Stupisce l'affermazione sulla "pace" nella Chiesa delle origini cristiane, appena dopo la descrizione dei grandi problemi e delle difficoltà che essa pure incontrava: la paura di Paolo, ex nemico e persecutore, le minacce di morte a Paolo…
La spiegazione è "nel timore del Signore" che la Chiesa aveva e nel conforto dello Spirito che la colmava.
Anche nei conflitti e nelle anguste la Chiesa è serena se è animata dalla preoccupazione di piacere solo al suo Signore e se si lascia colmare dallo Spirito di Dio.
Come è stata la vita di Gesù: sofferenze e prove sempre vissute nella fedeltà al Padre e con la serenità e la forza dello Spirito. Così deve essere anche la vita della Chiesa.
Ed anche la nostra vita personale è immersa nella stessa logica.
Pace è fidarsi della fedeltà di Dio, nonostante le apparenze contrarie.
2. Ma perché le prove?
"... ogni tralcio che porta frutto (il Padre) lo pota, perché porti più frutto…".
La potatura è dolorosa. Può apparirci una crudeltà, ma Dio la fa per amore: perché il tralcio porti più frutto. E’ qui il senso dalla sofferenza: la vite piange perché potata, ma proprio perché potata porta frutto e più è potata e più porta frutto. La nostra cultura aborrisce il dolore, la sofferenza, il sacrificio. Perché non sa che il dolore è il prezzo delle cose.
Eppure sappiamo tutti che ciò che vale molto costa anche molto...
Pensiamo al grande valore, per esempio, dell'amore materno: è grande se costa molto.
Inoltre il dolore e la sofferenza presenti nella nostra vita sono il segno che qualche cosa non funziona, a livello biologico, psicologico e relazionale.
3 "Rimanete in me".
Questa esortazione è ripetuta per ben tre volte.
La condizione per portare frutto non è nel nostro industriarci e nel darci da fare. No! È nel rimanere in Cristo. È l'essere uniti alla vite che ci consente di portar frutto.
In cosa consista questo "rimanere in lui" è detto subito dopo: "se le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato"..
"Chiedete quel che volete...": la domanda vera di ogni uomo, quella che corre dentro le sue domande contingenti, è la domanda prima e ultima: "Perché ci sono, mentre potrei non esserci?” La ragione, a questa domanda, può fornire poche risposte e comunque non in grado di trovare il senso complessivo della vita.
Ma la fede, che certo non è supplenza alla oscurità della stagione, una fede nutrita e generata dalla Parola di Dio ci dà una risposta grande nel contenuto, ma povera nella forma.
E il luogo in cui la Parola di Dio incontra l'uomo è la vita stessa dell'uomo, il luogo cioè della libertà e della imprevedibilità.
Il luogo, cioè, della contraddizione: l'essere progetto, il suo tendere costantemente ad andare oltre e scoprirsi contemporaneamente avviato inesorabilmente al nulla e alla more.
È la contraddizione perenne del vivere: l'inconciliabilità tra l'esigenza di felicità, di completezza, di pace e il vivere costantemente nella provvisorietà dell'esistenza, nella lotta quotidiana per sopravvivere.
In questo tormento del quotidiano la fede dà risposta alla insaziabile domanda dell'uomo. Una risposta sempre problematica, legata come è da una parte alla roccia della Parola di Dio e dall'altra esposta al fluire e al variare del tempo in cui quella Parola diviene udibile.
Questo discorso vale anche per la Chiesa.
Al di fuori della fede essa diventa istituzione ingombrante e inutile, mera sovrastruttura che la storia si incarica di spazzare via.
È il vuoto della fede, la "non-opera" del credere che rende la Chiesa giustificata di fronte a Dio e agli uomini.
E il frutto che la Chiesa deve portare al mondo è solo questo: annunciare l’evangelo che è Gesù Cristo.
Solo annunciare, non costringere con argomenti umani, non fondare società o sistemi.
E l'annuncio della Chiesa non può che essere profezia, testimonianza della Parola di Dio e progetto di un futuro sempre più umano per ogni creatura. Anche la Chiesa ha il compito di vivere in una perenne contraddizione: da una parte deve predicare la perenne Parola di Dio come profezia, dall'altra deve vivere in attento ascolto dell'uomo per sapere ove indicare a Dio l'esercizio della misericordia.
Se non ascolta Dio, la Chiesa rischia di parlare di sé.
Se non ascolta l'uomo, rischia di parlare sopra le teste, di parlare al vento e non alle coscienze.
4. Dio è fedele?
L'altra domanda -questa volta del credente- riguarda la veracità della promessa di Dio, in un tempo di ritardo e di silenzio di Dio.
Se il Regno tarda venire, possiamo ancora credere che Dio mantiene la sua promessa? Una risposta è possibile solo a partire dalla memoria e dall'esperienza passata della fedeltà di Dio al di là delle apparenze contrarie.
Israele spera nel futuro promesso sulla base della memoria di quanto il Dio fedele ha già operato.
Per la Chiesa è Gesù il contenuto fondamentale di quanto Dio ha già operato.
Questa fede, fondata sulla fedeltà passata di Dio, non elimina la logica propria dell'incredulità: il dubbio che Dio continui nella sua fedeltà alla promessa oppure no.
È questa la crisi della fede, questa lotta quotidiana tra fede nutrita dalla memoria della fedeltà Dio e il dubbio nutrito dalle ragioni dell'incredulità.
Questa crisi non è eliminabile. Però la Scrittura mette in guardia dal compiacersi in essa civettando con l'incredulità.
Se non vogliamo restarne ipnotizzati non dobbiamo concentrare il nostro sguardo sulle ragioni della non fede.
Gesù ci indica la strada della preghiera costante e incessante perché il Dio fedele ci faccia vedere almeno un barlume del Regno promesso.