La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

venerdì 29 novembre 2019

Prima Domenica di Avvento. Le riflessioni di Don Pietro


Buon Nuovo Anno Liturgico a tutti. Ecco un piccolo sussidio per iniziarlo bene con la Prima domenica di Avvento



1. L'avvento


L'avvento è il tempo nel quale la comunità credente ripercorre l'attesa del Messia e, poi, ne accoglie La venuta nel tempo.
L'avvento è il tempo del Dio che viene per offrire all'uomo la sua compagnia, per liberarlo dalla solitudine e dall'angoscia cui lo spinge la cultura del presente mentre l'uomo è fatto per l'eterno. L'avvento e anche il tempo della risposta gioiosa e confidente dell'uomo. È un tempo per vivere rapporti nuovi e, così, realizzare il ideale della creazione compromessa dal peccato.

2. Le letture bibliche di questa domenica

A. San Paolo.

La storia è orientata al compimento del Giorno del Signore. La notte è lunga: da qui smarrimento e angoscia nei credenti. Ma la notte è anche avanzata: dunque siamo vicini all'alba.
Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo attendere e sperareil futuro di Dio. Questo futuro di Dio viene inatteso e improvviso. Il futuro di Dio è  Gesù Cristo al quale dobbiamo sottometterci e del quale dobbiamo rivestirci. Il futuro di Dio è la rivelazione piena dell'amore di Dio.
Il credente in Cristo non segue i richiami della carne, cioè l'egoismo, nei suoi desideri. Il credente si lascia guidare dallo Spirito di Dio che è amore e santità. Il credente fa diventare presente il futuro che spera modellando la sua vita su Cristo.

B. Il Vangelo


Il futuro - è questo il messaggio del Vangelo di oggi - viene anche come giudizio di Dio.
Un giudizio che separa due uomini. Un giudizio che viene improvviso e inatteso, come è venne il diluvio. Un giudizio incerto circa l'ora e il modo: bisogna solo essere sempre pronti e preparati.

C.  lsaia


Isaia descrive il suo grande amore per il tempio del Signore. Al tempio egli vede convergere tutti i popoli perché lì finalmente la giustizia e la pace incontreranno le promesse di Dio.
Il profeta, però, si rivolge solo a gente che spera e attende, non agli scettici, ai disincantati, ai ripiegati su se stessi.

3. Spiritualità del tempo di avvento

Bisogna uscire dal torpore e dall’assopimento spirituale.
Occorre molta attenzione per cogliere i segni del Signore che viene, che  sempre viene.

domenica 24 novembre 2019

SOLENNITA' DEL CRISTO RE. LA RIFLESSIONE DI DON PIETRO

1.  Il senso della festa
La festa di Cristo Re vuol essere ed esprimere la lode riconoscente della Chiesa al suo Salvatore.
Acclamando Re e Signore dell'universo Gesù Cristo la Chiesa vuole attribuire al lui il titolo più appropriato ed elevato, quello che solo al lui conviene perché solo da lui deriva ogni salvezza.
Purtroppo la nostra cultura non possiede parole forti che riescano ad esprimere tutto quanto si vorrebbe dire di Cristo. Gli ebrei potevano dire Messia, i greci  Signore, i latini Imperatore, le altre culture antiche potevano usare il titolo di Re per evocare un potere sconfinato e salvifico.
Per noi, invece, una volta svuotata del suo contenuto sacrale la nozione di autorità, tutte queste parole risultano prive di forza e di valore reale. Che titolo, dunque, potremmo dare Gesù per tutto quello che di sommo e di inaspettato egli rappresenta per noi?
La liturgia usa ancora il titolo di Re, ma avverte il bisogno di premettere molte precisazioni e spiegazioni per giustificarne l'applicazione Gesù.
Egli infatti è Re, ma in un senso totalmente diverso da come lo sono le figure largamente squalificate delle moderne monarchie e anche da come lo erano i potenti sovrani del passato.
Egli è Re nell'abbassamento è nell'abbandono della croce. Lì Gesù è incoronato Re e lì ha inizio la sua regalità salvifica e portatrice di vita eterna. Perciò in questa festa il brano evangelico della crocifissione
2.   Il Vangelo della crocifissione
Sul calvario i soldati, oltre che con le loro lance, tormentano il Cristo in croce con lo scherno, l’arma più vile che la ferocia umana possa brandire all'indirizzo e al cospetto di un morente.
Agli occhi della soldataglia un re incapace di salvare se stesso, il suo ruolo regale, l’onore per la sua figura, merita solo disprezzo e scherno. Prima dei soldati erano stati i capi a schernirlo, a sfidarlo: "Ha salvato gli altri, salvi se stesso!".
Poi a farlo sarà uno dei malfattori crocifissi  con lui: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi".
Luca per ben tre volte, mentre Cristo è in croce, parla di salvezza: evidentemente è su questo tema che intende concentrare e richiamare l'attenzione.
È come se Luca volesse dire: "Se quest'uomo è capace di dare salvezza a sé e agli altri, allora e solo allora la sua pretesa di essere il Figlio di Dio, il restauratore dell'umano, non è assurda  e  mistificatrice, ma approvata, legittima e noi possiamo riconoscerlo come vero Re-Salvatore e possiamo affidare a lui con fiducia le nostre esistenze.
Ebbene, che Gesù morente in croce sia vero e unico Salvatore, in un modo però inatteso, imprevisto, risulta dal dialogo con lui dell'altro malfattore.
Anch'egli desidera la salvezza. Però nulla pretende e soprattutto non pretende che essa consista nella sua volontà, nel suo desiderio che in quel momento non poteva essere altro che quello di scampare alla morte.
Per lui la salvezza si fa operante e presente nel momento in cui riconosce la verità di Gesù e su Gesù proclamandolo innocente e abbandonandosi con fiducia alla sua persona. Gesù regna dunque quando l'uomo, l’uomo peccatore in specie, diventa capace, perché investito di una luce superiore, di annunciare la verità sfuggendo alla menzogna del mondo.
Nell'innocenza di Gesù il malfattore intravede una particolare e nuova dignità regale: Gesù infatti è riconosciuto da lui come Messia e Salvatore, non perché è il più forte come gli altri pretendevano fosse, ma perché è giusto agli occhi di Dio. Per lui l'innocenza di Gesù merita fiducia proprio perché è un'innocenza sconfitta degli uomini ma approvata da Dio. In questa proclamazione di innocenza da parte del malfattore, Dio esercita la sua sovranità in quanto approva il giusto Gesù e condanna i colpevoli che lo mettono a morte.
Col pentimento, poi, il malfattore convertito esprime anche la sua fede: egli non pensa come gli uomini, ma ormai ragiona e pensa come Dio.
Per tutto questo Gesù lo rassicura che avrà parte nel suo regno, non alla fine dei tempi, ma subito, perché lo seguirà e in lui è anticipato l'accesso alla meta definitiva, quel Paradiso da cui il Risorto regna e dove è già piena di beatitudine.
E così da malfattore quell'uomo si trasforma nella primizia degli gli uomini riconciliati da Cristo con Dio "con il sangue della sua croce".
Questo sangue versato esprime la sottomissione totale di Cristo alla volontà del Padre e la premessa della sua costituzione a Re e Signore. Appunto come dicevamo: è sulla croce che Cristo viene incoronato Re dell'universo.
Il primo a riconoscerlo e a proclamarlo tale è un malfattore. Che è anche il primo a sperimentare a proprio vantaggio la potenza di salvezza e di vita che promana dalla fedeltà del Crocifisso al Padre.
Conclusione
La chiave di volta della festa di oggi, dunque, ci viene offerta dal compagno di patibolo di Gesù, il primo santo canonizzato direttamente da Gesù.
Il ladrone è l'uomo del riconoscimento, il primo teologo del Dio nascosto, colui che ha saputo riconoscere il volto di Dio sotto l'immagine di un malfattore comune.
Questo ladrone riconosce il Cristo come Re e Salvatore non nel momento del trionfo, ma nel momento della sconfitta, del buio e del fallimento. Riconosce il Re quando è sfigurato, non quando è trasfigurato.
Ora spetta a noi riconoscere la regalità di Cristo nella sua umiliazione e fare le nostre scelte nei confronti di questo Re rigettato e condannato a morte.
È facile seguire il Gesù dei miracoli, arduo e seguire il Gesù dell'abbassamento. Ma la vittoria è promessa solo  a chi osa schierarsi dalla parte di questo Re perdente.

venerdì 15 novembre 2019

Riflessione, di Don Pietro, al Vangelo della 33° Domenica del T.O..


1. È diffusa in molte culture religiose la convinzione della fine del mondo.

L'universo, la terra e la storia umana, come hanno avuto un inizio così avranno un termine.
Per naturale consunzione secondo alcune tradizioni o accompagnato da sconvolgimenti cosmici in altre, provocati dall'ira di Dio a causa della malvagità umana.
Cosa dice in proposito il Grande Racconto cristiano sulla terra e sull'uomo così com'è andato sedimentandosi nella narrazione biblica?
Qualche secolo prima dell'era cristiana e per qualche secolo dopo di essa nasce un genere letterario cosiddetto "apocalittico” che con immagini terrificanti descrive la fine del mondo attraverso sconvolgimenti tellurici, astrali e storici.

2. Come si pone l'annuncio cristiano dinanzi a questo “topos”, a questo luogo abbastanza comune ai tempi di Gesù e nel corso dei secoli cristiani fino ai giorni nostri? Oggi, poi, siamo in presenza di straordinari eventi che imprimono una inedita accelerazione alla storia per questo  vedono il pullulare di sette millenaristiche che ripropongono il verbo della fine del mondo come evento prossimo venturo.
Per avere qualche linea di risposta, esaminiamo la parola di Dio di questa domenica.

3 . Iniziamo dal brano di Malachia che annuncia e promette l'avvento del "Giorno del Signore", la famosa categoria profetica del giudizio giusto di Dio sulla storia umana.
In quel giorno di Dio instaurerà il suo Regno di giustizia e di pace in un mondo rinnovato.
Quel Giorno sarà dunque l'evento decisivo e risolutivo della storia umana.
E  precisa il profeta: le prospettive mondane che celebrano i ricchi, i sazi, i potenti, i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia, saranno totalmente ribaltate e la vera beatitudine sarà destinata ai cultori del Nome di Dio, ai poveri (impoveriti!), agli affamati, ai sofferenti, ai perseguitati.

4. Nel Vangelo di oggi possiamo individuare quattro passaggi:

I° : Gesù parla della distruzione del tempio e di Gerusalemme. Perché il simbolo, cioè il tempio, deve cedere dinanzi alla realtà piena e cioè il corpo di Cristo e la vita del credente. Il tempio degenera da luogo di incontro con Dio e con i fratelli a simbolo ostentato di orgoglio, di potenza e di discriminazione. L'avvertimento è anche per certa nostra religiosità vuota, esteriore, alienante e disumanizzante.
II°:  Gesù parla del tempo della fine e ammonisce che non bisogna lasciarsi ingannare da falsi profeti e da messianismi ingannevoli. Cioè bisogna relativizzare le "grandezze" di questo mondo. Gli stessi eventi tragici -naturali e/o relazionali- non vanno letti come segni di un infarto, di un collasso della terra o della storia,  bensì come segni della precarietà, della finitudine e imperfezione di un mondo che non va, dunque, divinizzato.
Questi eventi sono la costante e non l'eccezione della vita del mondo. Bisogna imparare a conviverci considerandoli come occasione e sfida per il nostro impegno.
III° Gesù aggiunge che il tempo lasciato ai suoi discepoli è tempo di persecuzioni. Queste sono un segno per capire la natura del tempo in cui si vive: un tempo ancora parzialmente sotto il dominio della bestia. Sono, perciò, conseguenza del rifiuto opposto dai credenti alle pretese dei potenti a esercitare sul mondo una signoria che compete solo a Dio.
A queste pretese -nel confronto drammatico che si instaura tra luce e tenebre, bene male, mondo e Dio- non risponderanno i credenti, ma lo Spirito di Dio che parlerà in essi.
Allora i vincitori saranno i vinti e sarà capovolto l'ordine che il mondo vuole imporre.
Dovremmo chiederci chi sono oggi i perseguitati: La chiesa? Gli ebrei? Gli oppressi?

IV:  Gesù, infine, nelle persecuzioni invita alla pazienza e alla perseveranza nella fede. Il brano è una pagina di speranza: Dio e fedele e mantiene le sue promesse.
Conclusione
Circa la fine del mondo e della storia la parola di Dio non si interessa del modo e del tempo. Non soddisfa le nostre curiosità. Afferma solo che siamo già entrati negli ultimi tempi: occorre, perciò, vivere secondo questa misura. La parola di Dio parla di un ritorno di Cristo: la Parusia. Occorre, dunque, vivere nell'attesa vigile  e operosa del Signore che, si badi!,  viene e non solo verrà. Bisogna vivere senza ansia e senza oziosità. Bisogna scoprire il volto di Dio su quello del fratello.

sabato 9 novembre 2019

Commento al Vangelo di don Pietro

1. La questione posta dai Sadducei è: ci sarà e come sarà-se ci sarà- il dopo-morte?Per i Sadducei   non ci sarà: le difficoltà per loro  nascono dalfatto che essi concepiscono l'altra vita  in termini di continuitàcon la vita terrena.Per Gesù invece non esiste continuità rigida tra questo mondo,contingente e provvisorio, e il mondo futuro, la patria celeste.Per Gesù le caratteristiche del mondo dei risorti sono opposte aquelle attuali: perché là la vita continua la vita là non ha  né inizio, né fine conseguentemente non ha più luogo il matrimonio in vistadella generazione e non è più possibile la morte.Insomma: non ci sarà alcuna coordinata spazio-temporale, crocee dilizia, confine e limite dell'attuale esistenza.  Se   poi   -dice   ancora   Gesù-   si   vuole   affermare   qualcosa   dipositivo della vita futura, si deve partire direttamente da Dio eaffermare   che   i  figli   della   risurrezione  saranno  figli   di   Dio.Apparterranno    alla   vita   stessa  di   Dio   e   ne   condivideranno   lecaratteristiche   (amore   ed   eternità).   Se,   di   quella   esistenza,   sivuole un modello, non si deve più pensare all'esperienza terrena,ma agli angeli. I risorti saranno uguali agli angeli, quindi avrannouna nuova esistenza, quasi una nuova natura.La vita con Dio: il paradiso1. Ma non è facile pensare la vita con Dio essendo egli al di là diogni immaginazione e di ogni pensiero.Quando gli scrittori sacri parlano del mondo perfetto di Dio, dellasua   città,   lo   fanno   cancellando   da   questa   realtà   celeste   ognitraccia di male e di sofferenza.
2.   Forse   la   definizione   più   bella   della   Gerusalemme   celeste   èl'annotazione   semplicissima   dell'Apocalisse:  "Dio   asciugheràogni   lacrima   dai   loro   occhi".  Occhi   senza   lacrime,   dunque   inparadiso.
3.   Ma   un   occhio   può   essere   asciutto   per   cinismo   o   perindifferenza al dolore altrui, oppure per stoica sopportazione delproprio dolore, o perché le lacrime uno ormai le ha versate tutte.Ma la parola di Dio parla di occhi asciutti non perché non ci sonopiù   lacrime,   ma   perché   queste   lacrime   sono   state   asciugate.C'erano e sono state tolte. C'è stato dunque un cambiamento, unpassaggio.
4.   Per   i   credenti   le   lacrime   sono   il   tempo   presente,   la   storiaumana solcata dal partire come un volto lo è dal pianto.Dire allora che le lacrime sono asciugate significa affermare chesi è entrati in un nuovo tempo, nel futuro di Dio dove il patire ècancellato, assente.Questo   parlare   di  lacrime   asciugate   noi,   però,   possiamo   farlosolo dentro il tempo presente, che è il tempo delle lacrime. Solose  viviamo   nel   pianto possiamo pensare   e   sperare   un   mondosenza lacrime. Per chi è soddisfatto nel tempo presente questodiscorso è senza senso.
5. Dunque la parola di Dio pensa fondamentalmente il paradisocome la terra senza male, sognata da chi vive nella terra abitatadal male. Del resto non è questo il senso della descrizione biblicadel   paradiso,   dell'Eden? 
In   Genesi 2   -prima   del   peccato-   èpresentato   un   mondo   dove   l'esistenza   umana   è   pienamenteriuscita nelle relazioni che la costituiscono. In Genesi 3 si narrainvece   di   come   il   peccato   abbia   corrotto   e   rovinato   quellerelazioni. L'autore di quelle pagine,  ovviamente, non  era presente  primadella   colpa.   Egli   ha   esperienza   solo   del   mondo   ormaicompromesso   e   solo   per   antitesi   può   disegnare   quello
dell'innocenza. Così l'autore ha esperienza di un corpo (e di un io che lo  inabita)vissuto come opacità, come nido velenoso di concupiscenza e diaggressività   e   questo  gli   fa   pensare   per   antitesi   ad   un   corponudo   che   dice   trasparenza,   innocenza,   che   non   ha   nulla   danascondere   perché   tutto   è   a   posto,   in   un'armonia   senzadissonanze.Similmente   l'autore   fa   esperienze   di   relazioni   interpersonalisegnate   da   sospetto,   violenza   e   perciò   sogna   e   disegna   unmodello   relazionale   dove   regna   la   reciprocità   armoniosa,   lacomunione dei diversi. Infine l'autore conoscendo  solo una terra  maledetta, avara  neiconfronti dell'uomo, sogna fiumi irrigui e vegetazione fitta, terrabuona e zolle seconde.6. Paradiso, allora, è da pensare come compimento perfetto dellavita nelle sue fondamentali relazioni.Paradiso, in altri termini, come perfezione della comunione degliuomini   con   Dio   e   tra   di   loro,   come   circolazione   perfettadell'amore infinito di Dio.Quest'amore   ci   permetterà   di sperimentare,   di   vedere faccia   afaccia Dio e di  goderlo come bene che dà infinita  beatitudine.Altro non ci è dato di dire, anche perché la terra e il cielo che cisono promessi saranno nuovi…

domenica 3 novembre 2019

Riflessione sul Vangelo XXXI Domenica del Tempo Ordinario. Don Pietro

I racconti ascoltati su Gesù avevano probabilmente reso curioso  il pubblicano Zaccheo, un uomo inviso al popolo perché per conto dei romani riscuoteva le imposte, un lavoro per giunta non sempre esercitato con onestà ma fraudolentemente: insomma, uno sfruttatore, uno strozzino, un usuraio. Zaccheo aveva sentito anche di un suo collega di lavoro, Levi chiamato anche Matteo, anche lui pubblicano che,  chiamato da Gesù, aveva lasciato tutto ed era diventato suo discepolo e seguace. Forse in fondo al cuore di Zaccheo  era non del tutto spenta  la nostalgia per una vita diversa da quella che conduceva, una vita buona, onesta, che non gli attirasse l'antipatia e l'odio della gente. Anche noi, sia pur raramente raccontiamo a qualcuno di Gesù. Chiediamoci: il nostro parlare di Gesù fa nascere in qualche cuore la curiosità., il desiderio di incontrarlo,  conoscerlo e seguirlo? 
Zaccheo, per via della sua bassa statura, quando Gesù arrivò al suo villaggio non riusciva a vederlo perché lungo la strada c'era molta  folla assiepata. Allora Zaccheo pensa di risolvere il problema arrampicandosi su di un albero cresciuto lungo la strada. Da li avrebbe potuto godere di un splendido colpo d'occhio. La condizione di Zaccheo,  quella cioè di non poter vedere Gesù a causa della sua bassa statura, non è forse anche la nostra, di noi  cioè che non ci siamo impegnati a crescere nella fede percui dal basso della nostra mediocrità ci riesce difficile se non impossibile vedere il Volto del Signore, anche quando ci passa accanto? Inoltre, quale potrebbe essere per noi l'albero su cui salire per poter vedere Gesù? L'albero principale su cui poterci arrampicare è senza dubbio quello della parola di Dio, un albero con due rami: la preghiera incessante e una carità  viva e concreta, disinteressata e umile verso i fratelli. Ma poi anche da quest'albero occorre scendere, perché l'incontro con Gesù deve essere intimo, diretto, personale, non a distanza di sicurezza. 
Gesù vede quest'uomo a cavalcioni sul ramo dell'albero e, pur conoscendo la sua storia non proprio esemplare, non gli rivolge alcun rimprovero. Lo chiama affettuosamente e amichevolmente per nome e lo invita a scendere. Come mai Gesù conosceva Zaccheo? Forse qualcuno gliene aveva parlato? O Dio conosce ciascuno di noi per nome? Sceso Zaccheo dall’albero,  Gesù si autoinvita a casa sua per il pranzo. Noi, c’è da scommetterci, lo avremmo rimproverato,  ammonito e forse gli avremmo fatto una bella predica morale. Gesù no. Invitandosi a pranzo a casa del peccatore  gli manifesta attenzione, amicizia e in qualche modo  stima. Dicevamo che forse qualcuno aveva parlato a Zaccheo di Gesù. Domandiamoci: noi  parliamo mai di Gesù a qualcuno e di qualcuno a Gesù?
Da notare tre avverbi di tempo: oggi, subito e in fretta. Il vero amore evidentemente ha sempre premura, non tergiversa, non indugia, non attende, in qualche modo si precipita verso la persona da amare. L'altra espressione da sottolineare è pieno di gioia: non le ricchezze, non il successo dunque possono dare vera gioia, ma solo l’incontro trasformante con Gesù, la sorgente di ogni autentica letizia.
Gesù, abbiamo detto, si autoinvita a casa di Zaccheo che era peccatore senza attendere che lui gli rivolgesse l’invito. Questo perché Gesù, per entrare da noi e da tutti, non deve chiedere permesso a nessuno: noi infatti siamo suoi!
Da notare: Zaccheo prima incontra Gesù e poi si converte. Questo significa che la grazia precede ogni nostro sforzo morale. Non posso convertirmi, cioè, se l'amore di Dio non mi precede, non viene a me suscitando nel mio cuore il desiderio della conversione. Certamente in Zaccheo peccatore agiva da sempre lo Spirito come nostalgia di bene. Questo ci apre il cuore alla speranza. Mai dobbiamo disperare di noi e degli altri: lungo la strada dei nostri erramenti  c'è sempre in agguato Colui che può amarci, redimerci, trasformarci. Basta salire e scendere da qualche albero…

sabato 2 novembre 2019

Una lettura di fede della Commemorazione dei defunti. Don Pietro

1. Il senso della commemorazione dei defunti
Ricordiamo, oggi, i fratelli e le sorelle che hanno già attraversato il passaggio buio, difficile della morte e che ora sono presso Dio.
Ci conforta la certezza nella fede che nessun tormento può più toccarli e nessuna fragilità può più farli soffrire.
Essi hanno oltrepassato quella porta che  separa  questa vita dall'eternità.
Essi hanno seguito il Cristo, loro Signore, lungo il percorso che porta dalla morte alla vita. Essi stanno davanti a Dio e conoscono senza fatica il suo splendore ed il suo affetto di padre.
Essi ricordano al Signore di tenere sempre spalancate per noi le porte della sua casa. Cos’  anche noi, nonostante le nostre debolezze, tradimenti, ansie e paure, potremo un giorno essere ammessi nella dimora della luce.

2. Meditazione sul senso della morte dei propri cari
Dinanzi alla morte dei propri cari  c'è chi trova nella preghiera la forza per continuare a vivere, sperare, ad avere fiducia: la presenza del Signore lo sostiene.
C'è chi, invece, dinanzi alla morte non riesce ad esprimere con le parole il tumulto dei sentimenti: piange e tace.
Qualcuno sente nascere in sé la rivolta e la ribellione. Non solo non riesce a pregare ma protesta con Dio. Non è giusto, grida!
L’odierna commemorazione dia ad ognuno la possibilità di affrontare con serenità il problema della morte. E diventi un'occasione per pregare. Pregare è infatti sia rivolgersi a Dio con fiducia, sia meditare in silenzio, sia far arrivare a lui la nostra amarezza e protesta. Il Signore ha vissuto l'esperienza della morte. Ascolterà le nostre parole e ci darà una parola di conforto.

3. Rinnovare la nostra fede
La fede ci assicura che la nostra vita non è nelle mani di un cieco destino. La morte non potrà dire l'ultima parola sulla nostra esistenza. La nostra vita è nelle mani di Dio. La parola di Dio ci garantisce che Dio si prende personalmente a cuore la nostra vita. Egli non c'abbandonerà alle tenebre, ma ci condurrà verso la vita che dura per sempre.
Anche di fronte alla morte noi ci fidiamo di Dio.
La buona notizia consegnata alle Scritture ci ricorda che Gesù ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra vita, conoscendone gioie e dolori.
Egli non ha evitato la morte ma nel suo amore per Dio e per noi l'ha affrontata senza paura.
Per questo, per il dono che  ha fatto di tutto se stesso fino alla morte, e alla morte di croce, Dio lo ha risuscitato e gli ha dato una gloria senza misura. Ha fatto di lui il primogenito dei viventi.
Ora noi abbiamo il suo Spirito che anima questa nostra vita e la conduce verso il compimento. Ci sostiene nello sforzo di cercare di amare Dio sperando nel suo regno.