1. Il senso della festa
La festa di Cristo Re vuol essere ed esprimere la lode riconoscente della Chiesa al suo Salvatore.
Acclamando Re e Signore dell'universo Gesù Cristo la Chiesa vuole attribuire al lui il titolo più appropriato ed elevato, quello che solo al lui conviene perché solo da lui deriva ogni salvezza.
Purtroppo la nostra cultura non possiede parole forti che riescano ad esprimere tutto quanto si vorrebbe dire di Cristo. Gli ebrei potevano dire Messia, i greci Signore, i latini Imperatore, le altre culture antiche potevano usare il titolo di Re per evocare un potere sconfinato e salvifico.
Per noi, invece, una volta svuotata del suo contenuto sacrale la nozione di autorità, tutte queste parole risultano prive di forza e di valore reale. Che titolo, dunque, potremmo dare Gesù per tutto quello che di sommo e di inaspettato egli rappresenta per noi?
La liturgia usa ancora il titolo di Re, ma avverte il bisogno di premettere molte precisazioni e spiegazioni per giustificarne l'applicazione Gesù.
Egli infatti è Re, ma in un senso totalmente diverso da come lo sono le figure largamente squalificate delle moderne monarchie e anche da come lo erano i potenti sovrani del passato.
Egli è Re nell'abbassamento è nell'abbandono della croce. Lì Gesù è incoronato Re e lì ha inizio la sua regalità salvifica e portatrice di vita eterna. Perciò in questa festa il brano evangelico della crocifissione
2. Il Vangelo della crocifissione
Sul calvario i soldati, oltre che con le loro lance, tormentano il Cristo in croce con lo scherno, l’arma più vile che la ferocia umana possa brandire all'indirizzo e al cospetto di un morente.
Agli occhi della soldataglia un re incapace di salvare se stesso, il suo ruolo regale, l’onore per la sua figura, merita solo disprezzo e scherno. Prima dei soldati erano stati i capi a schernirlo, a sfidarlo: "Ha salvato gli altri, salvi se stesso!".
Poi a farlo sarà uno dei malfattori crocifissi con lui: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi".
Luca per ben tre volte, mentre Cristo è in croce, parla di salvezza: evidentemente è su questo tema che intende concentrare e richiamare l'attenzione.
È come se Luca volesse dire: "Se quest'uomo è capace di dare salvezza a sé e agli altri, allora e solo allora la sua pretesa di essere il Figlio di Dio, il restauratore dell'umano, non è assurda e mistificatrice, ma approvata, legittima e noi possiamo riconoscerlo come vero Re-Salvatore e possiamo affidare a lui con fiducia le nostre esistenze.
Ebbene, che Gesù morente in croce sia vero e unico Salvatore, in un modo però inatteso, imprevisto, risulta dal dialogo con lui dell'altro malfattore.
Anch'egli desidera la salvezza. Però nulla pretende e soprattutto non pretende che essa consista nella sua volontà, nel suo desiderio che in quel momento non poteva essere altro che quello di scampare alla morte.
Per lui la salvezza si fa operante e presente nel momento in cui riconosce la verità di Gesù e su Gesù proclamandolo innocente e abbandonandosi con fiducia alla sua persona. Gesù regna dunque quando l'uomo, l’uomo peccatore in specie, diventa capace, perché investito di una luce superiore, di annunciare la verità sfuggendo alla menzogna del mondo.
Nell'innocenza di Gesù il malfattore intravede una particolare e nuova dignità regale: Gesù infatti è riconosciuto da lui come Messia e Salvatore, non perché è il più forte come gli altri pretendevano fosse, ma perché è giusto agli occhi di Dio. Per lui l'innocenza di Gesù merita fiducia proprio perché è un'innocenza sconfitta degli uomini ma approvata da Dio. In questa proclamazione di innocenza da parte del malfattore, Dio esercita la sua sovranità in quanto approva il giusto Gesù e condanna i colpevoli che lo mettono a morte.
Col pentimento, poi, il malfattore convertito esprime anche la sua fede: egli non pensa come gli uomini, ma ormai ragiona e pensa come Dio.
Per tutto questo Gesù lo rassicura che avrà parte nel suo regno, non alla fine dei tempi, ma subito, perché lo seguirà e in lui è anticipato l'accesso alla meta definitiva, quel Paradiso da cui il Risorto regna e dove è già piena di beatitudine.
E così da malfattore quell'uomo si trasforma nella primizia degli gli uomini riconciliati da Cristo con Dio "con il sangue della sua croce".
Questo sangue versato esprime la sottomissione totale di Cristo alla volontà del Padre e la premessa della sua costituzione a Re e Signore. Appunto come dicevamo: è sulla croce che Cristo viene incoronato Re dell'universo.
Il primo a riconoscerlo e a proclamarlo tale è un malfattore. Che è anche il primo a sperimentare a proprio vantaggio la potenza di salvezza e di vita che promana dalla fedeltà del Crocifisso al Padre.
Conclusione
La chiave di volta della festa di oggi, dunque, ci viene offerta dal compagno di patibolo di Gesù, il primo santo canonizzato direttamente da Gesù.
Il ladrone è l'uomo del riconoscimento, il primo teologo del Dio nascosto, colui che ha saputo riconoscere il volto di Dio sotto l'immagine di un malfattore comune.
Questo ladrone riconosce il Cristo come Re e Salvatore non nel momento del trionfo, ma nel momento della sconfitta, del buio e del fallimento. Riconosce il Re quando è sfigurato, non quando è trasfigurato.
Ora spetta a noi riconoscere la regalità di Cristo nella sua umiliazione e fare le nostre scelte nei confronti di questo Re rigettato e condannato a morte.
È facile seguire il Gesù dei miracoli, arduo e seguire il Gesù dell'abbassamento. Ma la vittoria è promessa solo a chi osa schierarsi dalla parte di questo Re perdente.