uscire" per fare comunione con tutti, per celebrare l'eucaristia della vita.

2. "Si recò in casa di Simone"
La casa di un vero discepolo del Signore è sempre aperta a Cristo e ai fratelli. Una famiglia cristiana è accogliente e disponibile, vince egoismi e diffidenze.

3. "La suocera di Simone era letto con la febbre"
L'uomo è sempre malato: nel corpo, nella mente, nello spirito

4. "Gesù la sollevò prendendola per mano"
L'eloquenza dei gesti semplici!
Il valore del contatto fisico!
Il simbolismo del tenere la mano.”Egheiro”, la sollevò: verbo tipico della risurrezione.

5. "La febbre e la lasciò ed essa si mise a servirli"
L'uomo integro è solo colui che serve.
In questo brano abbiamo l'elogio della casalinga da parte di Gesù.
La salute è certamente un "bene", ma è solo un mezzo non un fine.

6. "Gli portarono tutti i malati e gli indemoniati"
Il cristiano non sa, ne può guarire: è solo un "portantino". Egli indirizza all'unico "guaritore” tutti i malati.

7. "Tutta la città era riunita davanti alla porta"
Il fascino potente del vero credente!
Vanità dei mezzi umani per riempire le chiese!
La vera e la falsa visibilità per un credente…

8. "Si ritirò in un luogo deserto e là pregava"
Occorre riscoprire l'amica solitudine.
Il segreto del credente?: la preghiera
Gesù ha tanto da fare, la gente lo preme, tutti lo reclamano, ma nessuno riesce a rubargli il tempo dedicato alla preghiera.

9. "Tutti ti cercano... ma egli disse: andiamocene altrove..."
Le ambiguità e tentazioni della folla e del successo...
Avere l’occhio e il cuore  oltre l'orticello dei "nostri" bisogni…

MESSAGGIO SPIRITUALE COMPLESSIVO

 La condizione umana

L'uomo vive le sue esistenza inuna condizione di radicale miseria. Siamo condannati alla morte e i nostri giorni corrono senza speranza verso l'estuario: il niente.Accoliti della morte, anticipatori dell'evento ultimo sono: malattie, sofferenza, contrarietà... Insomma la nostra natura è destinata a logorarsi e ad estinguersi.
Questa condizione infelice non è un caso anomalo, eccezionale, un errore della natura che capta a qualche sfortunato. Al contrario è una condizione universale su cui nessuno può incidere superandone la conseguente infelicità. Insomma la condizione di infelicità inserisce all'uomo in quanto tale.
Giobbe riconduce la verità dell'uomo al nulla.: ed è parola dellaBibbia, parola di rivelazione: "la nostra vita si consuma come spol e i nostri giorni finiscono senza speranza".
Questa fragilità umana diventa visibile, tangibile al momento della malattia, della vecchiaia, della solitudine. Non sono casi particolari: è la legge ed è la nostra condizione. Una condizione che Gesù incontra quando viene a contatto con i malati.
Nella visione biblica tutto il mondo delle debolezze, delle malattie, della morte, è il mondo di Satana. Il demonio, nel linguaggio biblico, è un potere anonimo oscuro, che tiene l'uomo schiavo in questa miseria.
Satana è questo dominio del male, un male anonimo che non dipende in modo esauriente da responsabilità singole, un male che trascende la somma delle volontà individuali divenendo una sorta di totalità onnipotente.

Amore come testimonianza e annuncio di salvezza ha perso il male c'est protestanti questo stesso del male pervade il Vangelo e Gesù, come Salvatore, pasto spesso inutili che ne sono colpiti, indemoniati, malati, pescatori. Quando il suo farsa non forse era un malato e Gesù parla e libera. Custodite questa liberazione non è un'applicazione pratica del Vangelo e esso il Vangelo. In Gesù la parola era di digradante salvante nell'atto stesso in cui veniva pronunciata.
Per noi è diverso: la parola detta a un malato, dopo schiavo, ad uno sottratto, resta solo parole, solo speranza. Che pure se c'è un tono che l'uomo attende proprio questo: sapere che di fronte al regno del male c'era promessa di Dio che ha affidato la foto di salvezza all'amore.
Una salvezza che coinvolge l'affarista dell'uomo: anime il costo egualmente segnato dal dominio del male come miseria, schiavitù, oppressione.
Una salvezza che in radice e salvezza dalla morte: e questo è l'essenziale. Senza di essa ogni altra liberazione sarebbe soltanto di lazione della disperazione.
Gesù, dunque, salva l'uomo reale da cui salvi c'è mito della sofferenza e le cui membra sono afflitta dalla malattia.
Questa malattia, Gesù, nulla interpreta come un incidente provvisorio, ma come l'anticipazione di una istituzione finale, la morte, un caso normale della o scura onnipotenza del male. Una onnipotenza di Gesù vince con l'amore.
Noi dobbiamo annunciare questa speranza: chi incontra il Cristo veramente, ottiene la guarigione feste! Perché ogni sofferenza assunta per amore dal ferito da strumento di morte per il peccato, e divenuta strumento di sconfitta per Satana.
Una sofferenza accolta con amore diventa occasione di salvezza, e "guarigione" vera. Se la guarigione fisica che noi assistiamo non avviene, allora c'è una chiamata per il soffitto alla "servizio" della sofferenza, il servizio più alto. Perché è la croce di Cristo, il solo essa, a impostare il male per salvarsi..

venerdì 2 febbraio 2018

Festa della presentazione di Gesù al Tempio.

A quaranta giorni dal Natale celebriamo ancora, gli episodi dell'infanzia di Gesù, ma già si profila l'offerta sacrificale della sua Pasqua, Ebrei devoti e pii, i genitori di Gesù adempiono i doveri della Legge: presentano il Bambino per consacrarlo a Dio nel santuario della sua divina
presenza. Questo è l’"incontro” primario e permanente del Padre con il Figlio. Quando sarà cresciuto, spiegherà ai genitori che deve stare perennemente nella casa del Padre suo.
Quest' “Incontro” diventa, anche un appuntamento del divino Bambino con il  suo popolo, rappresentato da una figura singolare, Simeone, uomo giusto e pio, che ricevendo il Bambino sulle sue braccia, innalza al  Signore una benedizione e parla di lui come segno di salvezza offerto a tutti i popoli. Invece, contraddetto e rigettato, coinvolgerà anche sua madre  nel sacrificio della Croce. Poi la vedova Anna, che stava in continua preghiera e che ora accorre nel tempio, anche lei riconosce nel Bambino la redenzione di Gerusalemme.
Questo solenne "Incontro" tra il Padre e Gesù è il segno dell’incontro quotidiano tra Dio e il suo popolo, che oggi vede il suo inizio, ma non conosce fine. In ogni celebrazione dei santi misteri, Dio si incontra con il suo popolo nel sacrificio pasquale del Figlio.

giovedì 1 febbraio 2018

AUSCHWITZ: SI REPLICA?

L'inferno da sempre ha le sue succursali. Sulla terra.  Per i vivi.  Una di esse si chiama Auschwitz. E anche Satana ha molti collaboratori. Sulla terra, non solo negli inferi. Settant'anni fa si chiamavano SS, Gestapo. Erano spietati aguzzini. Esperti nello scovare ebrei, anche fragili donne e teneri bambini, anziani, malati, persino moribondi. Insieme al popolo con la Stella celeste, anche zingari, omosessuali, portatori di handikap, alcolizzati, pazzi... Si sa: mica tutti hanno il diritto di vivere! Un privilegio, la vita, riservato solo ad alcuni fortunati, quelli appartenenti alla pura razza ariana, meglio se con occhi celesti, chiome d'oro e statura atletica, almeno un metro e ottanta. Lo esigeva il nazismo, la folle ideologia  elevata a religione con i suoi dogmi, i suoi sacerdoti, le sue scomuniche e condanne, la sua  Inquisizione e tantissimi credenti e praticanti.
Ma un modello sacrificale  esige anche vittime, meglio se innocenti. 70 milioni di morti, di cui sei di ebrei: è il macabro bilancio di una follia collettiva, di un odio irrazionale, di una tragedia annunciata, programmata ed eseguita alla perfezione. Dopo quella del Bene in Gesù Cristo anche qui un’incarnazione, ma del Male, sulla terra in un uomo lucidamente pazzo, in un popolo aizzato e ubriaco di odio contro un nemico inventato dall'ideologia. Esattamente la gratuità del male. Forse la sua banalità, insieme a mille atrocità e orrori per cui mancano anche le parole. Un evento per molti addirittura impensabile e indicibile. Guai, però, a seppellirlo sotto il silenzio, a coprirlo con il manto dell'oblio. Chi dimentica gli orrori del passato è condannato a subire la loro replica. Non ricordare le vittime del massacro è non averne rispetto, è ucciderli una seconda volta col silenzio, è, infine, assecondare l'aberrante disegno di chi proprio questo voleva: cancellarne il ricordo dalla faccia della terra.
Se ci tormenta ancora la straziante interrogazione sul perché è potuto accadere, questo è segno che non abbiamo ancora smarrito del tutto il senso morale e la dignità del pensiero e della coscienza. Anche se, alla domanda sul perché, è arduo, forse impossibile, rispondere. O forse abbiamo paura della risposta? Infatti  non è Dio che deve giustificarsi per la Shoa. Non è Dio colpevole dell'Olocausto di quasi tutto il suo popolo eletto, gli ebrei. L'uomo con il suo libero arbitrio male usato, pur restando questo un o il dono divino in lui, è l'unico responsabile, (o sarebbe meglio dire l'irresponsabile?) da trascinare alla sbarra. L'intera creazione, con il suo miracolo più grande, la vita, da Dio è stata affidata alle cure amorevoli dell'uomo perché la custodisse, ne favorisse la crescita e la difendesse. Da qui l'interdetto divino sul sangue, il divieto assoluto dell'omicidio, il non uccidere del comandamento. Non Dio, dunque, deve giustificarsi per la Shoa, ma l'uomo.  E perché questi lo ha fatto? Lo sconcerto della domanda cresce se pensiamo che gli sterminatori appartenevano tutti all'Occidente cristiano. Nell'abisso di quale aberrazione ideologica la loro mente e il loro cuore sono precipitati? Può l'uomo dimenticare e ignorare il mandato conferitogli da Dio di prendersi cura dell'altro uomo, di ogni vita? Evidentemente si. Altre terribili Auschwitz si sono, nei decenni successivi, susseguite alla prima. Quando l'uomo che è in noi imparerà che piantare e salvaguardare le radici della propria vita impegna a non reciderle in nessun altro?