La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

lunedì 30 dicembre 2019

Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e LIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE. Don Pietro


1. All'inizio di un nuovo anno la parola di Dio ci presenta una Donna-Madre e un bambino. Perché intende subito esprimere la propria considerazione per il valore che nella vita rappresenta il lato femminile dell'esistenza. La sapiente  passività, la capacità di accoglienza, il dono di dare la vita… sono per la rivelazione valori altissimi. Anche in vista di una piena umanizzazione del mondo  il contributo della donna è nella Scrittura essenziale.
2. L'altro messaggio di inizio anno è l'annuncio-auspicio  di pace. L'antico filosofo Eraclito nel frammento 53 ha scritto che il Polemos, cioè la guerra  è il padre di tutte le cose.  Ebbene, questo sogno impossibile della pace Cristo lo ha reso e lo rende possibile.
Uniti a lui mediante il battesimo e l'eucaristia dal nostro cuore può essere sradicata la radice violenta. Allora, e solo allora!, incominciando dalla propria vita è possibile instaurare rapporti nuovi con gli altri,con le cose, rapporti riconciliati con tutti e con tutto. Il cristiano porta dentro di sé una risorsa miracolosa: quella del perdono attivo. Come fa il suo Signore Gesù Cristo, anche il cristiano non perdona perché il reprobo si è pentito, ma perdona perché si penta, il suo perdono è, cioè, un investimento, per favorire la conversione del deviante. Solo così il cristiano può spezzare la spirale dell'odio, della ritorsione, della vendetta. L'unico corto circuito che funziona quando la violenza si è scatenata è il perdono. Parola difficile il perdono, parola esigente, parola nuova, paradossale, ma non c'è altra strada per riportare pace, concordia e serenità dovunque.
All'inizio di un nuovo anno si è soliti scambiarsi gli auguri. Cosa augurarci quest'anno? La salute? Certo, ma senza nutrire sogni infantili di immortalità e senza mitizzare la salute fisica. Perché anche la sofferenza, il dolore e la malattia possono essere realtà piene, colme di una presenza, quella del Crocifisso, che trasforma anche il male in possibilità di crescita e di vita nuova. Vogliamo  augurarci la ricchezza? La ricchezza spesso può essere disonesta, ingiusta, può favorire in noi  l'illusione dell'autosufficienza, dell'autonomia. Può renderci orgogliosi, ingiusti  ed egoisti. Non la ricchezza dunque ci auguriamo. Ma neppure la povertà: potrebbe farci dubitare della volontà di bene di Dio nei nostri confronti. A Dio chiediamo solo il necessario. Però lasciamo a lui definire cosa nella nostra vita è veramente necessario. Vogliamo augurarci il successo? La televisione, l’ultima delizia della caverna dell’uomo, non fa altro che stimolarne in noi il desiderio. Ma il prezzo da pagare è troppo alto… Non il successo, ma neppure fallimenti dobbiamo augurarci:  potrebbero farci sprofondare nell'abisso della depressione. E comunque ricordiamo che anche chi dovesse incappare nel  fallimento è amato da Dio. Auguriamoci la pace, questa sì. Purché sia quella vera, quella  che abita nel cuore di Dio  e che noi accogliamo con gioia e che ogni giorno contribuiranno a costruire e a diffondere dovunque nel mondo.

mercoledì 25 dicembre 2019

Natale, la riflessione di don Pietro


Sarà l'atmosfera particolare che si crea in questo periodo, ma nessuno o quasi resiste alla suggestione e alla magia del Natale, l'accadimento che dà inizio all'evento cristiano. Credenti, agnostici e anche  non credenti dichiarati,  benestanti e i disperati, ciascuno,certo, con modalità diverse, lo festeggia. È già questo un piccolo miracolo che ogni anno si ripete. Al di là del fascino da coreografia, probabilmente la forte presa di questa festa su piccoli e grandi va ricondotta ai significati che essa veicola e che trascendono la pura sfera del religioso. Intanto la sua dimensione simbolica tocca e permea con grande immediatezza i livelli più profondi e le regioni più recondite dell'animo umano, anche e forse soprattutto per il disincanto, le devastazioni e l'impoverimento che l'arida e imperante cultura tecnico-scientifica ha determinato nell'immaginario collettivo.

Non a caso al centro della festa c'è un bambino, un neonato, allusione potente cioè ad un atteso e auspicato nuovo inizio della creazione e della storia, nostalgia intensa di innocenze perdute e inseguite, riscoperta, trepida e preziosa insieme, della fragilità e finitudine di un'esistenza  gettata nello spazio-tempo e bisognosa, per preservarsi, dell' altrui cura e tenerezza. C'è sempre chi attenta e vuole sopprimere il bambino che è in noi. Il fantasma di Erode si aggira minaccioso ancora tra noi con milioni di epigoni sinistri e feroci.  Uccidere il bambino, la sua stupenda e intatta capacità di stupore e candore, è uccidere il sogno che rende sopportabili i giorni dell'uomo e che ripaga delle ferite della vita. Il sogno che vuole sopravvivere alla deriva nichilistica del tempo è simboleggiata dalla Stella di Natale sui nostri presepi e lungo le strade della città.

Da lontananze siderali trasmette a cuori prigionieri di molte tenebre un consolante messaggio di speranza. Seguirla è andare oltre il mortificante esistente, altrove, nelle misteriose regioni dove la vera libertà può riscattarsi dalle sue dure necessità e farsi appello ad osare un viaggio insidioso ma irresistibile verso lande seducenti e sempre solo intraviste.
Anche l'Angelo sfolgorante di luce è, a Natale, promessa e annuncio che all'insopportabile solitudine della creatura umana su una terra, non sappiamo più se ostile o benedetta, si accompagna la solitudine di un Altro, non più lontano e irraggiungibile, ma con le nostre stesse fattezze, viandante come noi sui sentieri delle opere e giorni, alla ricerca come noi di un senso non deludente per un vivere finalmente riscattato dall'assurdo, dalla disperazione e dalla vanità.

Questi significati del Natale, e altri ancora presenti nella sua inesauribile e misteriosa profondità, sono il dono prezioso che ogni anno e forse ogni giorno ci viene offerto. L'uomo che è in noi, che noi siamo, la città dell'uomo, con le sue molte ombre e poche luci, che noi abitiamo ne hanno estremo, urgente bisogno. Il panorama cittadino, nazionale e mondiale, senza indulgere a sterili lamentazioni di rito, senza cedere a perniciosi pessimismi di maniera, non autorizza affatto facili entusiasmi, né disegna scenari incoraggianti per il presente e per l'immediato futuro. Venti gelidi di guerra, amplificati dai soliti noti, rischiano di soffocare una pace di per sé già tanto timida, fragile e precaria.

La grande crisi economica, smentendo tutte le facili e fallaci promesse inscritte in una messianica globalizzazione dei mercati, portatrice di una età dell'oro per tutti, incombe minacciosa sul mondo  col suo carico di devastazioni, di ingiustizie planetarie e di drammi familiari e personali. Anche la terra, con l'aria, l'acqua, le piante, sottoposta ad uno sfruttamento selvaggio e agli attacchi forsennati dell'uomo, rischia di non essere più madre nutriente e amica dei suoi ospiti. La violenza più efferata, nelle sue forme antiche e inedite, l'individualismo cinico e spietato, l'indifferenza, l'invivibilità delle città, gli attentati al welfarstate... completano il quadro. Il Natale viene proprio per questo: per una iniezione di nuova energia e salutare speranza. La sua luce vuole ancora brillare tra le nostre tenebre. Compito dell'uomo, di ogni uomo di buona volontà, è organizzare questa speranza. Ogni giorno, non solo a Natale.

Auguri di Pace e di Amore

Che il miracolo di Natale
ti comunichi una gioia
che duri per sempre.
Che tu senta il calore dell'amicizia e dell’affetto
che ti vengono espressi.
Che la dolce pace di Natale
scenda gentilmente su di te dal Cielo.
E il Cristo di Natale
riempia la tua casa
di armonia e di amore.
Che questo Natale e quest'Anno riempiano la tua casa
della pace e dell'amore di Cristo.
Auguri
d. pietro


domenica 22 dicembre 2019

MEDITAZIONE SULLA IV DOMENICA. Don Pietro


1.      Giuseppe al centro, ma alla luce di Gesù e di suo Padre

Non pochi commentatori titolano e indicano questo brano come «L'annuncio a Giuseppe». E certamente è il padre legale di Gesù il destinatario dell’odierno messaggio angelico. E’ il falegname di Nazaret l'interlocutore di Dio. E’ Giuseppe l'uomo che vive un'ora drammatica della sua fede. E’ lo sposo di Maria che si rivela nel racconto uomo giusto e ricco di amore per Dio e per la sua donna.
Ma il cuore del brano, il centro della narrazio­ne, non è Giuseppe: è ancora Dio nella novità sor­prendente del suo agire ed è Gesù, iI Figlio nel quale il Padre vuole realizzare una presenza definitiva e salvifica.
Questa sezione del Vangelo secondo Matteo si configura, dunque, come teologica e cristologica, senza per questo escludere il sue radicamento storico, il suo ancoraggio ad antichi racconti traman­dati dai parenti di Gesù, da Maria in particolare.

2.     Gesù, le attese dei secoli si realizzano

Anche per tale pagina, allora, essenziale è co­gliere il cuore del messaggio che l'evangelista vuo­le trasmettere al lettore attraverso simboli, allusioni, rinvii alle Scritture e attraverso i comportamenti degli attori non protagonisti della vicenda narrata.
Ancora una volta l'interesse di Matteo è per quel bambino misteriosamente presente, minuscola goccia di vita, nel grembo di una giovane donna (alma), di una vergine (parthénos). Quel minuscolo grumo di carne pulsante è l'approdo di una storia lunga millenni, carica di attese, bagnata dal pian­to delle generazioni, mille volte nel fango e sem­pre fatta ripartire da Dio rinnovando la sua anti­ca promessa.
Nelle sue notti, frequenti e lunghe, il popolo di Dio, o almeno un suo piccolo resto, ha potuto so­pravvivere all'ostilità del mondo circostante e al suo proprio peccato aggrappandosi a quella pro­messa che Isaia (7,14) enuncia in termini scanda­losi per l'umana ragione e che Matteo riporta a con­ferma della fedeltà di Dio:
« Ecco, la vergine con­cepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele » (1,23). In Gesù l'antica profezia si adem­pie. Dio non delude: tiene fede alla propria pro­messa.
La Scrittura registra puntualmente interventi particolari, diretti, di Dio nella nascita di uomini che dovevano incarnare una sua speciale presen­za, scelti per far progredire il suo disegno di salvez­za. Accade per Isacco (Gn 21), per Giacobbe (Gn 25,21), per Samuele (ISam 1,4-20).
Per Gesù, il Figlio, l'intervento divino è straor­dinario, unico, oltre le leggi della natura. Non ci sarà un padre terreno. Sarà sostituito dallo Spiri­to, il principio ultimo e primo della creazione e della vita. Giuseppe, come vedremo, non si offenderà. La fede e la pratica diuturna della giustizia davan­ti a Dio e agli uomini l'aiuteranno a capire e ad accettare un Dio difficile.

3.      Un futuro delineato fin dalla nascita.

Nel grem­bo verginale di Maria confluisce il fiume dei secoli e, in germe, è già presente e si delinea nei suoi tratti fondamentali il futuro di colui che nascerà. Lo Spi­rito, che concorre al suo concepimento e alla sua nascita, non lo abbandonerà più per l'intero arco della sua breve ma intensa esistenza. Sarà sempre su di lui, in lui, risuonerà sulle sue labbra, renderà potenti le sue mani, lo sosterrà nell'ora tenebrosa.
Preconizzato fin dal grembo materno come Dio-che-salva (Jeshuà), come Dio-con-noi (Emmanuele), egli onorerà pienamente questi titoli, impegnativi oltre che onorifici. Nella casa di Nazaret, sul grem­bo di Maria che nasconde un mistero tanto gran­de, già si protende la luce dei sentieri palestinesi battuti dai piedi dell'amico-dei-peccatori e già si al­lunga l'ombra della croce con cui Dio-salva.
Anche l'elemento arcano, la dimensione del me­raviglioso che attraverserà gli eventi dell'esistenza di Gesù è già presente al suo concepimento, come alba che prelude al giorno.
4.     Giuseppe: scomparire per esserci.
Dio irrompe nel­la vita di questa piccola grande creatura e, come sempre accade, la sconvolge per sempre. Tutto ini­zia con quella gravidanza umanamente inspiegabile  della sua fidanzata, fonte di allegrezza per Ma­ria, di turbamento per lui. La legge di Dio gli im­pone di ripudiare la donna che ama. La certezza della sua innocenza e la carità glielo vietano. Ma non è questo il dilemma che rende interminabili e angosciose le sue notti. Non tra giustizia della legge ed esigenze della carità è il suo dramma.
Giuseppe teme che Dio ami di un amore esclu­sivo la stessa donna che lui ama e siccome è uomo giusto non vuole competere con Dio. Gli avrebbe lasciato campo libero se Dio, attraverso il suo an­gelo, non gli avesse fatto sapere in sogno che l'a­more divino non entra in concorrenza con l'amo­re umano: lo assorbe e lo trasforma, lo trascende, ma non lo distrugge.
E Giuseppe accetta, felice di amare Maria in Dio, rispettoso del mistero che l'avvolge. La Parola-rivelazione di Dio scioglie il dramma di Giuseppe. Rinuncerà a un amore carnale verso Maria per amore di Maria, madre del suo Signore. Ma il suo non sarà un matrimonio apparente. Sarà un vin­colo saldissimo fondato su un amore immenso.
Anche la sua paternità non sarà fìttizia. Il fi­glio, di Maria e dello Spirito, anche Giuseppe dovrà ogni giorno generarlo alla vita, a una fede-obbedienza, a un amore di Dio tanto forte da di­ventare salvifico. Ogni giorno lo ri-conoscerà come Dio-che-salva e lo chiamerà Gesù. Vivendo con lui sperimenterà che cosa veramente significa l'Emmanuele, il Dio-con-noi.
In Giuseppe si compie, anticipato, un piccolo evento pasquale: muore ai suoi progetti umani, al­le sue sicurezze, e dal sonno-morte del suo dram­ma di uomo e di credente esce come risuscitato-"(egherteìs, il verbo della risurrezione!), uno di que­gli uomini nuovi che il Figlio guiderà.

martedì 17 dicembre 2019

Il presepe: mito, simbolo e tradizioni. G. Matino


E’ il giorno del presepe. È oggi che si accende. Papa Bergoglio vorrebbe che la sua tradizione venisse preservata, lo scrive nella sua ultima lettera apostolica Admirabile signum: "Con questa Lettera vorrei sostenere la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe. Come pure la consuetudine di allestirlo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze".
Francesco d'Assisi ha messo in scena il primo presepe vivente, anche se è chiaro che la sua intenzione dovesse essere altra, potremmo definirla "mistica della consistenza" per dare compimento a un sogno, anzi permettere al sogno di farsi acchiappare fisicamente. Qui da noi quel sogno ancora affascina, tanto che a più riprese mi sono permesso di affermare che Napoli potrebbe essere a pieno titolo la città del presepe. "Quanno nascette Ninno a Betlemme era notte e pareva miezo juorno",così scriveva il prete poeta Mattia Del Piano, e non Alfonso Maria de' Liquori come per secoli è stato scritto, raccontando il Natale, componendo insieme al verso la più famosa delle melodie che celebrano ancora oggi la nascita del bambino a Betlemme. "Quando nacque il bimbo era notte e pareva mezzogiorno", la scrisse in dialetto per essere vicino a coloro che meglio dei dotti, per propria condizione di miseria, avevano nel proprio cuore la forza dell'incanto. Poveri, come quelli di quella notte che scoprirono il Mistero adagiato in una mangiatoia, e benché non sapienti, compresero che ne sarebbero diventati i primi testimoni. La scrisse in dialetto per farsi comprendere, metodo antico e sapiente di passaggio del Verbo nella lingua dì chi ne è destinatario, per accompagnare il Vangelo che va passato alla vita reale di chi dovrà farlo suo, uguale per il presepe che resta comunque passaggio di Parola. "Tu scendi dalle stelle", che ne riprende le tracce, questa sì di Alfonso, ancora commuove e diletta, come ebbe a dire Giuseppe Verdi. Racconto che trae spunto dalla visione di Isaia che annuncia per quella nuova nascita la pace universale, vinto il conflitto che separa gli uomini, perfino le bestie feroci faranno pace, il creato intero assapora finalmente la concordia universale. Nello scorrere del testo incuriosisce un passo:"Correttero i pasturi alla capanna... Restajeno `ncantate a boccapierte", i pastori accorsi alla grotta dinanzi all'incanto si paralizzano restando a bocca aperta. Altro non riescono a fare, troppo è il veduto per non lasciarsi sopraffare, troppa la gioia che paralizza come luce immensa che acceca. I pastori, i primi invitati all'incanto, altro non possono fare che sbalordire per l'evento. Come resta ogni bambino dinanzi a un dono inaspettato e commuove e intenerisce per la sorpresa stampata in volto. Così resta al centro della scena presepiale lo stupore, il primo attore. Ne ho già scritto nel Pastore della meraviglia, e commosso noto ora perfetta sintonia con lo scritto di Papa Francesco, sorprendente somiglianza. Restajeno `ncantate a boccapierte, a bocca aperta proprio come il pastore della meraviglia, come l'intera umanità di fronte alla gioia della nascita divina. Incantati i pastori, paralizzati dall'evento come racconta il Vangelo apocrifo di Giacomo.
È Bergoglio non ancora Papa Francesco che parla: «Cí avviciniamo al presepe, dove albeggia "una grande luce" (Mt 4,16), una luce nascosta nel silenzio di Nazareth e nella pace notturna di Betlemme; eppure presto si manifesterà a tutte le genti (Is 60,1-3; Mt 2,2-9) e ai discepoli (Mt 17,12; Lc 2,32). È la luce del mondo (Gv 8,12; 9,5; 12,46), la luce in cui dobbiamo camminare per esserne figli (Gv 12,36›. Lontano dai linguaggi dotti della teologia ufficiale, il presepe ancora oggi comunica la gioia della salvezza all'uomo qualunque che, in maniera distratta, continua a festeggiare il Natale. Mito, simbolo e tradizione fanno del presepe un intreccio di storie che consentono di custodire la tradizione di un popolo, esprimendo la mai risolta assimilazione di un culto nuovo alla civiltà preesistente. Il presepe è dunque lo sposarsi del Verbo che si fa carne con ì miti, le favole, i racconti e le suggestioni di un popolo che continua a conservare il suo passato, benché anni di cristianesimo. Leggenda, storia, fantasia, verità, mito, cronaca tutto si fonde e confonde in questo avvenimento: Cristo si è fatto carne nostra! E così presepe diventa un racconto da passare, un Vangelo senza libro da raccontare.

sabato 14 dicembre 2019

Una riflessione per la Terza domenica di Avvento. Don Pietro

"Se tu colui che deve venire a salvarci, o dobbiamo aspettarne un altro?".

La domanda del battista, il prigioniero di Macheronte diventa la nostra stessa domanda, anche se noi non siamo come lui in carcere, il che ci farebbe onore, ma peggio, molto peggio, noi siamo nella prigione del vuoto esistenziale.
Cosa ci risponde Gesù di Nazaret?
Egli ci dice: se  volete, siete liberi di attendere e di sperare in altri Messia. Se volete, siete liberi di porre le vostre aspettative in sistemi filosofici, teologici,  economici e politici nuovi. Ma sappiate -e dovreste già esserne edotti per amara vostra esperienza- che non c'è alcun programma politico, nessuna ingegneria istituzionale, nessun modello socio-economico che possa fare alla vostra bisogna e liberarvi dalla distretta in cui vi trovate. Solo uomini nuovi, raggiunti dall'amore di mio Padre e sanati nello spirito e nel corpo, possono abitare nel mondo nuovo che io ho inaugurato in un Venerdì per voi tragico, ma per me glorioso, della storia.
La salvezza poi che io vi prometto, vi offro è questa, annotatela bene sui vostri taccuini e annunciatela a tutti:

A) La mia salvezza non si realizza subito come vorrebbe la vostra inguaribile impazienza. E’ una gestazione lunga; porta sì alla vita, ma passando attraverso la morte, non quella ultima, ma quella quotidiana, giorno dopo giorno.

B) Questa mia salvezza non si realizza distruggendo i malvagi, con la scure e il fuoco inceneritore, come in buona fede credeva anche l'ottimo Giovanni, il battezzatore, e come anche voi desiderereste, dopo esservi cautelativamente, ma abusivamente, collocati nella schiera dei giusti.

C) La presa di posizione ultima e definitiva di Dio nei confronti del mondo peccatore è quella che si rileva nelle mie opere: un aiuto generoso e gratuito per risanare la miseria umana e ridare così ad ogni uomo la forza di affidarsi a Dio con fede e speranza.
Il giudizio di Dio è rimandato alla fine. Con me inizia il tempo della misericordia, della pazienza e del perdono per tutti.

D) Io non sono venuto solo ad eliminare il male nelle sue conseguenze, ma son venuto a curare il cuore violento dell'uomo, laddove il male si progetta e si produce.
Non son venuto a sterminare i malati di cuore, ma ad offrire loro guarigione e vita.

E) Ai vostri delitti non seguirà la vendetta della giustizia divina, perché me ne farò carico io dinanzi al Padre. La mia obbedienza a lui mi ha reso tanto pieno di verità, di amore e di giustizia da poter riversare su tutti gli uomini questi beni di salvezza e di vita.
Sono io quel Servo obbediente e sofferente che non dice a voi: "morirete", ma dice: "morirò io al vostro posto e la mia morte sprigionerà una potenza di vita per salvare tutti i peccatori".

"E beati voi se non vi scandalizzerete di me"

Quando in me povero, sconfitto, incompreso, in compagnia di lebbrosi, prostitute e sbandati, si manifesterà e verrà a voi un Dio diverso da quello che vi aspettate e credevate  giusto.
Questo è il Gesù-Messia che viene a noi per salvarci, per liberarci da mali impossibili, per guarire le nostre ferite profonde, per strapparci dagli abissi della disperazione e far fiorire la nostra esistenza rattrappita dalla paura e dallo sconforto.
Se ci lasciamo salvare da questo amore vi diventiamo anche noi salvatori col nostro amore.

sabato 7 dicembre 2019

Solennità dell'Immacolata. Riflessioni don Pietro


1. In Maria Immacolata possiamo contemplare il primo stupendo frutto della redenzione:
Con lei la persona umana è recuperata all'integrità del progetto di Dio.
Il peccato che sembrava connaturato all'uomo viene distrutto, reso estraneo.
La speranza si riempie di consolanti realtà e si supera ogni rischio di illusione.
A ben comprendere tutto questo ci aiuta la prima lettura che è come un affresco sulla condizione umana prima della redenzione

2. Prima lettura: Genesi, 3, 9-15. 20

L'uomo e la donna hanno violato il comandamento di Dio per raggiungere una impossibile autonomia da lui,
Hanno considerato Dio come un loro avversario e la sua legge come un limite insopportabile.
hanno creduto di trovare la libertà affermando come assoluto il loro desiderio.
Questo evento passato, delle origini della vita dell'uomo, è ancora attuale. Quello che la Bibbia narra l'inizio della storia umana rimane vero ancora oggi, si ripete sotto forme diverse in ogni tempo.
Il peccato originale contiene in sé il peccato di sempre e ne evidenzia la grande malizia.
Il brano della Genesi descrive in modo magistrale gli effetti del peccato:
il primo effetto è l'incapacità dell'uomo di stare alla presenza di Dio. "Il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: dove sei? Rispose: ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura perché sono nudo, e mi sono nascosto".
Significativa è già la domanda di Dio: "Dove sei?". Vuol dire che l'uomo non è là dove dovrebbe essere, che si è determinato già uno scarto tra ciò che l'uomo sarebbe dovuto essere secondo il pensiero di Dio e quello che realmente è diventato.
L'uomo cioè non è più quello che dovrebbe essere, non è più un là dove dovrebbe essere. Una vera disgrazia! Sperimentare l'amarezza di questa disgrazia è avere il senso del peccato.
L'uomo dice: "ho avuto paura perché sono nudo e mi sono nascosto".
L'uomo dunque non è, come dovrebbe, alla presenza di Dio, ma abita, come non dovrebbe, nel luogo della paura.
"Sono nudo": la nudità esprime la condizione di debolezza che è propria della natura umana dinanzi alla grandezza del mondo e alle potenze che lo inabitano. Questa fragilità incute paura all'uomo. Avesse avuto fede in Dio, fosse vissuto sotto il suo sguardo paterno, avrebbe fugato ogni timore. Questo nasce dal fatto che l’uomo non  è al suo posto davanti a Dio, si è nascosto a Lui e si trova solo di fronte all’immensità di un mondo a lui indifferente
Ma non basta: estraniato da Dio l'uomo è diventato anche sospettoso nei confronti della donna che pure aveva considerato "osso delle mie ossa e carne della mia carne".
Ora la donna appare all'uomo come una estranea cui far portare tutto il peso del peccato e della punizione: "la donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato del frutto dell'albero ed io ne ho mangiato".
E così viene meno la solidarietà tra uomo e donna e questo non fa altro che rendere ancora più pesante la condizione di debolezza e di solitudine.
Infine: la donna chiama in causa il serpente che l'ha ingannata.
Figura inquietante quella del serpente: nel mondo che è stato creato da Dio e che quindi in radice è "molto buono" c'è però un serpente che può ingannare. Per l'uomo, cioè, esiste il rischio concreto di essere ingannato, di essere trascinato lontano da Dio con l'illusione di una strada facile e autonoma di felicità.
Domandiamoci: non è forse così anche oggi? Non succede forse che il mondo -certo buono- può diventare tentazione di idolatria?

Il Vangelo: Luca 1, 26-38

Questi elementi richiamati che descrivono la fisionomia spirituale dell'uomo decaduto fanno risaltare il messaggio positivo che è presente nella figura di Maria, nel suo itinerario di vita e di santità. Tentiamo una lettura sinottica, in controluce, tra la prima lettura e il Vangelo.

L'uomo peccatore è incapace di stare davanti a Dio, si nasconde a lui.
Maria di Nazaret al contrario vive la sua esistenza come uno stare alla presenza di Dio

Adamo cerca la sua realizzazione allontanandosi dalla volontà di Dio
Maria di Nazaret al contrario fa dell'obbedienza la scelta essenziale della sua vita: “ Eccomi solo la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola”.

Adamo ed Eva hanno paura di Dio, sospettano che la sua volontà su di loro sia arbitraria e tirannica.
Maria al contrario si affida al progetto di Dio con docilità piena e fiducia totale.



Adamo ed Eva, rompendo il rapporto con Dio, sperimentano anche incomprensione, egoismo e conflitto nella loro relazione.
Maria di Nazaret, al contrario, aderendo a Dio, compie un servizio a vantaggio dell'intera umanità.

Eva si lascia prendere e dominare dal serpente.
Maria di Nazaret, al contrario, si lascia invadere dall’amore di Dio, tanto che l'Arcangelo la saluta come “piena di grazia”.

Così in questa creatura è recuperata la bellezza originaria della persona umana, quella bellezza che il peccato aveva deturpato. Forse per questa bellezza la religiosità popolare ha esaltato Maria contornandola di un alone di mistica ammirazione. Per molti Maria è diventata la figura eccelsa, l’immagine di quello che nessuno di noi è. Attenti però: quello che la vera fede vuole dirci è esattamente il contrario. Maria infatti, se è l'immagine di ciò che nessuno di noi è mai stato con le sue forze, è soprattutto il prototipo di ciò che Dio in Gesù Cristo può fare di ciascuno di noi. Maria, allora, non è l'ideale perduto o irraggiungibile, ma il futuro proposto da Dio come possibile con la sua grazia, il nostro  consenso e la nostra collaborazione.