La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

venerdì 26 maggio 2017

la meditazione per la solennita’ dell’Ascensione di nostro Signore Gesù Cristo. Don Pietro

Per chi la desidera ecco la mia meditazione per la solennita’ dell’Ascensione di nostro Signore Gesù Cristo. vi saluto fraternamente

A. Premessa

1. L'evento non va inteso in senso spaziale, topologico: quasi si trattasse di un trasferimento materiale del corpo del Cristo dalla terra al cielo con un volo oltre le nubi e l'atmosfera, con gli angeli che pilotano il corteo. Non si tratta di una cerimonia di intronizzazione del Cristo alla destra del Padre
2. Più che il fatto, interessa il suo senso profondo e il suo messaggio.
Questo mistero è sviluppo e parte integrante del mistero di Cristo, della sua incarnazione della sua morte e risurrezione.

B. Il significato per il Cristo

1. Cristo è innalzato perché si è umiliato. Aveva detto: "Chi si umilia, sarà esaltato".
Cristo è costituito Signore perché si è fatto servo. Aveva detto: "Chi perde la sua vita la ritrova".
Cristo ritorna al Padre, ritorna cioè Colui che dal Padre era stato inviato. Egli aveva detto: "Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo, ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre" (Giovanni 16,28)
Adempiuta finalmente della sua missione, Cristo ora vive nel mondo di Dio ed è assente dalla scena della storia umana.
Ma non è abbandono il suo: manderà il suo Spirito, guida e sostegno della Chiesa sino alla  Parusia
2. Il racconto dell'ascensione è molto semplice: niente pomposa apoteosi come nei miti pagani e nelle rappresentazioni teatrali. Solo un sobrio accenno a dove è diretto: "Vado al padre".
Gesù salì un po' più in alto, finché una nube non lo rese invisibile.
La nube significa la Presenza di Dio. Il cielo con la sua luce, con la sua immensità e trasparenza è simbolo stupendo della dimora di Dio. Ma Dio, il Padre, non è legato ad un determinato luogo.

C. Il messaggio per l'uomo credente

1.   Come Gesù anche il credente è chiamato alla vita divina, a partecipare alla gloria.
2. Ecco alcune conseguenze indicate dal teologo B. Forte:
·        Il futuro dell'uomo è l'origine stessa da cui è venuto.
·        Egli è pellegrino verso la patria e cioè il Padre verso cui andare nello Spirito santo.
Ora questa attesa della patria, cioè di Dio, deve diventare rifiuto di ogni idolatria del presente, per aprirsi alle cose nuove, allo Spirito, dono già ricevuto ma anche promessa e anticipo di un dono più grande da attendere: la gloria di Dio, nostra piena realizzazione quando saremo liberati dalla schiavitù del peccato e della morte.
La provvisorietà della sofferenza: passerà la notte e spunterà la luce che c'illuminerà per sempre.
Non possiamo identificare le nostra speranza con le speranze di questo mondo. Le assumiamo, le verifichiamo al vaglio della risurrezione che ci indica Dio come meta ultima e definitiva. Il richiamo della patria-Dio ci riempie di gioia.
L'ultima parola della nostra esistenza, sarà parola di gioia e non di dolore, di grazia e non di peccato, di vita e non di morte.
Camminiamo come Israele ripetendo:  "Quale gioia quando mi dissero: andremo alla casa del Signore" (Salmo 122,1).

D. Indicazioni per la Chiesa 

La figura umana di Gesù viene sostituita dalla presenza dello Spirito e ciò, dice Gesù, è bene per noi.
Lo Spirito ci mette in contatto con Gesù più intimamente che con la sua figura umana. Non più con o tra i discepoli, ora Gesù è in noi!
Non è il facile guardare con gli occhi che conduce a Gesù, ma l'attenzione del cuore: "Beati i puri  di cuore,  perché  vedranno Dio"...
Partendo Gesù ci assegna anche un compito e ci affida una missione: ora tocca a noi glorificare Dio con la nostra vita.
Il compito nostro è annunciare Gesù Cristo. La nostra missione è essere sacramento di vita nuova. La nostra forza unica è lo Spirito.

Niente di più, niente di meno.

venerdì 19 maggio 2017

AMICI, ECCO UNA MIA LETTURA DEL VANGELO DELLA VI DOMENICA DI PASQUA. Don Pietro

Dal Vangelo di Giovanni, 14, 15-21

1. "Se mi amate, osserverete i miei comandamenti"

Amare Gesù comporta l'accettarlo nella realtà sconcertante della sua venuta e della sua "ora ".
I Giudei hanno rifiutato di accoglierlo e anche i discepoli stentano ad accettarlo pienamente: vedi Pietro ad esempio che tenta di opporsi a Gesù che vuole lavargli i piedi. Non ritrova in Gesù chinato ai suoi piedi l'immagine che egli si è fatto del Messia. Non riconosce nel servo e schiavo il suo Signore.
Amare Gesù significa riconoscerlo come maestro e Signore, ma nel modo in cui il Padre e lui stesso hanno voluto che fosse: come servo umiliato e rigettato.

2. Amore come fede e obbedienza ai comandamenti

L'amore verso il Gesù, allora, non è altra cosa che la fede nella sua origine divina. E la vera fede in Gesù implica l'amore per lui.
La prova d'amore verso  Gesù consiste, poi, nell'osservanza del suo comandamento. Non in una semplice osservanza esteriore, ma nell'accordo profondo della volontà, nell'adesione convinta dello spirito e del cuore, insomma in una fedeltà amante. Tradurre l’entolé  greca con comandamento significa impoverirne la ricchezza teologica. Il comandamento che Gesù chiede di osservare implica l'idea di una rivelazione che costituisce il fondamento della vita religiosa e morale.
Più che comandamento allora, si dovrebbe tradurre con insegnamento, mandato, via. Gesù, cioè, apre ai suoi discepoli una via nuova per entrare in comunione con lui e con il Padre.
Gesù rivela un mondo nuovo, comunica una vita, indica un'opera, confida un progetto.
Il comandamento di Gesù comporta tutta la rivelazione che egli ha fatto ai discepoli della volontà divina.
E l'amore per Gesù si può esprimere solo con e nella sullecitudine a conservare il suo insegnamento e a camminare nella sua via.
E il comandamento  che ricapitola la rivelazione che Gesù è venuto a portare e la via nuova che è venuto ad aprire è il comandamento dell'amore fraterno che trova nella lavanda dei piedi, oltre al suo significato salvifico, il suo valore di esempio per i discepoli.
La legge della comunità dei suoi discepoli è il servizio fraterno.
Questo comandamento Gesù lo ha promulgato insieme all'annuncio della sua dipartita.
Quasi ad ammonire i discepoli che nel tempo della sua assenza fino al suo ritorno, essi dovranno renderlo presente amandosi e servendosi gli uni gli altri.
Questo amore fraterno deve segnare di sé l'ultima tappa della rivelazione, il tempo dello Spirito, l'anticipo della vita eterna.
Gesù chiede ai suoi discepoli non solo di amarsi reciprocamente , ma di amarsi "come" (“otì”) lui ci ha amati.
L’amore dei discepoli deve, cioè, essere la continuazione dell'amore di Gesù, il frutto dell'amore di Gesù, la risposta al suo amore.
Conseguentemente la Chiesa di Gesù dovrà essere una comunione, uno scambio reciproco di servizi, un vivere insieme, nel suo amore, uniti dall'amore per Gesù.
Ancor una volta l'amore fraterno è collegato alla fede in Gesù.

3. La promessa del Consolatore

Nella rivelazione vi sono come due tappe: Gesù ha rivelato il Padre, si è manifestato come l'Inviato, il Figlio, ma i discepoli non hanno riconosciuto realmente in lui la presenza del Padre.
Occorre il dono dello Spirito perché i discepoli credano che Gesù è nel Padre, essi in lui e lui in essi.  Allora ogni velo cadrà e la rivelazione si compirà pienamente. Il dono dello Spirito nulla aggiunge alla rivelazione, ma la compie perché la trasforma in luce e vita nel cuore di discepoli.
Ecco la novità: prima della Pentecoste lo Spirito era presso i discepoli e in Gesù. Ora è nei discepoli, nel loro cuore, per sempre.
Grazie a questo dono, la rivelazione di Gesù penetra nei loro cuori da cui sgorgheranno quei "fiumi di acqua viva" annunciati da Gesù.
E così la rivelazione di Gesù diventa sapienza di vita nei discepoli.
Senza lo Spirito alla missione del figlio manca il sigillo, alla sua parola manca l'autenticità e al suo stesso sacrificio la fecondità.
È lo Spirito che mantiene vivo l'insegnamento di Gesù, ne mette in luce il vero significato e lo fa penetrare nei cuori.
E’ lo Spirito  che introduce i discepoli alla verità tutta intera, alla conoscenza del loro Maestro svelando la sua persona nella sua sorgente:  il seno del Padre.
È lo Spirito che denuncia la perversione, la menzogna del mondo che condanna Gesù e dimostra la falsità del principe di questo mondo.
L'opera dello Spirito non si limita alla mente. Essa opera nei cuori realizzando in essi la presenza del Padre e del Figlio.
Solo l'invio dello Spirito porta a termine la missione  di Gesù.
Egli è lo Spirito di verità, lo Spirito attraverso cui si scopre la verità, che altri non è se no lo steso il Gesù nella sua verità senza veli.

martedì 16 maggio 2017

Una bella poesia di Gibran sul dono, piccola meditazione per tutti

IL DONO

Ci sono quelli
che danno  poco del molto che hanno
e lo danno per ottenerne riconoscenza,
e il loro segreto desiderio guasta i loro doni.

E ci sono quelli
che hanno poco e lo danno tutto.
Sono proprio loro
quelli che credono nella vita,
e nella generosità della vita
e il loro scrigno non è mai vuoto.

Ci sano quelli che danno con gioia,
e questa gioia è la loro ricompensa.
E ci sono quelli che danno con dolore, e
questo dolore è il loro battesimo.­

E ci sono quelli che danno
e nel dare non provano dolore
né cercano gioia
né danno pensando alla virtù.
Essi danno come in quella valle laggiù
il mirto esala nello spazio la sua fragranza.
Per mezzo delle mani di gente  come loro
Dio parla e dietro ai loro occhi
egli sorride alla terra.

E' bene dare quanto si è richiesti,
ma è meglio dare quanto,
pur non essendo richiesti,
comprendiamo i bisogni degli altri.
E per chi è generoso
il cercare uno che riceva
è gioia più grande che non il dare.

E c'è forse qualcosa
che vorresti trattenere?
 Tutto ciò che  hai
un giorno o l'altro
sarà dato via,
perciò dà adesso,
si che la stagione del dare sia la tua,
non quella dei tuoi eredi.


G. Kahil Gibran

sabato 13 maggio 2017

RIFLESSIONE AL VANGELO DELLA V DOMENICA DI PASQUA. Don Pietro

1. "Io sono la via"

In un itinerario ordinario c'è un inizio e una meta. La via è solo la strada che conduce al traguardo. Raggiunto questa essa non serve più: è solo mezzo al fine.
Invece in un itinerario che si apre all'infinito, il traguardo non è la fine della strada, il traguardo è la stessa strada che conduce sempre più avanti, sempre più in alto. In tal caso  strada e traguardo si identificano.
Così è  Gesù : strada e traguardo insieme.
Egli non è un semplice strumento di salvezza che una volta adoperato può essere messo da parte, egli è uno strumento che si identifica con la salvezza stessa.
L'immagine della via esprime solo il senso di un'esistenza sempre protesa in avanti, fatta non di quieto possesso ma di amore ardente, non di chiusura in se stessi, ma di dono.
Paolo parla dell'amore come di una via

2. Io sono la verità

Gesù è la rivelazione del Padre. In lui la parola che è una sola cosa con il Padre, si è fatta carne, è divenuta visibile, ascoltabile, toccabile.
Attraverso la comunione con Gesù il Cristo, ogni uomo può entrare in comunione col Padre.
Il peccato aveva separato Padre e Figlio. Cristo ha eliminato il muro di divisione. Nelle parole di Gesù, nelle sue opere, possiamo intravedere il volto di Dio.

3. Io sono la vita

Gesù è la vita divina donata agli uomini. Egli è il compimento di ogni desiderio del cuore umano.
Perciò l'annuncio della sua partenza suscita turbamento nel cuore dei discepoli.
Per loro Gesù era tutto: per lui avevano abbandonato tutto; sul lui avevano puntato ogni speranza.
Il loro non è semplice dispiacere psicologico di amici. È il disorientamento del discepolo che vede sparire l'unico punto di riferimento della propria vita.
Ma Gesù non li abbandona. Al contrario, tornando al Padre, completa il percorso rendendolo praticabile anche ai discepoli.
Grazie al suo ritorno al Padre, anche gli uomini possono ritornarvi.
Come per Gesù,  anche per loro il vivere e morire può diventare un ritorno a Dio.
Chi accoglie Gesù con fede e amore è inserito in una corrente infinita di amore che porta verso il Padre. La comunità credente è la grande opera iniziata e continuata dai discepoli nello Spirito.

4. Un regno di sacerdoti

Al popolo della nuova alleanza convengono perciò i titoli che il Primo Testamento riservava a Israele: "stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa, popolo che Dio si è acquistato".
Ai privilegi corrispondono responsabilità: "offrire sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo".
Sacrifici spirituali: non sacrifici interiori, non sentimenti, desideri, ma la vita interiore ed esteriore. Cioè tutte le azioni religiose e profane, le esperienze affettive. Insomma ogni cosa è da offrire a Dio.
Ma, come può una vita povera diventare offerta gradita a Dio?
Solo per mezzo di Gesù Cristo. Gesù è la via nella quale l'esistenza del credente diventa ritorno a Dio.
Gesù è la pietra scelta intorno a cui costruire la casa della propria vita.

5. Una comunità ricca di ministeri

A Gerusalemme difficile era la convivenza tra ebrei e ed ellenisti della diaspora a ragione delle diversità culturali, di mentalità, di abitudini.
Gli apostoli propongono, l'assemblea designa, gli apostoli impongono le mani ai diaconi.

Interessante è l’indicazione  metodologica che qui troviamo: sorge una crisi che potrebbe spaccare la comunità. La crisi viene affrontata dai capi della comunità insieme col consiglio e con l'assunzione di responsabilità da parte di tutti. Infine si invoca lo Spirito in modo che la scelta per un nuovo ministero non sia un adempimento burocratico, ma un evento spirituale.

venerdì 5 maggio 2017

COME DI CONSUETO ECCO UN MIO BREVE COMMENTO ALLA IV DOMENICA DI PASQUA - Don Pietro

1. Appartenenti ecclesiali abusivi

"Chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta è il pastore delle pecore".
Con queste parole Gesù stabilisce il criterio di legittimazione per quanto concerne il ruolo dei pastori della sua comunità e disegna alcune modalità di esercizio di tale ruolo.
In parole più semplici Gesù intende rispondere a questa domanda: "Chi è idoneo a guidare i fratelli nel cammino verso il Regno di Dio e quali rapporti  il pastore deve Intrattenere con le persone a lui affidate?".

2. Entrare per la porta

Gesù  risponde non con una teoria articolata sull'identità e i compiti dei pastori, ma con l'allegoria-similitudine della porta attraverso cui un pastore deve entrare se non vuol essere tacciato di abusivismo e descrivendo il comportamento del vero pastore in antitesi a quello di chi pastore non è, ma "ladro, brigante, estraneo".
Questa immagine della porta evocava negli ascoltatori di Gesù  immediatamente la porta della città. Al di dentro della porta c'era la città allora vissuta come grembo materno, accogliente, nutriente, protettivo.
Al di fuori della porta c'è il male, l'oscurità, il deserto, i briganti. Significativo era il simbolismo di scagliare, al sopraggiungere della notte, delle frecce fuori della porta quasi a colpire le potenze minacciose alberganti al di fuori della città.
A Gerusalemme in particolare per le pecore c’era una porta speciale, detta. "Porta delle pecore". Di particolare e significativo c'era il fatto che essa era in collegamento diretto con il Tempio.

3.  Il messaggio nascosto nell'immagine-porta

Gesù è vero pastore, l'unico vero. Egli è collegato col Tempio di Dio. E’ lui anzi il vero Tempio di Dio. In lui è vivo e operante l'amore di Dio. Questo risulta chiaramente dalle modalità con cui egli esercita questo ufficio regale e pastorale:
Egli è autorevole e credibile: infatti le pecore ascoltano la sua voce
Egli conosce una per una le sue pecore
Egli si fa guida delle pecore verso i pascoli di Dio,
in lui è vero il Salmo 23.

4. Chi può partecipare al munus regale-pastorale di Gesù

Può partecipare chi è stato chiamato, chi ha risposto all'amore di figlio, lo vive e e lo testimonia.
Chi non cerca il bene proprio, neppure quello spirituale, ma solo il bene delle anime.
Chi è attento alle singole persone, più che alle esigenze dell'istituzione e dell'organizzazione.
Chi sa essere guida alla mente e al cuore delle pecore tracciando itinerari spirituali, indicando pericoli, difendendole, spendendosi per esse.
Chi sa farsi carico del loro dolore fasciandone le ferite e sostenendole nelle angustie del cammino.

5. Gli abusivi

Abusivo è chi non è preso dall'amore di Dio, dall’amore per l'uomo e per la terra.
Chi si serve delle pecore per il suo tornaconto.
Chi sacrifica i volti alla volontà di potenza.
Chi lega a sé, non a Dio, le persone.
Chi cede alla tentazione del dominio.
Chi svende le esigenze ruvide dell’evangelo.
Chi, affetto da sclerocardia, è insensibile alla sofferenza umana.
Il discorso vale non solo per i pastori istituzionali, ma per ogni credente chiamato a partecipare, in virtù del battesimo, alla regalità-pastoralità di Cristo.