La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

lunedì 26 giugno 2017

Don Milani e Don Mazzolari

Amici di Fraternità, dopo la meravigliosa visita fatta da Papa Francesco credo vi sia venuta un po’ di curiosità circa questi due straordinari personaggi. Per chi non li conoscesse neppure un poco, ecco alcune note essenziali. Vi saluto, d. Pietro


DON MILANI E DON MAZZOLARI
Due sacerdoti che hanno incarnato, ben prima del Concilio, quello spirito di Chiesa in uscita e in dialogo col mondo

Don Lorenzo Milani nacque il 27 maggio 1923 a Firenze da una famiglia borghese. Nel 1930, si trasferisce a Milano dove il giovane Lorenzo effettuò gli studi fino alla maturità classica. Nel 1942, a causa della guerra, la famiglia Milani fu costretta a ritornare a Firenze. L’anno precedente, nel 1941, don Lorenzo si appassionò alla pittura, in particolare per quella sacra. Passione che sarebbe alla base del suo desiderio di andar oltre nella conoscenza della Bibbia, in particolare del Vangelo. In questo periodo incontrò anche colui che divenne il suo padre spirituale, don Raffaello Bensi. Nel 1943 entrò nel Seminario Maggiore di Firenze. Il 13 luglio 1947 ricevette il sacramento dell’ordine e fu assegnato prima a Montespertoli e poi a San Donato di Calenzano, dove aprì una scuola serale per operai e contadini. Nel 1954 fu nominato priore di Barbiana, dove fondò una scuola simile a quella di San Donato. Nel maggio del 1958 pubblicò l’opera “Esperienze pastorali”, ma la lettura di questa fu considerata “inopportuna” dal Sant’Uffizio. Alla fine del 1960, Don Lorenzo, si ammalò. Il linfogranuloma, di cui soffriva, se lo porterà via sette anni dopo. Nel 1965 indirizzò una lettera ai cappellani militari della Toscana, che definirono l’obiezione di coscienza: contraria all’amore cristiano e “espressione di viltà”. Per questa lettera don Lorenzo fu rinviato a giudizio per apologia di reato. Don Milani, per motivi di salute, non fu presente al processo, ma inviò ai giudici uno scritto in sua autodifesa. Inizialmente venne assolto, ma in un secondo momento, quando don Milani era già morto, la lettera venne definitivamente condannata. Altra lettera importante fu quella scritta con i ragazzi della scuola di Barbiana nel 1966: Lettera ad una professoressa. Il 26 giugno 1967, a soli 44 anni, don Lorenzo si spense a Firenze.

 Don Primo Mazzolari è nato il 13 gennaio 1890 a Boschetto, provincia di Cremona, da una famiglia contadina. Ben presto sente e segue la vocazione sacerdotale, tanto che, a soli dieci anni, entrò nel seminario minore di Cremona, dove rimase fino alla sua ordinazione sacerdotale il 24 agosto 1912. Il giovane prete, fu nominato vicario a Spinadesco per essere poi subito richiamato, nel seminario di Cremona, per insegnare Lettere. Intanto la Prima guerra mondiale scoppiò e don Primo si oppose subito alla “mentalità” militarista tedesca. La Guerra lo segna come uomo e come prete. Comprende che la pace dev’essere cercata ad ogni prezzo, tanto che dirà: “Se invece di dirci che ci sono guerre giuste e guerre ingiuste i nostri teologi ci avessero insegnato che non si deve ammazzare per nessuna ragione, che la strage è inutile sempre, e ci avessero formati ad un’opposizione cristiana chiara, precisa ed audace, invece di partire per il fronte saremmo discesi sulle piazze”. Lascia l’esercito nel 1920 e nominato parroco a Bozzolo, in provincia di Mantova. Due anni dopo viene nominato parroco a Cicognara dove, in dieci anni, plasmò il suo stile da “prete del sociale” organizzando una scuola serale per contadini e aprendo una biblioteca. Nel 1932 viene nominato parroco a Bozzolo. In questo periodo scrisse numerose opere, molte delle quali ostacolate dal Sant’Uffizio e dalle autorità fasciste. L’opposizione al fascismo, che prese piede anche prima della marcia su Roma, fu caratterizzata da diversi episodi: non volle cantare il “Te Deum” per lo scampato attentato a Mussolini; non volle votare per la lista unica dei fascisti scatenando l’ira degli squadristi che esplosero tre colpi di rivoltella nella sua finestra, ma senza colpirlo. Don Primo nella sua opposizione né ebbe per tutti, anche per il clero che restava “tiepido” davanti all’opera dittatoriale fascista. Nel 1924 scrisse: “sento il dovere di dichiararmi apertamente a favore degli oppressi”. Dopo la caduta del fascismo e l’adesione alla resistenza fu costretto alla clandestinità fino alla liberazione. Nel 1949 fondò un periodico (“Adesso”) che fu pubblicato fino al 1951, quando fu “sospeso”, su richiesta della Santa Sede. Tra i suoi tanti scritti, nel 1955, ne uscì uno anonimo: “Tu non uccidere”. Il trattato di don Primo sottolinea la necessità di una pace che dev’essere ben radicata nella vita del cristiano che non deve dare spazio ad alcuna violenza. Così scriveva: “Cadono, quindi, le distinzioni tra guerre giuste e ingiuste, difensive e preventive, reazionarie e rivoluzionarie. Ogni guerra è fratricidio, oltraggio a Dio e all’uomo”. Nel 1957 è chiamato a predicare a Milano dal cardinal Montini, futuro Paolo VI. Lo stesso papa Montini, successivamente, parlando di don Primo dirà: “Lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. Questo è il destino dei profeti”.  Con l’avvento di Giovanni XXIII il “pensiero moderno” di don Mazzolari trovò terreno più fertile, facendolo diventare il “precursore” delle innovazioni del Concilio Vaticano II. Don Primo, che ha sempre lasciato il primo posto alla Parola di Dio, è stato accolto dal cardinale Roncalli e dal cardinale Montini, tanto è vero che il primo, divenuto Papa, lo definì “tromba dello Spirito Santo”. Don Primo Mazzolari, il parroco semplice per i semplici, morì il 12 aprile 1959 nella casa di cura “San Camillo” di Cremona. Nel 2015 è stato autorizzato l’avvio della causa di beatificazione. Ricordiamo alcune delle sue opere: “La più bella avventura” (1934); “Il samaritano” (1938); “I lontani” (1938); “Tra l’argine e il bosco” (1938); “Tempo di credere” (1941); “Impegno con Cristo” (1943). Fra i suoi amici, invece, si ricordano: il fondatore di Nomadelfia, don Zeno Saltini; il poeta padre David Maria Turoldo; il sindaco fiorentino Giorgio La Pira e lo scrittore Luigi Santucci.

domenica 25 giugno 2017

LETTURA DEL VANGELO DELLA DODICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

PER QUANTI LA DESIDERANO ECCO  LA MIA LETTURA DEL VANGELO DELLA DODICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO. UN CARO SALUTO A TUTTI.
Don PIETRO

1. La missione dei discepoli

È quella di continuare l'opera di Gesù e cioè annunciare la buona notizia e compiere gesti di salvezza come guarigioni ed esorcismi.
I discepoli avranno lo stesso potere e autorità di Gesù, ma incontreranno anche la stessa opposizione sperimentata da lui. Il mondo posto tutto sotto il maligno, non potrà sopportare la luce, la giustizia, l'amore disinteressato.
L'opposizione del mondo può e sa essere anche violentissima. Ma non bisogna per questo lasciarsi intimidire e alterare il messaggio o addolcirne le esigenti richieste.
Infatti l'annuncio corrisponde alla volontà di Dio. L'annunciatore deve solo obbedire, non  ne può disporre né vi si può opporre.
L'annunciatore, minacciato dalle potenze ostili, può contare sulla protezione di Dio che guida il cammino della storia.
Gli uomini possono uccidere il corpo, ma non possono far fallire il senso della vita di un uomo.
Solo Dio deve essere temuto e il timore di Dio libera da qualsiasi altro timore. Allora all'annunciatore non capiterà nulla di male che Dio non sappia o non voglia. E sarà, per questo, una male limitato e provvisorio che apre la strada ad un bene completo e definitivo.

2. Il legame fra Gesù e il discepolo

In virtù del legame esistente tra il Maestro ed i suoi discepoli, questi sono suoi testimoni. In virtù ancora di questo legame Gesù è solidale con i discepoli dinanzi al Padre.
Naturalmente non siamo dinanzi ad uno scambio mercantile, ma ad una coerenza con le libere scelte dei discepoli.

3. Da chi viene la forza

Il profeta (ad esempio Geremia nella prima lettura di oggi) è fiducioso. Al suo fianco c'è Dio stesso. I nemici proveranno solo confusione e vergogna.
Il profeta, beninteso, non invoca la sua personale vendetta, ma la vittoria

domenica 18 giugno 2017

Meditazione sulla Solennità del CORPO E SANGUE DI CRISTO.

Amici, vi invio la meditazione sulla Solennità del CORPO E SANGUE DI CRISTO con un fraterno abbraccio a tutti. Don Pietro

1. “Prendete, questo è il mio corpo…”
con queste parole Gesù assegna al pane che spezza con i suoi amici una funzione che non è più quella di semplice nutrimento fisico, ma quella di rendere presente la sua persona in mezzo alla comunità dei credenti. Il gesto che Gesù compie nell’ultima Cena è anticipazione dell’evento salvifico che si compirà da lì a poco sulla Croce. La Cena di Gesù è, cioè, proiettata sul futuro, sulla nuova Pasqua, a differenza di quella ebraica che è volta al passato. Le parole di Gesù potrebbero parafrasarsi così: questo pane spezzato rappresenta la mia vita donata, offerta in sacrificio. Sono io che mi dono nel segno del pane e del vino.

SPIEGAZIONE
La Cena, dunque, contiene nei gesti di Gesù la spiegazione del significato della sua esistenza: una vita, cioè, messa a disposizione del Padre e espropriata liberamente a vantaggio di tutti gli uomini.
2. la meta cui Dio tende fin dalla creazione e che in Cristo finalmente raggiunge è stabilire un rapporto di intimità con la sua creatura, l’uomo, fare comunione con lui. Ebbene, tutto questo si realizza pienamente nella Cena eucaristica: Dio fa comunione con noi e ci invita a fare comunione tra noi. Perciò si parla di pane condiviso, di vino bevuto insieme.

COMUNIONE TRA NOI
Quando noi prendiamo e mangiamo il pane eucaristico, non solo entriamo in una comunione profonda con Gesù, ma ci impegniamo anche a realizzare la comunione tra di noi, cioè a trasformare la nostra vita da possesso in “dono”.
3. quando Gesù benedice il calice fa un chiaro riferimento al rito compiuto sul Sinai (Mosè che prende metà del sangue e con esso asperge l’altare, mentre con quello rimasto viene spruzzato il popolo); ma annuncia anche che con la sua morte in croce si inaugura, grazie al sangue versato per “molti”, cioè per una moltitudine, una nuova alleanza e quindi nasce una nuova comunità. Gesù, cioè, proclama che l’evento antico giunge alla sua pienezza, al suo compimento. Noi diventiamo, nel sangue di Cristo, il popolo dell’alleanza. Un’alleanza che, ancora una volta, nasce dalla libera e gratuita iniziativa divina. Noi, anche se ci impegniamo a rispettare i patti, non siamo contraenti a pieno titolo ma beneficiari. L’alleanza non si colloca sul piano dello scambio, ma su quello del dono, del ricevere. È un patto stretto nel sangue del Figlio sparso, cioè dell’amore fedele fino alla morte.
4. la celebrazione del Corpo e Sangue del Signore deve aiutarci a cogliere la distanza colpevole esistente tra i significati dell’Eucarestia e la nostra vita cristiana.

RESO INNOCUO
Innanzitutto dobbiamo chiedere perdono non solo del cattivo uso che facciamo del dono ricevuto dal Signore, ma anche per averlo reso troppo spesso innocuo, irrilevante a livello esistenziale. Troppe Eucaristie cui partecipiamo lasciano le cose come prima: dentro e fuori di noi. Se c’è una profanazione del Sacramento, c’è anche, altrettanto grave, una sua non utilizzazione. Un’eucarestia ridotta a semplice rito, a pratica, che non cambia nulla, non trasforma la realtà, anzi legittima lo stato di cose esistenti (uno che ha fame, e l’altro è ubriaco, 1 Cor. 11, 21) è un’Eucarestia dissacrata, depotenziata. Altre volte cerchiamo disinvoltamente di conciliare la partecipazione al banchetto eucaristico con le divisioni e le beghe astiose tra noi, l’ortodossia delle formule con l’eresia dei comportamenti, la difesa della verità con l’offesa alle persone. succede anche che nell’Eucarestia inneggiamo alla “vittima pasquale”, epoi nella vita ci schieriamo, magari solo con un silenzio complice, dalla parte dei torturatori e ci mettiamo in compagnia dei carnefici. Non vogliamo, cioè, capire che la Pasqua del Signore cui prendiamo parte ci impegna come Cristo a far dono della nostra vita, non a minacciare o spegnere quella degli altri. Soprattutto dobbiamo confessare una nostra colpa fondamentale: come il popolo dell’Esodo ci affrettiamo a dichiarare solennemente “Tutti i comandi ci ha dato il Signore, noi li eseguiremo” e poi dimentichiamo regolarmente che il comandamento unico è quello dell’amore e che le parole da fare sono quelle della pace, della giustizia, della fraternità, del rispetto, della tolleranza. Quando noi partecipiamo alla Cena conviviale del Signore, siamo associati al suo destino, coinvolti nella sua morte. “comunicarsi” in questa prospettiva significa essere condannati, messi a morte con Cristo. Quando si riceve l’Eucarestia dovrebbe diventare impossibile la fuga. Partecipare al banchetto eucaristico rappresenta un preciso dovere a essere presenti ovunque l’Uomo soffre. Non possiamo comunicarci ed essere poi assenti, disertori degli impegni terrestri. Il Maestro non resta sempre seduto a tavola: esce fuori, affronta il buio. Dobbiamo seguirlo, altrimenti comunichiamo con una assenza. L’Eucarestia non è solo stare con Lui al calduccio, ma lasciarsi portare con Lui, nel vento gelido della notte, delle contraddizioni, della lotta. Non è tenere, ma darsi. C’è qualcosa di peggio che non credere alla presenza reale. Ed è credere ad una presenza reale “rassicurante” che non ci porti a “perdere” la nostra vita, a comprometterci per Dio e per i fratelli.

sabato 10 giugno 2017

SANTISSIMA TRINITÀ, SOLENNITA’ DI DOMENICA PROSSIMA. Don Pietro

AMICI, ECCO IN ALLEGATO PER CHI VOGLIA ACCOGLIERLA,  LA MIA PRESENTAZIONE
DELLA SANTISSIMA TRINITÀ, SOLENNITA’ DI DOMENICA PROSSIMA

1. Dio è Trinità, perché è Amore
Nella prima lettura, tratta dalla Genesi, Dio proclama il suo nome di fronte a Israele: JHWH. Dio non è una forza anonima della natura, non è una potenza tenebrosa ultraterrena.
Dio ha un nome: dunque ha un volto, ha un cuore. Cioè è un Dio personale. I suoi attributi sono hesed ed hemet
Hesed può tradursi con grazia, misericordia. JHWH  è cioè un Dio sensibile al dolore, non indifferente e freddo. Hemet  può tradursi con fedeltà. Dio colma il bisogno di vita dell'uomo con i suoi doni.
L’ira è solo una reazione breve e passeggera per il peccato dell'uomo.

2. Il Padre nel Figlio
Compassione, grazia e fedeltà Dio le manifesta soprattutto in Gesù Cristo, suo Figlio. In Cristo si conosce l'amore di Dio come amore solidale con l'uomo. L'amore di Dio in Cristo è dono totale,  "sino alla fine".
Perciò Gesù è immagine perfetta dell'amore del Padre.
Con Gesù Dio non dona solo cose preziose all'uomo (la vita, la libertà, la terra, la Legge...), ma dona se stesso. Per cui è annullata ogni distanza, è colmata dal dono di sé nel Figlio. Tra il Creatore e le creature, tra  il mondo e il suo fattore, tra il Santo e i peccatori nasce crolla il muro di divisione eretto dal peccato. Conseguentemente il nostro rapporto con Dio si decide nel nostro rapporto con Gesù suo Figlio. Chi crede in Gesù Cristo, cioè chi si lascia amare da Dio attraverso Gesù Cristo, non è condannato: il suo peccato è bruciato dall'amore di Dio.
Chi non crede in Gesù Cristo, cioè non si lascia amare e perdonare da Dio in Gesù Cristo, è già stato condannato: rimane nel suo peccato e nella condanna di Dio

3. Lo Spirito
L'amore del Padre e la grazia-Gesù ci sono comunicati attraverso il dono dello Spirito.
Lo Spirito è la comunione d'amore tra Padre e Figlio.
Lo Spirito apre i nostri cuori a questa comunione.
La Trinità è con noi" (II Cor): la Trinità è il mistero della nostra vita. La comunione che stabiliamo tra noi è il prolungamento della comunione trinitaria.
L'amore tra noi non è un ideale umano (etico)  ma è un riflesso in noi dell'amore divino.

4. Una vita trinitaria
Essa si realizza se viviamo con gli altri e per gli altri.
Si realizza se doniamo tutto a Dio.
Si compie se sappiamo uscire dal nostro io per andare incontro agli altri. E’ viva e reale se viviamo la comunione e il dono di noi stessi a Dio e ai fratelli

domenica 4 giugno 2017

Pentecoste sorgente della vita del vero credente e della comunita’ cristiana. Don Pietro

Amici, Pentecoste e’ la sorgente della vita del vero credente e della comunita’ cristiana. a chi la gradisce una mia riflessione su questa solennita’ nota come la discesa dello spirito santo

1. Il Grande Dimenticato

Sorprendente è l'operazione culturale condotta felicemente dalla Chiesa nel corso dei secoli relativamente alle Solennità di Natale e di Pasqua che si sono così profondamente radicate nell'animo dei credenti praticanti e non solo. Perché ciò non è avvenuto anche per la festa di Pentecoste, per l'evento da cui nasce la Chiesa e cioè la discesa dello Spirito santo? Eppure lo Spirito santo è il protagonista sia del Natale che della Pasqua.

2. Qualche ipotesi

·        La dimenticanza, l'oblio dello Spirito santo probabilmente è dovuto alla sua natura misteriosa.
·        Lo Spirito è comunione invece la modernità presenta un carattere ed un volto egocentrico, che contrasta con il significato centrale dello Spirito.
·        Forse c'è anche un peccato di omissione della riflessione di fede che e stata una riflessione fortemente intellettuale, e stata poco teologia in ginocchio. La teologia si è limitata quasi esclusivamente a parlare di  Dio, non a Dio, né si è messa in ascolto di Dio

3. Conseguenze nefaste

La più grave conseguenza è l’erramento e lo smarrimento dell'uomo, il suo sprofondamento nella prigione della solitudine, paralizzato dalla paura, a volte preda di vera e propria angoscia e disperazione. Su di lui  incombe il nichilismo, dinanzi a lui si spalanca un vuoto terribile e insopportabile.
L'ostracismo dello Spirito di Dio consegue alla  rivincita del razionalismo. Cioè l’ incapacità da parte dell’uomo di pensare il mistero e, quindi, l'assenza e la mortificazione nella sua esistenza di valori immateriali e spirituali. La marginalità, a volte una vera e propria assenza, dello Spirito ha condotto alla sovrastima dell'aspetto istituzionale della Chiesa e questo ha significato la mortificazione dei carismi,  l’ incapacità  di vivere al suo interno rapporti di comunione e  la sterilità all’esterno del suo compito missionario.
La mancanza dello Spirito ha anche determinato un regresso dell'umanità alla situazione babelica. Domina sovrana  l’incomunicabilità tra le persone, tra i gruppi umani, tra i popoli, tra le religioni. Spesso nei rapporti prevale l'impulso al dominio violento, c'è chiusura e mortificazione delle diversità.

4. Lo Spirito santo

Con la discesa dello Spirito santo  c'è come un nuovo inizio della creazione, dopo il fallimento del primo inizio.
Come il Soffio creatore di Dio evoca le cose dal nulla, trasforma in cosmos il caos, infonde un alito di vita nell'uomo, così il dono dello Spirito è nuova creazione per la terra e per l'uomo.
Il dono dello Spirito, cui segue l'invio dei discepoli nel mondo, pone un elemento di continuità tra la missione di Gesù da parte del Padre e quella della Chiesa nel mondo, perché tutti gli uomini ricevano la pienezza della vita.
Lo Spirito è strettamente necessario, indispensabile, per chi vuole agire come Gesù e in nome di Gesù. Come Gesù fu concepito per opera dello Spirito santo così i discepoli dovranno essere generati dallo Spirito. Senza lo Spirito i discepoli non possono rimettere i peccati. Cioè per combattere e sconfiggere la forza negativa del peccato, della sua nefasta influenza nel mondo, occorre la forza dello Spirito. Come Gesù venne indicato dal Battista come l'Agnello che toglie il peccato del mondo, così la Chiesa va concepita come la casa in cui si rimettono i peccati.
Con lo Spirito santo l'annuncio di Cristo tocca e cambia il cuore dell'uomo. Senza lo Spirito la parola di Dio è morta.
Con lo Spirito i discepoli diventano capaci di parlare le lingue degli ascoltatori. Cioè la parola di Dio detta nello Spirito diventa forza unificatrice che si contrappone vittoriosamente alla logica di divisione, quella di Babele.
Le particolarità non vengono mortificate, ma trascese in una superiore comunione sul modello del mistero trinitario: un solo Dio in tre persone uguali e distinte.
Questo processo di unificazione del mondo inizia dalla Chiesa: in essa deve esserci  diversità di carismi, a uno solo è lo Spirito.; c'è diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore come ci ricorda Paolo nella prima lettera ai Corinzi.

5. Promessa mantenuta

Alla Samaritana Gesù aveva promesso un'acqua dissetante e ristoratrice. Ebbene, quest'acqua è lo Spirito santo con i suoi doni: "a ciascuno è stata data una manifestazione dello Spirito, per l'utilità comune".
I doni non sono concessi per l'affermazione di sé, ma per l’edificazione della Chiesa.
Il bene della comunità è più importante della propria affermazione.

6. Porte aperte
 Le porte chiuse che lo Spirito apre sono:
·        la consolazione contenuta nelle Scritture che scende con lo Spirito nel cuore di chi soffre.
·        La forza dei sacramenti e della carità che si incarna nei cuori.
·        La grazia dell'ascolto profondo  concessa a chi legge la Scrittura.

·        La via dell'annuncio che viene aperta dinanzi ai passi degli apostoli.