La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

venerdì 27 settembre 2019

La parabola di Lazzaro e del ricco epulone. Riflessione di Don Pietro

La parabola di Lazzaro e del ricco epulone ci presenta un’ azione drammatica in tre scene. 

Prima scena: viene descritta la situazione

Luca adotta la tecnica del contrasto e della contrapposizione per presentarci la situazione dei personaggi della parabola.
Da un lato vediamo le vesti di porpora e di bisso che indossa il ricco, dall'altro gli stracci laceri addosso al povero Lazzaro.
Da una parte assistiamo alle orge quotidiane del ricco,
dall'altra ci viene descritto lo stato di emarginazione e di inedia in cui versa il povero.
In casa del ricco si consumano lauti banchetti, 
il povero invece è sprovvisto di tutto, tanto da desiderare le briciole che cadono dalla tavola del ricco, senza peraltro che nessuno gliele dia.
Da notare che del povero è menzionato il nome: si chiama Lazzaro. Del ricco, invece, ci viene fornito solo un nome comune: epulone, cioè crapulone. Veniamo così a sapere che Dio ricorda e conosce il nome del povero, ma non del ricco. Quelli che invece sulla terra scrivono la storia registrano solo i nomi dei potenti e mai dei poveri.

Seconda scena: la situazione iniziale viene ribaltata

Qui vediamo Lazzaro in grembo ad Abramo: un’espressione ebraica per  descrivere una condizione di piena beatitudine.
Il ricco invece si trova in un abisso di tormenti.
Il profeta Amos (8,7) ha scritto: "Certo non dimenticherò le loro opere ". E il peccato che il Signore non dimentica è proprio il negare l'aiuto al povero.
Notiamo anche l'incomunicabilità tra Lazzaro e l’epulone: per colpa dell'egoismo del ricco questa incomunicabilità terrena continua anche nell'aldilà.

Terza scena: dialogo tra Abramo e il ricco

Come evitare di cadere nella grave forma di cecità del ricco?
La risposta che Gesù dà indica nell’ascolto quotidiano della parola di Dio la strada  per aprire il cuore ai bisogni del povero. Non servono forme di religiosità fondate sul miracolismo.

Attualizzazione

1. La contrapposizione ricchi-poveri non può esaurirsi in un approccio moralistico e cioè nella semplice condanna dei ricchi e nella promessa ai poveri di consolazione e di risarcimento nell’altra vita, cioé il famoso contrappasso. Guai se tutto restasse come prima!
Il significato della parabola è profetico: contiene l'invito a pronunciare un giudizio sulla malvagità del mondo e invita ad un impegno attivo contro tale malvagità.
2. Non c'è dubbio che il giudizio da dare su questo mondo che gozzoviglia sulla carne martoriata dei dannati della terra dev’essere di decisa  condanna, senza se e senza ma.
Non erano queste le aspettative di Dio quando ha creato l'umanità. Quello che egli sognava non era un mondo nel quale pochi avessero molto e molti avessero poco, o niente.
Nel disegno di Dio i beni della terra sono destinati a tutti gli uomini. Se questo mondo continuerà a reggersi sull'appropriazione di pochi, furbi e violenti, e sulla morte per fame di moltitudini immense, la rovina, accelerata dalla collera dei poveri, di cui già si intravedono le prime avvisaglie, sarà totale.
La necessità morale è ormai diventata una necessità storica.
Il mondo cristiano ha delle grandi complicità con il mondo dei ricchi in mezzo a cui vive e che deve sciogliere. L'80 % delle risorse della terra sono accaparrate dal 20% dei suoi abitanti, residenti quasi tutti al Nord del pianeta. Viceversa, l’80% dei poveri deve contentarsi solo del 20% delle risorse.

Cosa possiamo fare?

1. La via risolutiva non è solo0 l'elemosina, ma un cuore liberato dall'avidità, aperto alla condivisione e guidato dall'amore verso gli esclusi nell'uso dei beni. La solidarietà deve accompagnarsi prima di tutto alla giustizia.
2. Poi, naturalmente, occorrono delle mediazioni.
Bisogna varare politiche che abbiano come obiettivo non l'interesse di pochi ma quello dell'intera umanità.
Gli economisti dal canto loro debbono indicare un Nuovo Ordine Economico Internazionale (NOEI) in cui lo scambio tra Nord e Sud del pianeta non sia, come tuttora è, ineguale e profondamente ingiusto e dove gli strumenti finanziari (Banca mondiale, Fondo monetario internazionale, Organizzazione mondiale del commercio, ecc…) siano profondamente riformati essendo tuttora al servizio solo ed esclusivamente dei poteri economici forti dell'Occidente.
Anche a livello culturale occorre una nuova comprensione dell'uomo, una comprensione che privilegi l'essere sull’avere, la solidarietà sull’individualismo, lo sviluppo compatibile sulla distruzione dell’ambiente, il dialogo tra le culture e non il conflitto…
Infine anche la teologia può e deve svolgere il suo servizio attraverso il rilancio della profezia (giudizio-condanna-annuncio-servizio al mondo) e con l'invito ai credenti perché diano una testimonianza credibile che in qualche modo anticipi il mondo nuovo che Cristo ha già inaugurato con la sua morte-resurrezione-dono dello Spirito.

domenica 22 settembre 2019

LA PARABOLA DEL FATTORE ASTUTO; Le riflessioni al Vangelo di Don Pietro.

1.   Un fattore scaltro o disonesto?

            Questa parabola ha sempre suscitato perplessità nei lettori: come è possibile che il Vangelo presenti un uomo disonesto come modello?
Forse l'ambiente palestinese con i suoi costumi può aiutarci ad attenuare il disagio.
Gli amministratori locali dei grandi proprietari terrieri - per lo più stranieri - potevano, dopo aver assicurato al padrone il profitto pattuito, realizzare guadagni personali maggiorando i prezzi. Questo era consentito.
Si può, quindi, pensare che l'amministratore della parabola abbia solo rinunciato al suo margine di guadagno al fine di procurarsi amici nelle imminenti difficoltà, senza danneggiare il suo padrone.
Così appare più credibile l'elogio che il padrone fa del suo fattore.

            Ma la parabola non vuole attirare l'attenzione sui mezzi  cui il fattore ricorre per farsi degli amici. Il cuore della parabola è l'espressione: "i figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce". Forse più che "parabola del fattore disonesto", andrebbe intitolata "parabola del fattore scaltro".  E' la scaltrezza e la furbizia con cui egli, senza un attimo di esitazione, cerca di mettere al sicuro il proprio futuro, che deve impressionare il lettore.
Non appena  sente minacciato il suo avvenire, il fattore si fa astuto e volge a proprio vantaggio la difficile situazione.
Non dovrebbe anche il cristiano essere pronto, scaltro e risoluto nell'assicurarsi nel tempo presente il Regno di Dio?
Come al fattore, neppure  al cristiano dovrebbero far difetto  la lucidità nell'avvertire la gravità della situazione, la prontezza nel cercare una soluzione, il coraggio di prendere decisioni.

2. L'uso della ricchezza e la fedeltà

            Questa risolutezza spinta sino alla furbizia l'evangelista Luca la applica all'uso della ricchezza. "Fatevi amici con la disonesta ricchezza, perché quando essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne" .
Per molti commentatori questo detto significa aiutare i poveri. Gli amici che bisogna farsi sono i poveri. Per altri gli amici da farsi sono i meriti da acquisire presso Dio o Dio stesso.
Quindi c'è un solo modo per essere astuti come il fattore della parabola: utilizzare le proprie ricchezze per aiutar i bisognosi. Concretamente Luca pensa all'elemosina.
Poi Luca riferisce un secondo detto del Signore che si riferisce non alla carità ma al dovere della fedeltà nell'amministrazione dei beni del  padrone. "Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella iniqua ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?" Non bisogna, cioè,  imitare la disonestà del fattore.
Il terzo detto dei Signore riguarda l'incompatibilità tra il servizio di Dio e il denaro. "Nessun  servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio  e a mammona". Il denaro vuol sempre fare da padrone e spesso ci riesce. Allora, diventandone servi, si finisce per  tradire l'unica signoria di Dio.

3.   La "disonesta  ricchezza"

E' disonesta perché spesso è frutto di ingiustizia, di sfruttamento, e, ancora più spesso, diventa strumento di ingiustizia...
E’ disonesta perché spesso rende ciechi, seduce e soffoca con la sua invadenza la parola di Dio.
E' disonesta perché è ingannevole: promette e non mantiene, delude.
Luca si riferisce a "mammona" che è più della semplice ricchezza: è quell'accumulo esagerato, che mai sazia, che si impossessa del cuore dell'uomo e gli sequestra la  vita.

mercoledì 18 settembre 2019

PAPA FRANCESCO È COLPEVOLE


di Padre Antonio Teixeira
Caro papa Francesco, in realtà, sei colpevole!
Sei colpevole di essere un uomo e non essere un angelo!
Sei colpevole perché hai l’umiltà di accettare che hai torto e chiedi perdono. Chiedi perdono per te e per noi. E questo per molti è inaccettabile.
Sei colpevole perché volevano che fossi un giudice e un canonista e sei un esempio e un testimone di misericordia.
Sei colpevole perché hai abbandonato la tradizione di vivere nei palazzi per scegliere di vivere come le persone. Colpevole perché hai lasciato la sontuosità di San Giovanni in Laterano e scelto la povertà delle prigioni, degli orfanotrofi, dei manicomi e delle case di recupero.
Sei colpevole!
Hai smesso di baciare i piedi “profumati” delle eminenze e baci i piedi “sporchi” di detenuti, donne, pazienti, altre confessioni religiose, “diversi”!
Sei condannato perché hai aperto le porte ai “risposati” e perché di fronte a temi dolorosi e in sospeso rispondi semplicemente, “chi sono io per giudicare?”.
Sei condannato perché assumi la tua fragilità, chiedendo a noi di pregare per te, quando molti ti chiedono di essere dogmatico, intollerante e rubricista.
Papa Francesco è colpevole di tanti e tanti cosiddetti “infedeli”, “scomunicati” e “impuri” che hanno riscoperto il bel volto di Cristo, tenerezza e misericordia.
Sei colpevole perché “chiami le cose per nome” e non dimentichi di ricordare ai vescovi che non sono pastori sull’aereo, ma persone con “odore di pecora”.
Colpevole perché hai strappato le pagine di intolleranza, la morale spietata e ci ha offerto la bellezza della compassione, della tenerezza e della schiettezza.
Sei colpevole perché non siamo così orgogliosi negli occhi, nell’intelligenza e nella ragione, ma soprattutto nel cuore.
Sei colpevole di voler portare la croce della Chiesa invece di guardare altrove, essendo indifferente al dolore e alle lacrime degli uomini del nostro tempo.
Sei colpevole perché non puoi sopportare gli efferati delitti fatti nel nome di Dio e quelli che parlano di Dio ma vivono contro di lui.
Colpevole perché cerchi la verità e la giustizia, abbracciate dalla misericordia, invece di mettere a tacere, nascondere, minimizzare o ignorare.
Sei colpevole perché hai smesso di volere una Chiesa di privilegi, di glorie di tutto il mondo e ci insegni la forza del servizio, la ricchezza di lavare i piedi e la grandezza della semplicità.
Papa Francesco lascia che ti incolpino di questi “crimini”.
Tu sai che al tuo fianco ci sono innumerevoli uomini e donne che, come te, non sono angeli, sono fragili, peccatori, aspettando che Cristo si prenda cura di loro e di noi.
Tu sai che con te c’è un’enorme “processione” di cuori che per te prega ogni momento, perché daresti la tua vita per loro, e ti seguono come pecore che si fidano del pastore.
È stato Cristo a metterti al timone di questo “Barca” che è la Chiesa.
È Cristo che ti darà la forza per perseguire questo sentiero di “colpa” che ha fatto così bene al mondo e alla Chiesa.
Caro papa Francesco, grazie per essere stato incolpato della bellezza della Chiesa sognata da Gesù.

domenica 15 settembre 2019

Domenica 24ª del tempo ordinario - Spunti di riflessione sul brano evangelico. Don Pietro

1) Due sono i termini chiave: gioia-festa e perdere-trovare.
In apertura il brano evangelico ci presenta Gesù che accoglie i peccatori che andavano da lui per ascoltarlo.
La gente li emarginava, li considerava maledetti e contaminanti. Gesù non condivide questo giudizio e contraddice a questa prassi: egli diviene solidale con porta loro l'amicizia di Dio.
Nel comportamento di Gesù la gente ravvisa un attentato all'ordine sociale e la presentazione di una immagine di Dio diversa rispetto alla religione tradizionale.
Questo provoca scandalo e attira a Gesù critiche e opposizione.

2) I personaggi della parabola

a) il figlio minore
Questi denunzia un profilo umano decisamente povero:   padre per lui vuol dire soprattutto abbondanza di beni, agiatezza.
I suoi sentimenti dall'inizio alla fine della storia sono per niente nobili:
·                     prima pretende la sua parte di eredità e poi vuole recuperare l'abbondanza perduta perché è nel bisogno
·                     non gli importa nulla della pena del padre

b) il figlio maggiore
 è, se possibile,  fugara ancora più negativa rispetto al fratello:
·                     non si rivolge al genitore con il titolo di padre. Questi, per lui, è solo un ingombro di cui non ha saputo liberarsi
·                     non riconosce nell'altro figlio il suo fratello
·                     tanto meno  capisce il senso di una festa che è un ritrovarsi e un accogliersi
·                     gli importa solo del capretto che non ha avuto mentre per il fratello si è ammazzato il vitello grasso.
·                     è un ragioniere: valuta  tutto in termini di interesse, di utile, di quantità.

c) il padre
è la figura centrale della parabola
·                     compie una serie di atti sconvolgenti, che non hanno giustificazione alcuna nei soliti motivi: proprietà, legge, rispetto, onorabilità, interesse di gruppo o di famiglia
il suo comportamento sconvolge perché non ha altro motivo che il suo essere padre, nessun altro interesse che l'amore . Per amore:
·                     soddisfa la richiesta illegittima del figlio di smembrare la proprietà
·                     rifiuta la lodevole richiesta del figlio tornato di essere trattato come un servo.
·                     non tiene in quarantena il figlio pentito, per accertarne la conversione, come imponeva lo standard morale dell'epoca
·                     compie gesti sembrerebbe senza proporzione e giusta motivazione verso un figlio tanto degenere:
·                     corre verso di lui: cosa disdicevole per un uomo del suo rango e della sua età
·                     bacia il figlio e dà ordini deliranti per una festa grandiosa che ha dell'inverosimile
·                     comprende anche il figlio maggiore, ma gli spiega che il cuore di un padre ha ragioni che la ragione commerciale del figlio non può capire e cerca di coinvolgerlo in una festa facendogli scoprire dimensioni del vivere che un ragioniere  come lui neppure immagina

3) Il messaggio della parabola

L'amore di Dio è incredibile, sfugge ai parametri umani e, ora, quest'amore folle vive ed opera nella persona di Gesù, nel suo comportamento verso gli emarginati e i peccatori.
La comunità che si ispira a  Gesù deve imitare un tale atteggiamento verso gli emarginati e i lontani o, per meglio dire, gli allontanati.

domenica 8 settembre 2019

RIFLESSIONE SUL VANGELO DELLA XXIII DOMENICA DELL’ANNO LITURGICO. Don Pietro


  1. Per essere suoi discepoli, Gesù esige da chi vuole seguirlo non solo di amare il nemico, ma addirittura di “odiare” padre e madre. Il senso di tale sconcertante parola di Gesù è questo:  chi è chiamato alla sequela del Maestro deve trascendere la parentela del sangue, della carne, subordinandola e iscrivendola in una consanguineità nuova e più impegnativa: quella della paternità-maternità divine e della propria figliolanza adottiva. Conseguentemente, se essere figli di Dio vale più che essere figli di chi ci ha trasmesso la vita fisica, in caso di conflitto di lealtà tra i doveri verso Dio e quelli verso il padre terreno e ogni altra autorità mondana, il discepolo non deve esitare: l’obbedienza spetta al Padre celeste. Anche l’amore-doveroso!- verso i genitori va inquadrato nell’ amore verso Dio e verso il prossimo, in docilità alla volontà di Dio.

  1. “Chi non prende la sua croce e mi segue, non è degno di me…”
Per croce Gesù non intende in primo luogo il dolore, le sventure, le malattie… Anzi Lui è venuto a liberarci da questi mali che sono la conseguenza della nostra creaturalità e del peccato entrato nel mondo e da cui Egli ci ha liberato. Allora la croce che Gesù ci chiede di prendere è ciò che essa è stata per Lui: il prezzo pagato all'obbedienza solo a Dio e non agli uomini, la fedeltà e la dedizione spinte fino al dono totale di sé, fino alla morte, la solidarietà fino in fondo al dolore dell’uomo e del mondo, la rivelazione piena dell’amore del Padre che non ha esitato a sacrificare il proprio Figlio per noi, la sapienza-verità nascosta nella croce. Il seguace di Cristo, se vuole imitarlo, deve seguirlo anche al Calvario, deve portare la croce, salirvi sopra e morirvi. Solo allora nascerà… La croce, aggiunge Gesù, non è un optional. La si può togliere dalle mura dei locali pubblici, non dal cristianesimo e dai cristiani: essa ne è il cuore e senza cuore non c’è vita.

  1. Queste esigenze ruvide e impegnative Gesù le proclama quando vede che molta gente gli va dietro. Gesù teme che l’abbiano frainteso, che pensino che la sequela sia una gita di evasione, una bella passeggiata, una traversata tranquilla in acque placide su comode imbarcazioni. Gesù è onesto: vuole aprire gli occhi a chi si fosse illuso, vuole informare correttamente chi non avesse ben compreso e, allora, afferma chiaramente, senza possibilità alcuna di equivoco che la sua strada è in salita, è irta di ostacoli, è faticosa e passa per il Venerdì Santo. Ma porta alla vita nuova, all’alba di Pasqua, alla vittoria sul male e sulla morte. Prima, però, c’è da odiare anche i propri cari e da abbracciare la sua Croce.