La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

lunedì 28 maggio 2018

Contro i razzisti e i professionisti dell'allarmismo, tanto per ristabilire un minimo di verità.

II Made in ltaly alimentare non esisterebbe senza gli stranieri. Lo rivela Rep Data in un servizio di Andrea Gualtieri uscito nei giorni scorsi sul sito di Repubblica. A produrre il Barolo, le mele del Trentino
e il latte per il parmigiano. A coltivare le viti del Negramaro pugliese, i pomodori San Marzano e le arance siciliane sono lavoratori venuti da lontano. Le cifre del fenomeno parlano da sole. II 36 per cento della mano d'opera che fa grande il nostro agroalimentare arriva dall'estero e «la proporzione sale al 57 per cento proprio nelle regioni a trazione leghista». Con punte estreme come il Veronese, dove gli immigrati sono il 69 per cento della forza lavoro, Cuneo, dove ammontano al 74, e Bolzano, dove la percentuale raggiunge l'81. Senza di loro il Nord si fermerebbe. E dunque è ora di smetterla con la balla degli estranei che vengono a rubarci il lavoro, ha videocommentato Sergio Rizzo. Insomma a uscire ancora una volta con le ossa rotte è il mito dell'autoctonia. Sempre falso e Ingannevole. Intanto perché ad essere stranieri, prima ancora dei produttori, sono gli stessi prodotti tipici su cui abbiamo costruito la nostra identità alimentare. Sudamericani, come pomodoro, patate, mais, fagioli, peperoni. Asiatici, come arance, pesche, albicocche, melanzane, spezie. Arabi e africani, come caffè e non solo. In realtà la tavola, proprio come la vita, è frutto di migrazioni, di mescolanze, di prestiti, di contaminazioni. E quel che succede ai cibi tocca anche alle persone, che col tempo finiscono per sembrare nate nel Paese che le ha accolte. Come dire che gli alimenti si sono integrati prima degli uomini, spesso a loro insaputa. E che la cucina è forse la prova generale dell'umanità di domani. Articolo di Marino Niola

venerdì 25 maggio 2018

Un timido approccio al Mistero trinitario attraverso la preghiera del segno della croce che tante volte facciamo distrattamente. Don Pietro

1. Preghiera e Trinità.
La preghiera ci introduce nelle profondità divine così che ci avvolga il mistero delle relazioni trinitarie. Il nostro essere ed agire ne è profondamente toccato. Chi prega è introdotto nella vita stessa del Padre, in unione a Cristo, per l’azione dello Spirito. Pregando sperimentiamo il nostro essere figli nel mistero del Padre, non di un’assente o uno sconosciuto. La preghiera è il terreno della venuta della Trinità nella storia del mondo, il luogo dell’Alleanza tra Dio e la creatura. La creatura è accolta nel grembo della Trinità e la Trinità si fa presente nella vita dell’uomo.

2. Rapporto col Padre
Nella preghiera si riconosce il Padre come sorgente di ogni dono: il Padre che preghiamo è il Donatore del Figlio e dello Spirito. Colui che ama da sempre e per sempre, mai stanco di amare, fedele e sempre nuovo. Se tutto viene dal Padre, quando preghiamo noi diventiamo terreno che accoglie l’amore del Padre, ci lasciamo amare da Lui e contempliamo la gratuità pura del suo dono. Pregare è attendere e accogliere quest’amore, aperti alla meraviglia, ringraziamento e lode. Pregare è stare dinanzi al mistero in povertà, vuoto che attende d’essere colmato d’amore. Come tutto viene dal Padre, così tutto a Lui ritorna. La preghiera, allora, è movimento di risposta, è riportare ogni cosa a Dio, alla sua origine. Pregando impariamo a vedere tutte le cose nella luce di Dio, denunciando il male e proclamando la giustizia del Regno che viene. pregando orientiamo tutto (noi, gli altri, la chiesa) verso la Patria intravista ma non ancora posseduta.

3. Preghiera e Figlio
La preghiera cristiana si compie sempre per il Figlio e in comunione con Lui,  unico sacerdote. Il Figlio è colui che accoglie eternamente l’Amore del Padre, si lascia inviare nel mondo, consegnare alla morte e ricolmare di Spirito nella Risurrezione. Pregare attraverso il Figlio significa partecipare a questa sua accoglienza dell’Amore del Padre divenendo accoglienti, come Lui, anche della chiesa e del mondo. Pregare per il Figlio comporta, cioè, l’imitazione del Cristo, la compagnia della fede e la solidarietà della vita degli altri. Con il Cristo si fa presente in noi, viene a dimorare nei nostri cuori, e noi partecipiamo al suo mistero di morte e risurrezione, partecipiamo alla sua notte oscura che, però, apre all’alba pasquale, sorgente di pace e vittoria sulla morte. Così noi siamo accolti con Cristo in Dio, accolti nell’accoglienza del Figlio che diventa accoglienza degli altri in Lui. I molti diventano l’unico corpo del Signore, vivente nel tempo.

4. Preghiera e Spirito Santo
Lo Spirito è nella Trinità il legame eterno di amore tra il Padre e il Figlio che suscita comunione anche nel cuore degli uomini e tra gli uomini. Ma lo Spirito è anche colui che fa entrare Gesù nella solidarietà con i peccatori, dei “senza Dio” e così lo Spirito diventa l’estasi di Dio. Dio che esce da se stesso e suscita il nuovo aprendo al futuro. Nella preghiera lo Spirito è fonte di unità e sua esperienza. Pregando nello Spirito ci apriamo al dialogo e alla comunione: l’ altro è riconosciuto come dono e non concorrente o nemico. Egli ci rende anche docili e sensibili alla profezia, aperti e liberi, ricchi di speranza nel vivo della storia: fedeli e liberi.

Conclusione
La preghiera, dunque, è il luogo in cui la Trinità, eterno evento dell’ amore, si fa Avvento nelle umili e quotidiane vicende umane. L’ uomo, prigioniero del suo io, accoglie il dono dell’ Altro nella propria differenza. Così l’ uomo ha tempo per Dio, perché prima Dio ha avuto tempo per l’ uomo. Il tempo entra nell’ eternità perché l’ eternità dell’ Amore è entrato nel tempo.

sabato 19 maggio 2018

La riflessione di Don Pietro per la Solennità di Pentecoste

1. Il Mistero dello Spirito
Lo Spirito non ha né nome, né volto. Inafferrabile come il vento: non sai da dove venga e dove va, ma ne odi la voce. Vive nel profondo più intimo del nostro essere e si confonde con il mistero di Dio stesso perché “Dio è Spirito”. Dio si è fatto uomo e Cristo è morto, è risorto, è stato esaltato perché ogni uomo potesse ricevere lo Spirito. La chiesa nasce e vive come chiesa dello Spirito. Nella creazione lo Spirito è il Soffio che vivifica, è Respiro di vita. Come uccello materno cova le acque primordiali, fa schiudere alla vita tutti gli esseri e chiama l’uomo a essere e a vivere come “immagine” di Dio. Nei Profeti, Re e Sacerdoti lo Spirito è dentro la loro parola. Lo Spirito presiede all’Incarnazione, consacra Gesù come Messia e dimora permanentemente in Lui come Amore. Al termine della sua vita terrena Gesù dona lo Spirito come aveva promesso.
Egli sarà il Consolatore e l’ Avvocato. Egli interiorizzerà nei cuori la presenza del Cristo e comunicherà agli uomini l’amore Trinitario. Dopo la Risurrezione operata dallo Spirito, il Corpo di Cristo diventa Corpo ecclesiale, luogo dove lo Spirito può soffiare con tutta la sua forza, preparando la terra e facendola maturare in vista del glorioso Ritorno del Signore. Nell’ universo creato dal Padre visitato e interpretato dalla Sapienza del Figlio lo Spirito Santo è la bellezza di ogni essere che tende verso il suo compimento e la sua pienezza verso la più alta vita. Lo Spirito Santo, donando ad ogni carne,  e sigilla la unicità irripetibile di ogni persona e la sospinge verso il superamento della propria individualità facendola aprire alla relazione con le altre persone. In tutti i tentativi che gli uomini fanno di aprirsi a Dio e lo Spirito ascrivere nei loro cuori la legge del signore.
Come è ancora lo Spirito a rendere presente il Cristo laddove gli uomini cercano sinceramente la verità, la bellezza e l’ amore, compiono gesti di vera bontà e vivono la loro esistenza come benedizione. La chiesa è, in particolar modo, lo strumento di cui lo Spirito si serve per diffondere la forza della Risurrezione e comunicare ad ogni uomo la vita divina nella varietà di doni molteplici. E’ lo Spirito che trasforma la chiesa da organizzazione umana a comunione profonda dei membri tra loro e con Dio. Una comunione nella quale non scompare ma viene esaltato ogni sguardo, ogni sorriso e la luce infinite e irripetibile di ogni volto. La chiesa è anche il luogo della libertà e novità dello spirito. E’ lo Spirito che suscita sempre nuove vocazioni secondo le esigenze dei tempi. E’ lo spirito ad ispirare,  illuminare e rendere creatrice nell’ amore la libertà che il Risorto ci ha donato. La spiritualità cristiana nient’ altro è se non “ vita nello spirito” in cui anche la sofferenza e la morte vengono trasformate in spazio dello Spirito e del dono di una vita nuova. La “vita nello Spirito” consente all’ uomo di vivere l’ intera sua esistenza come eucaristia presente in ogni rapporto non solo con Dio ma anche con gli altri e con le cose.
Lo Spirito ci introduce nelle profondità del mistero di Dio, ci consente di chiamare ”Padre” l’altissimo Dio e ci fa confessare, con coraggio quando occorre, che solo Gesù è il Signore. Tutto questo è fonte in noi di vita di libertà e di Gioia. L’uomo che accoglie lo spirito, diventa spirituale, trova la sua vera natura, riflette con i gesti quotidiani della vita i “nomi di Dio” e diventa veramente immagine e somiglianza di Dio e con lo Spirito prega incessantemente. Lo Spirito consente all’uomo di percepire anche la verità dell’ essere e delle cose: l’ universo come dono di Dio e la storia come creazione del Regno e preparazione al secondo e definitivo Avvento del Signore. Lo Spirito rende l’uomo capace di compassione e simpatia con tutti e con ogni cosa. Questa presenza dello Spirito è normalmente legata alla quotidianità usuale della vita e si esprime come ammirazione, meraviglia per ogni vita, come accoglienza di ogni altro come rivelazione di Dio, come iniezione di quel coraggio di essere a chi è preda del nichilismo, come creazioni anche piccole, di vita e di bellezza nella società. E’ lo spirito a trasformare in noi l’ angoscia in fiducia, la tristezza per la morte in speranza di vita nuova.

2. Spirito come decodificatore per la comunione.
Tra le persone regna grande estraneità: non esiste vera comunione e perciò neanche vera comunicazione. Salvo rare e fortunate eccezioni non esistono comunità in cui, cadute le barriere, si possa avere fiducia gli uni negli altri sentendosi veramente uniti come in un’ unica famiglia. Ebbene questo miracolo lo opera, fin dal principio lo spirito. Quanti ne fanno esperienza vedono svanire la solitudine e la grande sofferenza che ne deriva. Ma, perché da soli non riusciamo a creare legami veri, stabili, significativi di profonda comunione tra noi? Perché ognuno di noi è chiuso nel suo io, come lo è nella sua pelle. Ognuno di noi è prigioniero delle proprie fantasie distruttive che ci impediscono di incontrare veramente gli altri. E questo ad ogni livello, individuale, sociale, politico, internazionale ed anche ecclesiale.
Questa è la nostra situazione: siamo chiusi in noi stessi, in qualità di individui e come collettività. Questa chiusura è la nostra maledizione e il pericolo mortale che corriamo. Purtroppo può divenire maledizione e tormento anche il tentativo che generosamente possiamo fare di aprirci agli altri, di immedesimarci in loro. Infatti se ci apriamo al mondo e agli altri irrompe immediatamente dentro di noi  un’infinità di voci, di grida, di segnali confusi e contraddittori al punto di restare frastornati. Ebbene solo lo Spirito ci consente di decodificare e selezionare questa massa di informazioni e segnali facendoci aprire agli altri e facendoci superare l’antica egocentricità, amando in Dio tutti. Lo stesso avviene per la chiesa: e solo lo Spirito che le consente di ascoltare le voci del mondo, di leggerle col discernimento della parola di Dio e di offrirsi come segno e luogo dell’ amore di Dio.

3. La carne e lo Spirito.
Il cristiano è chiamato alla libertà per amare e servire Dio e il prossimo, per il quale Cristo è morto. Per far questo il cristiano è chiamato a camminare nello Spirito e non secondo la carne. La carne e lo Spirito hanno desideri contrari. La carne non è la parte animalesca dell’ uomo i suoi desideri disordinati, ma tutto l’ uomo. Ebbene l’ uomo, a causa della colpa originale, è e rimane sempre carne peccatrice, anche quando pone gesti religiosi. Paolo ci dice ( Galati ) che la carne da cui non possiamo liberarci, possiamo lasciarla crocifissa sulla croce di Cristo e accogliere lo Spirito che ci è dato perché entri nella nostra vita e faccia cose grandi, creando innanzitutto l’ uomo nuovo obbediente solo alla legge dell’amore. Se rimaniamo schiavi della carne produrremo solo le sue opere, cioè manifestazioni di noi stessi.
Se accogliamo lo Spirito, Egli produrrà in noi dei frutti che non sono provocati da noi, ma da Dio. Il primo frutto è l’ amore, l’ agape e gli altri non ne sono che corollari. Allora siamo simili a Dio in cui c’è misericordia e ira (Ecclesiastico), ma Dio rinvia sempre la sua ira in attesa del nostro ravvedimento.

venerdì 11 maggio 2018

Solennita' dell'Ascensione. Riflessione di Don Pietro

1. Gesù è costituito Signore e Re

Gesù Cristo è innalzato, esaltata, glorificato perché si è abbassato, si è umiliato, ha donato tutta la sua vita fino alla morte e alla morte di croce.
Con questo evento tutta la storia della salvezza operata da Dio ha come il suo coronamento, il suo sigillo.

2. Inizia il tempo della Chiesa e la sua missione

Con l’ascensione Cristo non è  più fisicamente presente sulla terra, eppure continua ad operare per mezzo dello Spirito promesso e donato.
La Chiesa è uno degli strumenti attraverso cui lo Spirito del Cristo continua ad operare. Essa non può restare per sempre a contemplare il cielo dove il suo Signore è rientrato, ma deve annunciare  la Buona Notizia a tutti e trasmettere il dono dello Spirito.

3. Il senso dei 40 giorni precedenti l’Ascensione

Quaranta è, nella Scrittura, il tempo-durata ordinario delle manifestazioni di Dio. Tale, dunque è anche l’Ascensione.
Quaranta indica, sempre nella Bibbia,  un periodo completo di preparazione ad una missione o ad un incarico. Così è stato per Gesù nel deserto e così è ora anche per i discepoli.
Essi infatti ricevono una formazione completa:
Stando a mensa con Gesù realizzano una piena comunione con lui
Ricevendo la Spirito sono abilitati ad annunciare Gesù, Buona Notizia per il mondo

4. Noi e l’Ascensione

Occorre che pensiamo più spesso al Cielo che è la meta ultima della nostra esistenza. Lì c’è la nostra dimora definitiva. Lì la nostra vera vita.
Il nostro destino, infatti, è la vita eterna. Quella terrena è una semplice preparazione, per quanto dono stupendo e meraviglioso essa possa essere…
Dobbiamo imparare a considerare la vita terrena –caduca-  nell’ottica e nella prospettiva di quella futura – eterna.
Questo per vivere meglio già su questa terra.
Per guardare la terra e la storia con occhi nuovi, quelli di Dio.
Per sopportare senza devastazioni e disperazione le immancabili angustie dell’esistenza.
Per trasformare il mondo nella terra dell’amicizia e della solidarietà, della comprensione e della misericordia.


venerdì 4 maggio 2018

DOMENICA VI DI PASQUA: RIFLESSIONI DI DON PIETRO.

1. “Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi. Rimanete nel mio amore”.
Non dovremmo più dire “Dio esiste”, ma “Dio ama”,  Dio è “Amore”, perché solo l’amore fa esistere.
L’amore è vita, la vita. Il contrario della vita non è la morte, ma il nulla, cioè in non amore.
Gesù è vivo perché è amato dal Padre ed ama. Noi esistiamo per ché un Amore che preesiste a noi, ci raggiunge e penetra in noi con la sua energia.
La nostra stupenda e pericolosa libertà si gioca tutta nell’accogliere quest’amore, nell’entrare nel suo flusso eterno e stabilizzarci in esso: “Rimanete nel mio amore”:

2. “Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore”
L’amore vero, come quello di Gesù, non è spontaneismo. Sentimentalismo o realtà consegnata alle nostre scelte umorali.
L’amore deve informarsi a regole ben precise,non stabilite da noi, anzi indisponibili alla nostra volontà.
E’ Gesù, Parola del Padre, che ci indica modalità, contenuti, destinatari del nostro amore. A queste norme dobbiamo ispirarci, come ha fatto Lui rispetto alla volontà del suo e nostro Padre.

3. “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati”
L’amore, pur essendo l’espressione più libera della nostra vita puùessere solo comandato e “donato”.
L’uomo, infatti, è nativamente egocentrico e solo da un “Altro” può essere chiamato in modo imperativo a uscire da sé, a contrarre lo spazio del proprio IO per “fae spazio”, accogliere l’altro e gli altri.
Quest’ordine ci raggiunge attraverso gli altri che con la loro costitutiva povertà, con il loro bisogno-diritto di colmarsi di vita, fondano il nostro dovere di amarli.
Gli altri sono la domanda, noi la doverosa risposta.
Il “perché” e il “come” amare sono nell’amore di Dio verso di noi.
Dobbiamo amare, perché siamo stati amati.
E come siamo stati amati?
Siamo stati amati gratuitamente. “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”
“L’amore di Dio è pura libertà che vuole donare, senz’altra ragione che quella immanente al dono” .
Così si è comportato Dio con Israele, così dobbiamo comportarci noi verso gli altri. Così descrive l’amore di Dio A. Rizzi e prosegue tratteggiando le altre caratteristiche di questo amore
Dio è fedele nel suo amore verso di noi.
L’amore dato una volta, è dato per sempre, vincola se stesso con una potenza che vince il tempo.
Dio ci ama con tenerezza, ci ama facendosi prendere le viscere, come spesso dice la Scrittura. L’espressione dice coinvolgimento interiore, partecipazione personale a quanto succede all’amato, fino a non tollerare l’idea che si perda.
Dio ci ama con misericordia: l’amore non vince soltanto il tempo, ma un nemico ancora più accanito: la colpa, la infedeltà e si fa perdono.
Naturalmente un amore che perdona non significa indifferenza. L’amore è esigente, vuole risposta. Un amore esigente è un amore adulto, serio, ricco di dignità.
Dio ci ama con concretezza: non amore a parole soltanto, cioè, né con la lingua, ma nei e con i fatti e nella verità.
Importante non è parlare di amore,ma incarnarlo nei gesti.
La nostra è la religione della Parola che si fa carne, acquista visibilità e tangibilità.
Infine la radicalità caratterizza l’amore di Dio: amare significa essere pronti se necessario, ed è sempre necessario, a dare la vita, cioè a spenderla per gli altri nel servizio e nel dono.
Questa è la “rivoluzione” cristiana già realizzata nei Santi di sempre e ora ri-proposta a noi.

4. “Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”
La gioia è l’aspirazione fondamentale di ogni uomo.
Dio non è contrario, o geloso. L’approva.
Solo che il mondo propone una gioia a “buon mercato”, offerta e venduta sui vari banchetti del piacere superficiale e del godimento stordente e alienante.
La gioia che il Signore ci propone nasce dalla c certezza di essere amati e di amare a nostra volta.
L’egoista questo non lo capisce e non l’accetta.
Il santo, l’uomo che ama è la persona più lieta e gioiosa che esista.