La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

sabato 25 gennaio 2020

Vangelo della III domenica del T.O.. Don Pietro


1. Gesù parte dalla periferia, dagli ultimi

Gesù inizia la sua predicazione dalla Galilea, ci dice Matteo. Questa indicazione di luogo non è principalmente ed esclusivamente un'annotazione storico-geografica, ma contiene un messaggio teologico sulle scelte e sullo stile con cui Dio vuole, attraverso il Cristo, agire nel mondo per costruire il suo Regno.
La Galilea era allora, dal punto di vista socio-religioso, una terra povera, desolata, avvolta dalle tenebre perché contaminata da presenze pagane. Proprio per questo la parola del Vangelo, la buona notizia, risuona innanzitutto là, nella periferia religiosa del giudaismo, non al centro, a Gerusalemme, cuore del paese, dove pure doveva manifestarsi la gloria di Dio.
Dio, in Cristo, va a cercare la gente lontana da lui. Sono le povertà dell'uomo che attirano la misericordia di Dio come un dono. È in quella terra, dove la religione di Israele viveva in stretto contatto con il paganesimo, che risuona il messaggio decisivo:

2. "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino"

È a questa gente che viveva nella lontananza da Dio, che il Signore si fa vicino con la sua regalità ricca di misericordia, esortandola a cambiare l'orientamento della propria vita per accogliere le primizie della salvezza.
Una salvezza che è  luce perché l’evangelo illumina e dona chiarezza di orientamento alla vita dell'uomo.
Una salvezza che è gioia perché il bisogno dell'uomo viene colmato con la pienezza della vita divina.
Una salvezza che è liberazione perché la sovranità di Dio libera da ogni altra sottomissione e schiavitù.

"Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino" cioè, perché Dio sta per esercitare la sua regalità salvifica. Cioè:  sta per accadere nella storia una novità: la presenza attiva di Dio.
L’uomo può rispondere a questo avvento-evento solo con la conversione, con il mutamento profondo dell'orientamento fondamentale della sua vita.
Nella storia dell'uomo, nella sua vita ora è presente Dio e nulla può rimanere come prima: tutto cambia, tutto si rinnova.

3. I primi discepoli

Le parole e le opere di Gesù mostreranno che veramente il regno di Dio si è fatto vicino.
Ma è interessante che Matteo lo mostri anzitutto con la narrazione della chiamata dei primi apostoli.
Alcuni pescatori stanno facendo semplicemente il loro mestiere: all'improvviso lasciano tutto -reti, barca, famiglia-  e iniziano un'esperienza singolare. Che cosa è successo? È successo che è arrivata fino a loro una parola potente che li ha staccati da tutte le loro abitudini e sicurezze di vita. Una parola che li ha gettati in un'avventura nuova. È l'avventura del Regno. Il Regno non è solo una bella idea. È Dio con tutta la sua forza e il suo amore. Quando questo Dio passa accanto all'uomo, si sviluppa una forza irresistibile di  attrazione che scioglie i vecchi legami e  ne costruisce di nuovi. Dovunque il Regno di Dio è passato: vicino a Pietro, ad Andrea, a Giacomo, a Giovanni, è passato così vicino  che la loro vita ne è stata sconvolta.
In realtà chi è passato e Gesù di Nazaret: è lui che questi pescatori hanno visto, sono le sue parole quelle che hanno ascoltato, è dietro a lui che si sono mossi.
Non si poteva far capire meglio che è Gesù stesso  il Regno di Dio: che in lui Dio si fa vicino agli uomini, che seguendo lui gli uomini mettono la propria vita in sintonia con la logica del Regno.
Ora, dunque, c'è un luogo sulla terra dove Dio si fa conoscere, sentire, vedere: è l'umanità umanissima di Gesù. Entrare in rapporto con l'uomo Gesù è il modo concreto per entrare in rapporto con Dio.
Stare con Gesù significa anche avere un interesse nuovo per gli uomini e per la loro salvezza da perseguire come una specie di nuova professione:

"Vi farò pescatori di uomini".

Ecco allora cosa significa nella sua essenza più profonda diventare "cristiani": significa stare con Cristo per il bene vero dell'uomo. Ecco, anche, cosa significa la Chiesa: significa uomini e donne alla sequela di Gesù a favore degli uomini curando, come Gesù, ogni sorta di malattia e infermità nel popolo.
Ecco un modo di essere pescatori di uomini che si può attuare anche senza possedere poteri taumaturgici, senza fare prodigi, ma operando il grande miracolo di restituire un'esistenza alla sua dignità e pienezza di vita.

sabato 18 gennaio 2020

Meditazione sul Vangelo della II Domenica del T.O.. Don Pietro


1. Giovanni parla di Gesù a quanti incontra. Noi, come Giovanni, possiamo parlare di Gesù?

a. Il mistero di Dio, nascosto nei secoli, è stato a noi manifestato in Gesù. Nel figlio suo Dio si è fatto trasparente, pur rimanendo un mistero inaccessibile, indisponibile e ineffabile. Possiamo allora osare dire Dio in Gesù, ma con umiltà e con rispetto del mistero che in lui permane. Ri-velare, del resto, significa togliere ma anche rimettere il velo.

b. Ma a noi, più che parlare di Gesù è chiesto di essere solo i suoi testimoni, attraverso lo Spirito.
Giovanni  dice: "Io finora  non lo conoscevo... ma ho visto lo Spirito  scendere… e posarsi su di lui".
Può parlare di Gesù, può cioè fare una vera comunicazione per una comunione spirituale solo chi può dire: "Io ne ho fatto esperienza, l'ho conosciuto, l'ho incontrato, la sua verità è divenuta verità per me...".

2. Cosa possiamo dire, testimoniare di Gesù?

a. Egli è il Servo sofferente, l'Agnello che è venuto a portare, a portare via, il mio peccato e quello del mondo.
Il Servo sofferente si fa carico del dolore delle vittime e della malvagità dei carnefici e così libera entrambi col suo amore obbediente. Egli non è un "capro espiatorio" che esprime solo il bisogno di liberare dai peccati. Egli è un dono di Dio agli uomini.

b. Gesù è, inoltre. il donatore dello Spirito di Dio, Colui che consola, che difende, che anima, che accompagna.

c. Egli è, infine, il Figlio di Dio, che comunica la vita di Dio, che ci rende simili a lui, cioè figli nel quale il Padre possa compiacersi.

3. Cosa è chiesto a noi?

A noi è chiesto l'ascolto della fede, l'ascolto della parola di Dio. Il primo  comandamento di Dio al suo popolo è proprio questo: "Ascolta  Israele-Shemà Israel...".
La parola ascoltata il pio israelita e ogni credente deve legarsela alla mano, perché sia guida alla sua azione. Deve metterla come  pendaglio alla fronte, perché illumini il suo pensiero. Deve appenderlo agli stipiti  della porta di casa, perché sia guida alle sue relazioni sociali.
È il comando contenuto nel Salmo '94: "Ascoltate oggi la sua voce..." e il Salmo 39 recita: “sacrificio e offerta io non voglio, dice il signore, gli orecchi ti ho aperto". In ebraico il verbo Shamà significa insieme ascoltare e obbedire.
L'ascolto della parola di Dio deve essere radicale: la parola ascoltata cioè deve  incidere alle radici dell'essere di una persona e della costruzione della sua vita. Siamo chiamati a imitare Maria di Betania, la sorella di Marta e di Lazzaro: seduta ai piedi  di Gesù ha l'orecchio teso ad ascoltare le sue parole. Nemica dell'ascolto è la superbia, amica dell'ascolto è l'empatia, cioè un rapporto d'amore con la parola. Oggi per ascoltare la parola di Dio occorre riscoprire il silenzio.

sabato 11 gennaio 2020

Battesimo di Gesù. Riflessione di don Pietro


1.Significativa è la reazione di Giovanni Battista: vorrebbe impedire a Gesù di farsi battezzare insieme con gli altri che erano peccatori.
Una peculiarità del Vangelo di Matteo è la seguente: attraverso la ritrosia di Giovanni Battista Matteo escogita un espediente catechistico per affermare con forza la divinità del Cristo. Matteo vuole inoltre ribadire la necessità per il mondo giudaico di riconoscere il Cristo: "Io ho bisogno di essere battezzato da te". Perfino il Battista, il più grande in Israele a giudizio dello stesso Gesù, riconosce la necessità di ricevere da lui il perdono dei peccati e la salvezza.

2. Il battesimo, dunque, in Matteo è come le epifania della divinità di Gesù.
La parte più importante non consiste nel bagno di acqua, ma nella visione che segue. I cieli  si aprono: segno dell'avvento dei tempi escatologici. Lo Spirito scende come colomba: è l'investitura divina del Messia. Una voce si ode dal cielo: il Padre dà le credenziali al Figlio. Spirito e parola sono, dunque, presenti: le due grandi mediazioni dell'azione divina nel mondo, gli strumenti della presenza salvifica di Dio. Gesù è ripieno di entrambi.

3. Il battesimo di Gesù è come  una grande apertura di scena che manifesta e presenta il Figlio di Dio e la sua missione.
Sulla scena sono presenti tutti i personaggi: il popolo della promessa che ferve nell'attesa e si fa battezzare da Giovanni Battista; Giovanni, l'ultimo profeta dell'Antico Testamento; Gesù, il Padre e lo Spirito santo.

4. Il profilo di Gesù

Nel battesimo emerge la figura del Servo sofferente o dell'agnello che si sottopone volontariamente e liberamente alla sofferenza e alla morte. Gesù emerge ancora come il Figlio nei quali il Padre si è compiaciuto: l’agapetos, cioè l’amato: per coglierne il senso bisogna riferirlo alla figura di Isacco che era l’agapetos, il figlio diletto, amato, di Abramo.

5. Perché Gesù si è fatto battezzare

Giovanni predicava un battesimo di penitenza e di remissione dei peccati. Come ha potuto domandare di essere confuso con i peccatori, di essere purificato da colpe che non aveva commesso, Colui che ha osato dire: " Io e il Padre siamo una cosa sola"?
Certamente non per umiltà: l'umile non si adorna di virtù fittizie, né si addebita  difetti che non ha. L'umile si sente peccatore perché la sua vicinanza con Dio illumina i suoi difetti con una luce insostituibile.
Gesù chiede di essere battezzato per esprimere la sua solidarietà con i peccatori, per far causa comune con loro, partecipare alle loro riunioni, aggregarsi ai loro gruppi sbandati ed emarginati.
Gesù non si sostituisce i peccatori, non prende su di sé i loro crimini, non li espia al posto loro.
Questa teoria  della sostituzione non rende giustizia di Dio: Dio aggirerebbe come se il Cristo fosse colpevole. Ne rende giustizia agli uomini: sarebbe come se fossero giustificati.
Non vi è stata sostituzione nella redenzione del Cristo. Gesù non è morto perché noi non morissimo. Gesù non ha sofferto per evitarci di soffrire.
Egli è morto ed ha sofferto perché la nostra morte e le nostre sofferenze divenissero simili alle sue: realtà colme di amore e di fede.
Gesù non ha fatto come se lui fosse peccatore e noi non lo fossimo più. È solo venuto a vivere la vita umana amando in tutte le situazioni in cui noi non sappiamo amare: nella sofferenza, nell'ingratitudine, nell'ingiustizia, nell'umiliazione...
C'è un solo peccato: non saper amare sempre. Il Cristo ha amato dovunque è sempre, in tutte le circostanze, caricandosi delle nostre colpe, incaricandosi, meglio, di insegnarci ad amare trasmettendoci il suo amore. Solo chi ama totalmente può testimoniare  e comunicare l'amore e la sua energia.
In questo senso Gesù è l'agnello di Dio che toglie, cioè porta, il peccato del mondo. Nel senso, cioè, che ci dona di amare come lui, di servire come serve lui, di perdonare come perdona lui.
Togliere il peccato, perciò, non è un'operazione estrinseca, quasi un gioco di prestigio divino.
Quel che Gesù ha fatto di magnifico è stato di andare a cercare i peccatori laddove essi erano, aggregandosi a loro, ma irradiando una misericordia, una gioia ed una speranza tali da trasformare i suoi compagni di vergogna e di croce.
Davanti a questa massa di peccatori il cielo si è aperto. Su questa umanità spregevole lo Spirito si è manifestato. In mezzo a peccatori, soldati e cortigiane, Dio rivela e accredita il suo Figlio prediletto in cui pone la sua compiacenza.

lunedì 6 gennaio 2020

Solennità dell'Epifania. La riflessione di don Pietro


 1. I Magi
Non erano, come comunemente si crede, dei Re, bensì dei Dotti-Maghi.   Vivevano nel territorio dell' Eufrate, regione ideale per l'osservazione delle stelle, grazie all'aria limpidissima e alla religione locale che venerava divinità astrali e potenze celesti che, come esseri, signoreggiavano l'esistenza.
Credevano anche che astri e costellazioni potessero influenzare la vita degli uomini per quanto concerneva matrimoni, viaggi, inizi di attività, ecc...
Nei templi c'erano esperti di tale arte e davano consigli a chi li interrogava. Uomini di questo tipo vennero a Betlemme.
Israele era stato deportato in quel territorio, portando seco i libri sacri che, dunque, erano letti dagli astrologi locali. Questi, perciò, conoscevano le profezie sul Messia, sul suo Regno aperto a tutti gli onesti, come dovevano essere i Magi.
In una notte, osservando una costellazione, cui la tradizione attribuiva significati di regalità e salvezza, essi compresero che c'era finalmente il segno del Messia promesso e, con cuore aperto e volontà pronta, si mettono in viaggio alla ricerca di colui che offre salvezza.

2. Il senso della festa
L'Epifania non è il giorno dei saggi provenienti dall'oriente, bensì il giorno dell'apparizione. Il termine -epifania- deriva dal culto dell'imperatore considerare divino, salvatore, soprattutto nel giorno del suo primo mostrarsi alle genti, la sua  Epifania, l'inizio nuovo della salvezza.
La Chiesa ha trasferito il tutto all'apparire del Cristo-Signore, Salvatore di tutti i popoli.
Probabilmente all'inizio i Magi restarono perplessi e delusi: non palazzi regali, non sale sontuose, ma solo "un bambino e sua madre".
Eppure si prostrano, adorano e offrono doni regali: oro e incenso (Mt 2,11).
Cosa accadde in loro? Cosa videro di più?
Non uno splendore irradiantesi dal bambino, non adorazione di angeli. Per comprendere rifacciamoci ad una nostra esperienza.
Un cespo di rose fiorite, non è ai nostri occhi solo un insieme di steli, foglie, boccioli e petali, ma un evento armonioso e stupendo del miracolo della vita, della sua indicibile bellezza.
Così, un cane non è solo un organismo vivente che corre, abbaia, salta e scherza, ma un esempio di essere capace di esprimere gioia e attaccamento al suo padrone.
Accade lo stesso con un uomo, nostro amico, che non vediamo da tempo e che  reincontriamo: nello sguardo, nel saluto, nei gesti, nel sorriso... noi risaliamo alla sua anima, al suo ricco mondo interiore.
Insomma in lui, col nostro occhio, riusciamo a vedere il mistero nascosto nella creaturalità delle cose e cioè il trasparire in esse della potenza divina che le ha create e che conferisce loro un senso per noi, una preziosità che ci tocca.
Diversamente avremmo solo il puro mondo, freddo e spaventoso.
Ora la potenza di Dio che traspare dalle cose è la loro  epifania per noi.
Così dal bambino di  Betlemme traspare la luce inaccessibile di Dio che in lui può essere vista attraverso il suo corpo.
Certo occorre un occhio capace di andare oltre la materialità delle cose e della corporeità dell'uomo.
Per quanto riguarda Dio occorre avere cuori puri, secondo la beatitudine (Mt 5,5).
Ha cuore puro chi ha la rettitudine dell'amore, chi aspira a  ciò che è alto, nobile e santo.
Occhi così vedono nelle cose Colui che le ha create e in Gesù il Verbo della vita.
I Magi avevano questi occhi e nel bambino hanno visto il Redentore.
Anche noi siamo chiamati a mantenere puri gli occhi, se vogliamo contemplare le realtà divine.
È possibile per noi, anche se fisicamente Gesù non è più con noi, attraverso la Chiesa nella quale risuona viva la parola, opera la grazia attraverso la liturgia e un popolo di Dio nasce e cammina nel tempo.
Solo l'occhio deve essere  puro attraverso un cuore libero da ambizione, avidità, sensualità, paura, frastuono... da ciò che è terreno.
Questo sguardo puro deve accompagnarci nella celebrazione eucaristica, nei rapporti interpersonali, negli eventi della vita.
Allora nel mutamento possiamo scorgere qualcosa che resta, nell'egoismo un amore, nell'assenza una promessa, nella solitudine un'amicizia e tutto porterà un nome: Gesù Cristo.
Dobbiamo chiedere con insistenza questo dono che è il dono dei doni: conoscere e amare Gesù Cristo.

domenica 5 gennaio 2020

Riflessione sul Vangelo della Seconda Domenica dopo Natale. Don Pietro

1) Il Natale nel suo significato più profondo
 "Il verbo si è fatto carne e divenne ad abitare in mezzo a noi"
il Natale celebra la nascita di Gesù, il Messia, il figlio di Maria, il figlio di Dio, Dio lui stesso. Nasce Colui che non ha natali.  In una notte conosce il parto di una donna Colui che è da sempre e non è nato mai.
Il Natale è certamente questo: una stalla, una nascita, una madre, un bambino che piange e  succhia il latte come tutti i bambini. Ma il Natale non è solo questo.
 Il Natale è l'Eterno che accetta di farsi tempo. L'Infinito che accetta di farsi  limite. Non per masochistica autodistruzione. Non solo per partecipare alla nostra sorte di disperata finitezza. Se fosse solo questo il Natale, Cristo sarebbe il Consolatore ma non il Salvatore.

2) Nasce il Salvatore
 "A quanti l'hanno accolto, ha dato potere di diventare i figli di Dio"
I padri dicono che Dio si è fatto uomo affinché l'uomo diventasse Dio. Dio si fa  uomo quando, nell'incarnazione, Cristo mette nel suo petto il cuore di pietra dell'uomo. Quando cioè assume le colpe del mondo su di sé. Quando assume la nostra durezza e spietatezza. Quando assume su di sé quanto l'uomo aborre: umiltà, povertà, vulnerabilità....
L'uomo può diventare "Dio" quando in Cristo ritrova l'infinita tenerezza di un rapporto filiale con Dio-padre. Non quando cerca di diventare da povero ricco, da debole potente, da sofferente impassibile, da dipendente autonomo.

3) il coinvolgimento cosmico

Non solo l'uomo, ma l'intera creazione è coinvolta in questa storia di salvezza. Infatti non solo con l'uomo, ma anche col mondo Dio stabilisce la sua alleanza, come un giorno fece attraverso Noè. Il mondo, entrando in questa alleanza, partecipa alla redenzione, alla risurrezione.
Così a Natale l'Eterno si fa tempo, perché il tempo possa farsi eterno. L'infinito si fa limite, perché il limite possa dilatarsi a dimensioni sconfinate.
Oltre che all'uomo anche al mondo e alla terra si estende la salvezza portata da quel bambino. Niente di ciò che amiamo, di ciò che soffriamo, di ciò che costruiamo, niente è escluso da quella salvezza. Nulla andrà perduto, ma tutto è destinato ad una sorte è infinita.

4) il vero senso della Kenosis
 “E il verbo si fece carne"
A Natale si verifica la più grande umiliazione del Verbo di Dio, del Figlio. Ma non solo nel senso che nasce in una stalla, tra i poveri, tra i diseredati, tra gli ultimi della terra. La vera, più profonda e sconvolgente umiliazione consiste in un impoverimento più essenziale: Dio, in Cristo, offusca la sua divinità e si fa debole e mortale come noi. L'onnipotenza si è fatta "impotenza", non solo l'impotenza di Gesù bambino, ma quella di Gesù adulto di fronte alla sua vita e alla sua morte.
Un'impotenza che non consiste tanto nel non potersi opporsi alla forza e alla violenza dei crocifissori, ma soprattutto nell'assoggettarsi – Lui, Dio- alla nostra libertà, al volere dell’uomo consentendo a questi di rendere vana la sua volontà, di prevalere su di lui e sopraffarlo con la propria. Questo è il massimo dell'impotenza accettata da Dio facendosi uomo in Cristo: la volontà dell'uomo al di sopra della sua

5) Una debolezza per amore
 Dio si è fatto "impotente" per amore. L'amore, infatti, cede sempre qualcosa di sé e comporta un accettata e consentita debolezza (... di uno che ama  si dice: " ha un debole!..).
Di fronte a questa debolezza che l’amore di Dio ha avuto per noi, emerge il nostro peccato in tutta la sua odiosa viltà: è un prevalere su un debole e sul debole volontario, su uno che ci ha amati e si è fidato di noi.

6) l'attesa di Dio

Dinanzi a "questo" Dio, il primo nostro atteggiamento deve essere quello dell'attesa. Perché Dio è Colui che è sempre venuto e viene incessantemente. Viene nella creazione, nell'alleanza, nelle profezie, nella legge... Sul piano personale viene nella nostra nascita, fa alleanza con noi nel battesimo, viene tutti i giorni nella vita, viene gli eventi della storia che sono altrettanti avventi di Dio. Nella vita è Dio che  ci risveglia al mattino. E’ Dio che ci guida lungo l'arco del giorno. E’ Dio che ci visita nella sera. E’ Dio che ci accompagna nel sonno della notte. Egli viene nella tristezza e nella gioia, nella speranza e nell'angoscia, nel lavoro, nella fatica, nel riposo, negli eventi della storia. Egli è presente nell’esaurirsi dei cicli storici, nell’affacciarsi di nuovi popoli, di nuove civiltà, nei tanti segni dei tempi.

7) L'accoglienza di Dio: due modelli

A) la donna del Cantico:
E' una donna in attesa che muore dal desiderio di incontrare l'amante-amato. È una donna che prende le sue iniziative, ma dopo che lui è venuto, dopo che se n'è andato.  È una donna-simbolo della intera umanità che aspettava l'a venuta di Dio e non sempre col dovuto fervore, una donna che tarda a rispondere. Ed ecco il peccato, il tradimento d'amore che più che un fare è un non fare, più che un'offesa positiva è una mancata risposta.
B) Maria:
E’ una donna che si è lasciata amare ed ha risposto all'amore accettandone i rischi. Maria significa: l'attesa universale; il suo grembo simboleggia l'accoglienza cosmica; i nove mesi di  gestazione riassumono tutta la storia umana.
La spiritualità del tempo di Natale ancor più che spiritualità del dare, è spiritualità del ricevere, dell’accogliere. Prima di cercare Dio, dobbiamo lasciarci cercare da lui. Prima del nostro fare, c'è il nostro attendere.