La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

venerdì 27 gennaio 2017

RIFLESSIONE SUL VANGELO DELLA QUARTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

AMICI DELLA FRATERNITA’, ECCO PER CHI LA GRADISCE  UNA RIFLESSIONE
SUL VANGELO DELLA Quarta domenica del tempo ordinario. UN SALUTO DON PIETRO

Le prime parole  pronunciate da Gesù non trasudano affatto di terrorismo morale, non contengono esortazioni pressanti ad essere persone religiose, non sono un monito accorato e grave, non contengono neppure particolari profondità teologiche.
Le prime  parole pronunciate da Gesù all'inizio della sua vita pubblica sono inscritte nel suo discorso programmatico. In esso Gesù  insegna a pregare, invita a chiedere al Padre che la terra diventi un regno di pace, che tutti sulla terra abbiano pane sulla mensa e serenità nel cuore. Le prime parole pronunciate da Gesù sono le Beatitudini. Queste parole che proclamano la gioia e che contengono un lieto annuncio sono state largamente traversate nel corso dei secoli. L'evento cristiano più che come un invito alla letizia è stato presentato come un cammino doloroso, il credente è stato invitato ad assumere atteggiamenti passivi e rassegnati,  il messaggio cristiano è stato riduttivamente presentato solo come strada per arrivare al cielo.
Co le Beatitudini invece Gesù vuol dirci che egli è venuto a  rendere felici  gli uomini. Beati agli occhi di Gesù sono quelli che soffrono e quelli che hanno in sé caratteristiche che attirano lo sguardo di Dio.

Il tema della povertà come condizione privilegiata di avvicinamento a Dio è il filo che unisce le tre letture di oggi. Nella prima il profeta follia emerge come il cantore dei poveri di Jhvh. Nella seconda l'apostolo Paolo è fiero di annunciare  ad una comunità di poveri lo scandalo del Vangelo. Infine Matteo proclama beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli.

1. Beati i poveri in spirito

La beatitudine significa più cose:
a. Dio è un re che protegge coloro che sono deboli e bisognosi. Fra le caratteristiche di un re giusto vi è proprio quella di difendere i deboli. Il Salmo responsoriale proclama la regalità di Dio come di colui che "rende giustizia degli oppressi, dà il pane agli affamati... sostiene l'orfano e la vedova".
b. La povertà dunque non è da considerare un merito, ma una semplice condizione di bisogno. Il povero è colui che non possiede a sufficienza quello che gli è necessario per vivere, colui che non ha abbastanza ricchezze, potere e cultura. Il povero è colui che si trova inerme davanti alla vita e alle lotte della vita. Una persona così è sfortunata in un mondo che privilegia la ricchezza e il potere. Una persona così, però, diventa "beata" quando viene il regno di Dio.
Dio, infatti, non privilegia il ricco, ma dona al povero tutto quello che gli manca, quanto gli è necessario.
c. In questa ottica i poveri non sono persone particolarmente virtuose, ma persone particolarmente bisognose.
La loro beatitudine non significa esaltazione della loro virtù, ma risposta al loro bisogno da parte di un Dio che è ricco di misericordia.

2. Sofonia: la povertà davanti a Dio

La condizione di povertà pone l’uomo  davanti a Dio nella condizione del bisognoso. Ebbene, è proprio questa la posizione corretta dell’ uomo davanti a Dio, l'unica posizione vera.
  • Che cosa è, infatti, l’uomo davanti alla maestà del Creatore?
  • Che cosa vale la virtù davanti alla santità di Dio?
  • Che cosa è la sua forza di fronte all'onnipotenza di Dio?
L'autosufficienza umana nella Scrittura appare sempre come la radice di ogni peccato e disobbedienza.
Il messaggio di Sofonia si muove in questa linea: il Giorno del Signore sarà "giorno di ira, di angoscia e di afflizione, giorno di rovina e sterminio".
Una possibilità di salvezza c'è solo per i poveri della terra che non hanno la possibilità di inorgoglirsi e quindi confidano solo nel nome del Signore.
Dunque la povertà non è solo condizione di bisogno, ma è l'unico atteggiamento corretto dell'uomo verso Dio, perché è l'unico che impedisce l'orgoglio e apre ad una fiducia semplice e docile.
Dei poveri Sofonia dice: "non commetteranno più iniquità e non proferiranno menzogne".
Quando l'uomo conta sulla propria forza è portato inevitabilmente a difendere la propria vita con la violenza. Sentendosi minacciato dal mondo e dagli altri si aggrappa all'inganno come ultimo strumento di protezione.
Ma chi  confida nel Signore è  libero da tutte queste preoccupazioni.
Al sicuro dentro la mano di Dio non ha dei sogno di aggredire nessuno per difendersi, non ha bisogno di ingannare nessuno per riuscire vincitore.
È libero: libero di amare e di donare gratuitamente.

3. Paolo: la povertà come scelta e ideale di vita

L'uomo spirituale non ama la povertà per se stessa. La povertà non ha un magico valore terapeutico. La povertà apre degli spazi per Dio: strappa dalle sicurezze mondane e orienta ad altre protezioni, ad altre gioie.
Perciò Matteo può scrivere: "Beati i poveri in spirito" cioè:
  • beati quelli che hanno un animo da poveri;
  • beati quelli che hanno rinunciato a difendere da sé la propria vita, perché hanno affidato questa difesa a Dio;
  • beati quelli che non si fanno grandi perché vogliono che nella loro vita sia esaltato il Signore soltanto.
Chi si fa povero davanti a Dio depone ogni arroganza, ogni insolenza e protervia anche nei confronti degli altri.

Conclusione


Il messaggio della parola di oggi è proclamazione di Dio come l'Unico e diventa annuncio di salvezza per ogni uomo che riconosce Dio come l'Unico.
L'invito alla povertà, alla mitezza, all'afflizione ecc.... sono tutti atteggiamenti che nascono dal riconoscimento gioioso del posto che Dio occupa nella vita del credente.

Questi atteggiamenti possono apparire perdenti nella logica dominante del mondo, ma sono  esperienze di beatitudine laddove Dio si manifesta ed esercita la sua sovranità di salvezza.

domenica 22 gennaio 2017

la lettera che Antonio Vermigli sul drammatico tema della crescente povertà mondiale


Amici di Fraternità, vi giro la lettera che Antonio Vermigli, responsabile della rete Radiè Resh (dal nome della bambina palestinese uccisa da un raid aereo israeliano) mi ha inviato. Anche lui riprende il drammatico tema della crescente povertà mondiale, un fatto che non può lasciarci indifferenti.
Un caro  saluto, d. Pietro

Carissima, carissimo,
i dati sono evidenti, e non si può fare le facce sconvolte ogni volta che ne escono di nuovi, il rapporto di Oxfam ci riporta il vero problema della povertà mondiale, rappresentata da quei ricchi sempre più ricchi  che, ad esempio, posseggono in otto 426 miliardi di dollari: cioè la stessa ricchezza della metà più povera del pianeta, ossia  3,6 miliardi di persone.  Secondo Forbes gli 8 Paperoni sono in ordine di ricchezza  Bill Gates, Amancio Ortega, Warren Buffet, Carlos Slim, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, Larry Ellison, Michael Bloomberg. Poi ovvio, non ci sono solo loro, ci sono anche gli altri 35 milioni che posseggono il 45 per cento della ricchezza mondiale. Alcuni hanno fatto i soldi con intelligenza o per intuito affaristico, altri invece, ed è  la schiacciante maggioranza di quei 35 milioni, si sono arricchiti con l'inganno (se va bene) o con la truffa, il ladrocinio. In Italia in sette hanno i beni del 30% della popolazione. Mentre 750 mlioni di persone, 1 su 8 non hanno accesso all'acqua potabile, 2,5 miliardi sono prive di servizi igenico-sanitari e più di un miliardo vive con meno di due dollari al giorno.
E i soloni, che sostengono che è tutta invidia sociale, non hanno capito niente di come vadano realmente le cose in questa società turbo-liberista e criminale. Oppure, il che è peggio, fanno finta di non capire. Il loro  è semplicemente un distorto spirito di emulazione che li porta ancora a credere nelle favole del sogno americano. Che fu. Altro che debito pubblico o amenità varie, quindi. Si tratta solo di avida ricchezza: nient'altro. Per spiegarmi meglio. I campioni strapagati del calcio, a quanto si sa, guadagnano onestamente i loro milioni di euro, seppur dando calci ad un pallone, cosa che la moltitudine degli italiani fa gratis o pagando addirittura il campo di calcetto. Resta comunque  il fatto che pur essendo un talento indiscusso e straordinario  della palla, i suoi guadagni stratosferici siano semplicemente folli e basterebbe smettere di andare allo stadio e non abbonarsi più alle pay tv per ridurre drasticamente i loro compensi. Ma molti altri siamo sicuri che siano diventati ricchi per proprie capacità? Dubito.
Prendiamo poi ad esempio la Grecia. Il reale stato di default della culla della democrazia dipende si dalla corruzione politica dei decenni passati ma è stata costruita ad arte per privatizzare e rendere la massimizzazione del profitto la regola. E come sempre a menare le danze ci sono le multinazionali, il mondo delle banche, imprenditori senza scrupoli. Quel famoso un per cento che l'onestà non sa nemmeno dove sia di casa. Hai voglia a dire che grazie al loro lavoro, a cascata, guadagnano anche tante altre persone. Ne siamo sicuri? E quale economia reale sviluppano, secondo voi? Carta straccia finanziaria, semmai. E inoltre: se la loro ricchezza finisce nei paradisi fiscali, senza reinvestirla, di cosa stiamo parlando? Avidità ed egoismo. Sono le uniche cose che costoro si porteranno nella tomba, tranquilli.
La verità è che l’attuale sistema economico favorisce solo  l’accumulo di risorse nelle mani di una élite super privilegiata ai danni dei più poveri. Il tutto grazie ad utili idioti  che sono stati messi a guardia dei loro averi: dirigenti dalle teste vuote e manager chiamati a far fallire le aziende e che in cambio ricevono liquidazioni milionarie. Come riporta il dossier della Onlus inglese, in occasione  della consueta e stucchevole parata del  World Economic Forum  di Davos, esclusiva località delle alpi svizzere. “Multinazionali e super ricchi continuano ad alimentare la disuguaglianza  facendo ricorso a pratiche di elusione fiscale, massimizzando i profitti anche a costo di comprimere verso il basso i salari e usando il loro potere per influenzare la politica”. Comprimere verso il basso i salari, sottolinea Oxfam. Le migrazioni di questi anni, i migranti dei barconi per i quali  è logico e cristianamente scontato offrire accoglienza e rifugio, servono in fondo esattamente a questo: ad alimentare una guerra tra  poveri in cui l'ultimo venuto, pur di lavorare, è disposto a decurtarsi la paga della metà e oltre. Non è un caso che nel ricco nord est di una volta i lavoratori italiani siano stati per anni sostituiti da maghrebini o rumeni. Il che va benissimo, per carità. Ma allo stesso salario degli altri, non un euro di meno. Invece, imparata la strada, gli imprenditori veneti o lombardi sono stati ben felici  di 'assumere' chi veniva da fuori: si chiama anche in questo caso massimizzazione del profitto. Poi, arrivata la crisi, sono tornati ad essere razzisti della prima ora: prima gli italiani e idiozie varie.
Secondo Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia “è osceno che così tanta ricchezza sia nelle mani di una manciata di uomini e che gli squilibri nella distribuzione dei redditi siano tanto pronunciati in un mondo in cui una persona su dieci sopravvive con meno di 2 dollari al giorno. I servizi pubblici essenziali come sanità e istruzione subiscono tagli, ma a multinazionali e super ricchi è permesso di eludere impunemente il fisco". E' insomma leggenda metropolitana che i miliardari si siano fatti  da sé: Oxfam ha calcolato ancora  che un terzo della ricchezza dei miliardari è dovuta ad eredità, mentre il 43% è dovuta a relazioni clientelari.
Tutto giusto. Ed è allarmante che la forbice tra ricchi e poveri si allarghi ogni anno di più. Del resto negli anni migliori della nostra vita, questa  sana distribuzione del reddito e della ricchezza aveva portato ad un benessere sociale talmente generalizzato da trascinare l'economia in un lungo periodo di espansione. Non ci vuole in fondo una laurea in economia per capire che la diffusione del benessere, la meritocrazia, l'uguaglianza sociale regalino il sorriso alle popolazioni di tutto il mondo, come nel trentennio 50 - 80 è stato, storture a parte. E in quel periodo che si è offerta la possibilità a tutti di studiare, curarsi, lavorare ricevendo  stipendi dignitosi e sicuri. Leggenda vuole che un giorno Henry Ford dichiarasse: "Perché strapago i miei operai? Perché devono essere in grado di acquistare le auto che producono". Altro che Jobs Act.  Aveva capito tutto, il magnate dell'industria automobilistica. Va da se  infatti che, di questo passo, tempo dieci anni nessuno avrà i soldi per comprare più nulla e l'economia reale si bloccherà. Senza tanti giri di parole: si acquisterà solo gratis. Ma credete che alle élite finanziarie interessi?
Una cosa è certa: se non fermeremo subito l'abominevole malattia chiamata liberismo di questi ultimi trent'anni, le cose saranno destinate a peggiorare e il mondo pullulerà di schiavi. Attenzione: qui non si fa un encomio al socialismo o al comunismo. Qui si sta elogiando la  giustizia sociale secondo  cui un ricercatore capace magari di scoprire un vaccino contro i tumori è giusto che guadagni molto bene e senza esagerare, perché merita, ha studiato e salva vite umane.
La pancia della gente non è ancora vuota. Ma quando, purtroppo a breve lo sarà, a parere di molti, analisti, aspettiamoci una rivolta popolare in cui le classi dominanti verranno sopraffatte dalla moltitudine. Classi dominanti che  proveranno a reagire soffocando con la repressione la ribellione. Come andrà a finire lo scopriremo solo vivendo. Ho idea che faranno la fine di Maria Antonietta, la regina delle brioches. Ricordate: “perché il popolo si ribella?”. Le fu risposto: “chiede pane, ha fame”. Risposta: “Se non hanno più pane, che mangino brioches”.
Siamo nel pieno di un terremoto umano che viene dal nostro dentro, costruito nella nostra società, la “fabbrica dell’esclusione”, dove i ricchi sono sempre più straricchi e i poveri diventano sempre più masse in cammino, dove l’urgenza è proteggere le persone che sono sole, abbandonate, scartate da questo nostro sistema. Manifestiamo il nostro no a questo tipo di società, amplifichiamo le continue denunzie di papa Francesco, raro punto di riferimento rimasto, contro gli egoismi, le guerre e le ingiustizie che si compiono quotidianamente. Tanti, troppi, forse tutti ci sciacquiamo la bocca con parole come: solidarietà, fraternità, giustizia, dialogo, incontro, accoglienza, amore. Tutte queste parole sono mature unicamente e solamente nella misura in cui siamo capaci di “donare”. Ai super ricchi, ai signori della guerra, a chi volge lo sguardo dall’altra parte e agli indifferenti ricordo che questa volta la forbice potrebbe stringersi davvero  proprio intorno a loro. Fino a soffocarli.
Antonio

venerdì 20 gennaio 2017

Meditazione sul vangelo della Terza domenica del tempo ordinario (Don Pietro)

amici della fraternita’ Nazareth, vorrei condividere con quanti di voi sono desiderosi di comprendere meglio la parola di Gesù per poi  viverla ogni giorno una breve meditazione sul vangelo della Terza domenica del tempo ordinario

1. Gesù parte dalla periferia, dagli ultimi

Gesù inizia la sua predicazione dalla Galilea, ci dice Matteo. Questa indicazione di luogo non è principalmente ed esclusivamente un'annotazione storico-geografica, ma contiene un messaggio teologico sulle scelte e sullo stile con cui Dio vuole, attraverso il Cristo, agire nel mondo per costruire il suo Regno.
La Galilea era allora, dal punto di vista socio-religioso, una terra povera, desolata, avvolta dalle tenebre perché contaminata da presenze pagane. Proprio per questo la parola del Vangelo, la buona notizia, risuona innanzitutto là, nella periferia religiosa del giudaismo, non al centro, a Gerusalemme, cuore del paese, dove pure doveva manifestarsi la gloria di Dio.
Dio, in Cristo, va a cercare la gente lontana da lui. Sono le povertà dell'uomo che attirano la misericordia di Dio come un dono. È in quella terra, dove la religione di Israele viveva in stretto contatto con il paganesimo, che risuona il messaggio decisivo:

2. "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino"

È a questa gente che viveva nella lontananza da Dio, che il Signore si fa vicino con la sua regalità ricca di misericordia, esortandola a cambiare l'orientamento della propria vita per accogliere le primizie della salvezza.
Una salvezza che è  luce perché l’evangelo illumina e dona chiarezza di orientamento alla vita dell'uomo.
Una salvezza che è gioia perché il bisogno dell'uomo viene colmato con la pienezza della vita divina.
Una salvezza che è liberazione perché la sovranità di Dio libera da ogni altra sottomissione e schiavitù.

 

"Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino" cioè, perché Dio sta per esercitare la sua regalità salvifica. Cioè:  sta per accadere nella storia una novità: la presenza attiva di Dio.

L’uomo può rispondere a questo avvento-evento solo con la conversione, con il mutamento profondo dell'orientamento fondamentale della sua vita.
Nella storia dell'uomo, nella sua vita ora è presente Dio e nulla può rimanere come prima: tutto cambia, tutto si rinnova.

3. I primi discepoli

Le parole e le opere di Gesù mostreranno che veramente il regno di Dio si è fatto vicino.
Ma è interessante che Matteo lo mostri anzitutto con la narrazione della chiamata dei primi apostoli.
Alcuni pescatori stanno facendo semplicemente il loro mestiere: all'improvviso lasciano tutto -reti, barca, famiglia-  e iniziano un'esperienza singolare. Che cosa è successo? È successo che è arrivata fino a loro una parola potente che li ha staccati da tutte le loro abitudini e sicurezze di vita. Una parola che li ha gettati in un'avventura nuova. È l'avventura del Regno. Il Regno non è solo una bella idea. È Dio con tutta la sua forza e il suo amore. Quando questo Dio passa accanto all'uomo, si sviluppa una forza irresistibile di  attrazione che scioglie i vecchi legami e  ne costruisce di nuovi. Dovunque il Regno di Dio è passato: vicino a Pietro, ad Andrea, a Giacomo, a Giovanni, è passato così vicino  che la loro vita ne è stata sconvolta.
In realtà chi è passato e Gesù di Nazaret: è lui che questi pescatori hanno visto, sono le sue parole quelle che hanno ascoltato, è dietro a lui che si sono mossi.
Non si poteva far capire meglio che è Gesù stesso  il Regno di Dio: che in lui Dio si fa vicino agli uomini, che seguendo lui gli uomini mettono la propria vita in sintonia con la logica del Regno.
Ora, dunque, c'è un luogo sulla terra dove Dio si fa conoscere, sentire, vedere: è l'umanità umanissima di Gesù. Entrare in rapporto con l'uomo Gesù è il modo concreto per entrare in rapporto con Dio.
Stare con Gesù significa anche avere un interesse nuovo per gli uomini e per la loro salvezza da perseguire come una specie di nuova professione:

"Vi farò pescatori di uomini".

Ecco allora cosa significa nella sua essenza più profonda diventare "cristiani": significa stare con Cristo per il bene vero dell'uomo. Ecco, anche, cosa significa la Chiesa: significa uomini e donne alla sequela di Gesù a favore degli uomini curando, come Gesù, ogni sorta di malattia e infermità nel popolo.
Ecco un modo di essere pescatori di uomini che si può attuare anche senza possedere poteri taumaturgici, senza fare prodigi, ma operando il grande miracolo di restituire un'esistenza alla sua dignità e pienezza di vita. 

lunedì 16 gennaio 2017

Disuguaglianze in aumento otto superPaperoni hanno la stessa ricchezza di metà dell'umanità

Il rapporto Oxfam: colpa di miliardari e multinazionali. In Italia in sette hanno i beni del 30% della popolazione 
ARTICOLO DI BARBARA ADDU'

A furia dì deregulation e libero mercato, viviamo in un mondo dove più che l'uomo conta il profitto, dove gli otto super miliardari censiti da Forbes, detengono la stes­sa ricchezza che è riuscita a mettere insieme la metà del­la popolazione più povera del globo: 3,6 miliardi di perso­ne. E non stupisce visto che 1' 1 % ha accumulato nel 2016 quanto si ritrova in tasca il restante 99%. È la dura critica al neoliberismo che arriva da Oxfam, una delle più anti­che società di beneficenza con sede a Londra, ma anche una sfida lanciata ai Grandi della Terra, che domani si in­contreranno a Davos per il World Economie Forum. I dati del Rapporto 2016, dal titolo significativo, "Un'economia per il 99%" (la percentuale di popolazione che si spartisce le briciole), raccontano che sono le multinazionali e i su­per ricchi ad alimentare le diseguaglianze, attraverso elu­sione e evasione fiscale, massimízzazione dei profitti e compressione dei salari. Ma non è tutto. Grandi corpora­tion e miliardari usano il potere politico per farsi scrivere leggi su misura, attraverso quello che Oxfam chiama capi­talismo clientelare. E l'Italia non fa eccezione. I primi 7 mi­liardari italiani possiedono quanto il 30% dei più poveri. «La novità di quest'anno è che la diseguaglianza non ac­cenna a diminuire, anzi continua a crescere, sia in termi­ni di ricchezza che di reddito», spiega Elisa Bacciotti, di­rettrice delle campagne di Oxfam Italia. Nella Penisola il 20% più ricco ha in tasca il 69,05% della ricchezza, un al­tro 20% ne controlla 1117,6%,lasciando a160% più pove­ro 1113,3%. O più semplicemente la ricchezza dell'1% più ricco è 70 volte la ricchezza del 30% più povero.
Ma Oxfam non punta il dito solo sulla differenza tra i patrimoni di alcuni e i risparmi, piccoli o grandi, dei tanti. Le differenze si sentono anche sul reddito, che ormai sale solo per gli strati più alti della popolazione. Perché men­tre un tempo l'aumento della produttività si traduceva in un aumento salariale, oggi, e da tempo, non è più così. Il legame tra crescita e benessere è svanito. La ricchezza si ferma solo ai piani alti. Accade ovunque, Italia compresa. Gli ultimi dati Eurostat confermano che i livelli delle retri­buzioni non solo non ricompensano in modo adeguato gli sforzi dei lavoratori, ma sono sempre più insufficienti a garantire il minimo indispensabile alle famiglie. E per l'I­talia va anche peggio, essendo sotto di due punti alla me­dia Ue. Quasi la metà dell'incremento degli ultimi anni, il 45%, è arrivato solo al 20% più ricco degli italiani. E solo il 10% più facoltoso dei concittadini è riuscito a far salire le proprie retribuzioni in modo decisivo. Non ci si deve stupi­re dunque se ben 1176% degli intervistati - secondo il son­daggio fatto da Oxfam per l'Italia -è convinto che la princi­pale diseguaglianza sì manifesti nel livello del reddito. E l'80%, una maggioranza bulgara, considera prioritarie e urgenti misure per contrastarla. Ai governi Oxfam chie­de di fermare sia la corsa al ribasso sui diritti dei lavorato­ri, sia le politiche fiscali volte ad attirare le multinaziona­li. Oppure nel giro di 25 anni assisteremo alla nascita del primo trilionario, una parola oggi assente dai dizionari

venerdì 13 gennaio 2017

Meditazione sul Vangelo della seconda Domenica del tempo ordinario. (Don Pietro)

Amici della Fraternita’, eccovi una breve meditazione sul Vangelo della seconda Domenica del tempo ordinario. fraternamente. Don Pietro

1. Giovanni parla di Gesù a quanti incontra. Noi, come Giovanni, possiamo parlare di Gesù?

a. Il mistero di Dio, nascosto nei secoli, è stato a noi manifestato in Gesù. Nel figlio suo Dio si è fatto trasparente, pur rimanendo un mistero inaccessibile, indisponibile e ineffabile. Possiamo allora osare dire Dio in Gesù, ma con umiltà e con rispetto del mistero che in lui permane. Ri-velare, del resto, significa togliere ma anche rimettere il velo.

b. Ma a noi, più che parlare di Gesù è chiesto di essere solo i suoi testimoni, attraverso lo Spirito.
Giovanni  dice: "Io finora  non lo conoscevo... ma ho visto lo Spirito  scendere… e posarsi su di lui".
Può parlare di Gesù, può cioè fare una vera comunicazione per una comunione spirituale solo chi può dire: "Io ne ho fatto esperienza, l'ho conosciuto, l'ho incontrato, la sua verità è divenuta verità per me...".

2. Cosa possiamo dire, testimoniare di Gesù?

a. Egli è il Servo sofferente, l'Agnello che è venuto a portare, a portare via, il mio peccato e quello del mondo.
Il Servo sofferente si fa carico del dolore delle vittime e della malvagità dei carnefici e così libera entrambi col suo amore obbediente. Egli non è un "capro espiatorio" che esprime solo il bisogno di liberare dai peccati. Egli è un dono di Dio agli uomini.

b. Gesù è, inoltre. il donatore dello Spirito di Dio, Colui che consola, che difende, che anima, che accompagna.

c. Egli è, infine, il Figlio di Dio, che comunica la vita di Dio, che ci rende simili a lui, cioè figli nel quale il Padre possa compiacersi.

3. Cosa è chiesto a noi?

A noi è chiesto l'ascolto della fede, l'ascolto della parola di Dio. Il primo  comandamento di Dio al suo popolo è proprio questo: "Ascolta  Israele-Shemà Israel...".
La parola ascoltata il pio israelita e ogni credente deve legarsela alla mano, perché sia guida alla sua azione. Deve metterla come  pendaglio alla fronte, perché illumini il suo pensiero. Deve appenderlo agli stipiti  della porta di casa, perché sia guida alle sue relazioni sociali.
È il comando contenuto nel Salmo '94: "Ascoltate oggi la sua voce..." e il Salmo 39 recita: “sacrificio e offerta io non voglio, dice il signore, gli orecchi ti ho aperto". In ebraico il verbo Shamà significa insieme ascoltare e obbedire.

L'ascolto della parola di Dio deve essere radicale: la parola ascoltata cioè deve  incidere alle radici dell'essere di una persona e della costruzione della sua vita. Siamo chiamati a imitare Maria di Betania, la sorella di Marta e di Lazzaro: seduta ai piedi  di Gesù ha l'orecchio teso ad ascoltare le sue parole. Nemica dell'ascolto è la superbia, amica dell'ascolto è l'empatia, cioè un rapporto d'amore con la parola. Oggi per ascoltare la parola di Dio occorre riscoprire il silenzio.

domenica 8 gennaio 2017

Festa del Battesimo di Gesù (don Pietro)

B A T T E S I M O   D I   G E S U’

1.Significativa è la reazione di Giovanni Battista: vorrebbe impedire a Gesù di farsi battezzare insieme con gli altri che erano peccatori.
Una peculiarità del Vangelo di Matteo è la seguente: attraverso la ritrosia di Giovanni Battista Matteo escogita un espediente catechistico per affermare con forza la divinità del Cristo. Matteo vuole inoltre ribadire la necessità per il mondo giudaico di riconoscere il Cristo: "Io ho bisogno di essere battezzato da te". Perfino il Battista, il più grande in Israele a giudizio dello stesso Gesù, riconosce la necessità di ricevere da lui il perdono dei peccati e la salvezza.

2. Il battesimo, dunque, in Matteo è come le epifania della divinità di Gesù.
La parte più importante non consiste nel bagno di acqua, ma nella visione che segue. I cieli  si aprono: segno dell'avvento dei tempi escatologici. Lo Spirito scende come colomba: è l'investitura divina del Messia. Una voce si ode dal cielo: il Padre dà le credenziali al Figlio. Spirito e parola sono, dunque, presenti: le due grandi mediazioni dell'azione divina nel mondo, gli strumenti della presenza salvifica di Dio. Gesù è ripieno di entrambi.

3. Il battesimo di Gesù è come  una grande apertura di scena che manifesta e presenta il Figlio di Dio e la sua missione.
Sulla scena sono presenti tutti i personaggi: il popolo della promessa che ferve nell'attesa e si fa battezzare da Giovanni Battista; Giovanni, l'ultimo profeta dell'Antico Testamento; Gesù, il Padre e lo Spirito santo.

4. Il profilo di Gesù

Nel battesimo emerge la figura del Servo sofferente o dell'agnello che si sottopone volontariamente e liberamente alla sofferenza e alla morte. Gesù emerge ancora come il Figlio nei quali il Padre si è compiaciuto: l’agapetos, cioè l’amato: per coglierne il senso bisogna riferirlo alla figura di Isacco che era l’agapetos, il figlio diletto, amato, di Abramo.

5. Perché Gesù si è fatto battezzare

Giovanni predicava un battesimo di penitenza e di remissione dei peccati. Come ha potuto domandare di essere confuso con i peccatori, di essere purificato da colpe che non aveva commesso, Colui che ha osato dire: " Io e il Padre siamo una cosa sola"?
Certamente non per umiltà: l'umile non si adorna di virtù fittizie, né si addebita  difetti che non ha. L'umile si sente peccatore perché la sua vicinanza con Dio illumina i suoi difetti con una luce insostituibile.
Gesù chiede di essere battezzato per esprimere la sua solidarietà con i peccatori, per far causa comune con loro, partecipare alle loro riunioni, aggregarsi ai loro gruppi sbandati ed emarginati.
Gesù non si sostituisce i peccatori, non prende su di sé i loro crimini, non li espia al posto loro.
Questa teoria  della sostituzione non rende giustizia di Dio: Dio aggirerebbe come se il Cristo fosse colpevole. Ne rende giustizia agli uomini: sarebbe come se fossero giustificati.
Non vi è stata sostituzione nella redenzione del Cristo. Gesù non è morto perché noi non morissimo. Gesù non ha sofferto per evitarci di soffrire.
Egli è morto ed ha sofferto perché la nostra morte e le nostre sofferenze divenissero simili alle sue: realtà colme di amore e di fede.
Gesù non ha fatto come se lui fosse peccatore e noi non lo fossimo più. È solo venuto a vivere la vita umana amando in tutte le situazioni in cui noi non sappiamo amare: nella sofferenza, nell'ingratitudine, nell'ingiustizia, nell'umiliazione...
C'è un solo peccato: non saper amare sempre. Il Cristo ha amato dovunque è sempre, in tutte le circostanze, caricandosi delle nostre colpe, incaricandosi, meglio, di insegnarci ad amare trasmettendoci il suo amore. Solo chi ama totalmente può testimoniare  e comunicare l'amore e la sua energia.
In questo senso Gesù è l'agnello di Dio che toglie, cioè porta, il peccato del mondo. Nel senso, cioè, che ci dona di amare come lui, di servire come serve lui, di perdonare come perdona lui.
Togliere il peccato, perciò, non è un'operazione estrinseca, quasi un gioco di prestigio divino.
Quel che Gesù ha fatto di magnifico è stato di andare a cercare i peccatori laddove essi erano, aggregandosi a loro, ma irradiando una misericordia, una gioia ed una speranza tali da trasformare i suoi compagni di vergogna e di croce.

Davanti a questa massa di peccatori il cielo si è aperto. Su questa umanità spregevole lo Spirito si è manifestato. In mezzo a peccatori, soldati e cortigiane, Dio rivela e accredita il suo Figlio prediletto in cui pone la sua compiacenza.

venerdì 6 gennaio 2017

Solennità dell'Epifania

Cari amici e aderenti alla Fraternità Nazareth anche per la Solennità dell’Epifania vi offro una breve meditazione sul senso di questa importante festività. Un caro saluto a tutti. Don Pietro

 1. I Magi
Non erano, come comunemente si crede, dei Re, bensì dei Dotti-Maghi.   Vivevano nel territorio dell' Eufrate, regione ideale per l'osservazione delle stelle, grazie all'aria limpidissima e alla religione locale che venerava divinità astrali e potenze celesti che, come esseri, signoreggiavano l'esistenza.
Credevano anche che astri e costellazioni potessero influenzare la vita degli uomini per quanto concerneva matrimoni, viaggi, inizi di attività, ecc...
Nei templi c'erano esperti di tale arte e davano consigli a chi li interrogava. Uomini di questo tipo vennero a Betlemme.
Israele era stato deportato in quel territorio, portando seco i libri sacri che, dunque, erano letti dagli astrologi locali. Questi, perciò, conoscevano le profezie sul Messia, sul suo Regno aperto a tutti gli onesti, come dovevano essere i Magi.
In una notte, osservando una costellazione, cui la tradizione attribuiva significati di regalità e salvezza, essi compresero che c'era finalmente il segno del Messia promesso e, con cuore aperto e volontà pronta, si mettono in viaggio alla ricerca di colui che offre salvezza.

2.    Il senso della festa
L'Epifania non è il giorno dei saggi provenienti dall'oriente, bensì il giorno dell'apparizione. Il termine -epifania- deriva dal culto dell'imperatore considerare divino, salvatore, soprattutto nel giorno del suo primo mostrarsi alle genti, la sua  Epifania, l'inizio nuovo della salvezza.
La Chiesa ha trasferito il tutto all'apparire del Cristo-Signore, Salvatore di tutti i popoli.
Probabilmente all'inizio i Magi restarono perplessi e delusi: non palazzi regali, non sale sontuose, ma solo "un bambino e sua madre".
Eppure si prostrano, adorano e offrono doni regali: oro e incenso (Mt 2,11).
Cosa accadde in loro? Cosa videro di più?
Non uno splendore irradiantesi dal bambino, non adorazione di angeli. Per comprendere rifacciamoci ad una nostra esperienza.
Un cespo di rose fiorite, non è ai nostri occhi solo un insieme di steli, foglie, boccioli e petali, ma un evento armonioso e stupendo del miracolo della vita, della sua indicibile bellezza.
Così, un cane non è solo un organismo vivente che corre, abbaia, salta e scherza, ma un esempio di essere capace di esprimere gioia e attaccamento al suo padrone.
Accade lo stesso con un uomo, nostro amico, che non vediamo da tempo e che  reincontriamo: nello sguardo, nel saluto, nei gesti, nel sorriso... noi risaliamo alla sua anima, al suo ricco mondo interiore.
Insomma in lui, col nostro occhio, riusciamo a vedere il mistero nascosto nella creaturalità delle cose e cioè il trasparire in esse della potenza divina che le ha create e che conferisce loro un senso per noi, una preziosità che ci tocca.
Diversamente avremmo solo il puro mondo, freddo e spaventoso.
Ora la potenza di Dio che traspare dalle cose è la loro  epifania per noi.
Così dal bambino di  Betlemme traspare la luce inaccessibile di Dio che in lui può essere vista attraverso il suo corpo.
Certo occorre un occhio capace di andare oltre la materialità delle cose e della corporeità dell'uomo.
Per quanto riguarda Dio occorre avere cuori puri, secondo la beatitudine (Mt 5,5).
Ha cuore puro chi ha la rettitudine dell'amore, chi aspira a  ciò che è alto, nobile e santo.
Occhi così vedono nelle cose Colui che le ha create e in Gesù il Verbo della vita.
I Magi avevano questi occhi e nel bambino hanno visto il Redentore.
Anche noi siamo chiamati a mantenere puri gli occhi, se vogliamo contemplare le realtà divine.
È possibile per noi, anche se fisicamente Gesù non è più con noi, attraverso la Chiesa nella quale risuona viva la parola, opera la grazia attraverso la liturgia e un popolo di Dio nasce e cammina nel tempo.
Solo l'occhio deve essere  puro attraverso un cuore libero da ambizione, avidità, sensualità, paura, frastuono... da ciò che è terreno.
Questo sguardo puro deve accompagnarci nella celebrazione eucaristica, nei rapporti interpersonali, negli eventi della vita.
Allora nel mutamento possiamo scorgere qualcosa che resta, nell'egoismo un amore, nell'assenza una promessa, nella solitudine un'amicizia e tutto porterà un nome: Gesù Cristo.

Dobbiamo chiedere con insistenza questo dono che è il dono dei doni: conoscere e amare Gesù Cristo.

domenica 1 gennaio 2017

Solennità Maria Santissima Madre di Dio

Cari Amici dela Fraternita’ Nazareth vi invio una mia breve meditazione sulla Solennità di Maria   Santissima   Madre   di   Dio, sperando possa  aiutarvi a vivere un Buon inizio di Anno.
All'inizio di un nuovo anno la parola di Dio ci presenta una Donna-Madre e un bambino.Perché intende subito esprimere la propria considerazione per il valore che nella vitarappresenta   il   lato   femminile   dell'esistenza.   La   sapiente     passività,   la   capacità   diaccoglienza, il dono di dare la vita… sono per la rivelazione valori altissimi. Anche in vistadi   una   piena   umanizzazione   del   mondo     il   contributo   della   donna   è   nella   Scritturaessenziale.2. L'altro messaggio di inizio anno è l'annuncio-auspicio  di pace. L'antico filosofo Eraclito nel frammento 53 ha scritto che il  Polemos, cioè la guerra   è il padre di tutte le cose.Ebbene, questo sogno impossibile della pace Cristo lo ha reso e lo rende possibile.Uniti a lui mediante il battesimo e l'eucaristia dal nostro cuore può essere sradicata laradice   violenta.   Allora,   e   solo   allora!,   incominciando   dalla   propria   vita   è   possibileinstaurare rapporti nuovi con gli altri,con le cose, rapporti riconciliati con tutti e con tutto. Ilcristiano porta dentro di sé una risorsa miracolosa: quella del perdono attivo. Come fa il suo Signore Gesù Cristo, anche il cristiano non perdona perché il reprobo si èpentito, ma perdona perché si penta, il suo perdono è, cioè, un investimento, per favorirela conversione del deviante. Solo così il cristiano può spezzare la spirale dell'odio, dellaritorsione, della vendetta. L'unico corto circuito che funziona quando la violenza si è scatenata è il perdono.Parola difficile il perdono, parola esigente, parola nuova, paradossale, ma non c'è altrastrada per riportare pace, concordia e serenità dovunque.All'inizio di un nuovo anno si è soliti scambiarsi gli auguri. Cosa augurarci quest'anno? Lasalute? Certo, ma senza nutrire sogni infantili di immortalità e senza mitizzare la salutefisica. Perché anche la sofferenza, il dolore e la malattia possono essere realtà piene,colme di una presenza, quella del Crocifisso, che trasforma anche il male in possibilità dicrescita e di vita nuova. Vogliamo  augurarci la ricchezza? La ricchezza spesso può essere disonesta, ingiusta, può favorire in noi  l'illusionedell'autosufficienza, dell'autonomia. Può renderci orgogliosi, ingiusti   ed egoisti. Non laricchezza dunque ci  auguriamo. Ma neppure la povertà:  potrebbe farci dubitare dellavolontà di bene di Dio nei nostri confronti. A Dio chiediamo solo il necessario. Però lasciamo a lui definire cosa nella nostra vita èveramente necessario. Vogliamo augurarci il successo? La televisione, l’ultima deliziadella caverna dell’uomo, non fa altro che stimolarne in noi il desiderio. Ma il prezzo dapagare   è   troppo   alto…   Non   il   successo,   ma   neppure   fallimenti   dobbiamo   augurarci:potrebbero farci sprofondare nell'abisso della depressione. E comunque ricordiamo cheanche chi dovesse incappare nel  fallimento è amato da Dio. Auguriamoci la pace, questasì. Purché sia quella vera, quella  che abita nel cuore di Dio  e che noi accogliamo congioia e che ogni giorno contribuiranno a costruire e a diffondere dovunque nel mondo