La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

venerdì 30 agosto 2019

Vangelo della XXII Domenica, la riflessione di don Pietro

NASCONDIMENTO E GRATUITA’

1. “Primo in tutto per l’onor di Cristo Re”.
Era la regola-slogan per gli aspiranti di Azione Cattolica nel dopoguerra.
palese contraddizione con l’evangelo che propone come modello Cristo che da primo ha scelto di essere l’ultimo, che ha fustigato duramente gli atteggiamenti improntati a superbia, condannato i comportamenti ispirati a vanagloria ed ha rivelato le predilezione del Padre per i piccoli, gli umili e i “perdenti”.
una pedagogia pericolosa – quella del primeggiare – perché inoculava il sottile veleno dell’ambizione, della vanità, del successo ad ogni costo,
dell’eroicismo , e del senso di fallimento e angoscia nel caso – frequente – di insuccesso scolastico, sociale e spirituale.

2. La Parola di Dio.
Alla luce dalla Parola di Dio e al confronto dello stile di vita assunto dal nostro primo modello Gesù Cristo e dai Santi, ogni comportamento improntato a vanità, a esibizionismo, al culto di sé – fino all’idolatria della propria persona – risulta riprovevole perché usurpa quella gloria che è dovuta solo a Dio ed è riconducibile ultimamente a quella superbia radicale che fonda la condizione di peccato dell’uomo dinanzi a Dio.
Questo amore di sé, spinto sino al successo degli altri e di Dio fonda la città terrena presuntuosa ed autosufficiente, così come l’amore di Dio, spinto fino al disprezzo di sé fonda la Città celeste ove le creature non risplendono di luce propria ma si illuminano della Gloria dell’Altissimo.

3. Elogio dell’umiltà.
Per entrare in questa Città – il Regno di Dio – passaporto indispensabile è l’umiltà.
Con l’umiltà il discepolo di Gesù – non solo, ma ogni uomo e donna – esprimono di aver compreso e vivere qual è la loro reale condizione, la loro verità: quella di essere delle semplici creature che ricevono tutto da Dio e che sono sempre bisognose di perdono e misericordia.
L’umiltà, perciò, dovrebbe essere il primo e fondamentale atteggiamento da assumere davanti a Dio per ogni vero credente.
E’ l’atteggiamento che più piace a Dio, che ci mette in sintonia col Cristo e che sarà massimamente onorato dal Padre che “resiste ai superbi ed esalta gli umili”.
“Tu salvi la gente umile, mentre abbassi gli occhi dei superbi”.  2 Sam 22,28
“Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore, che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso”.  Ez 17,24
“Il Signore sostiene gli umili, ma abbassa fino a terra gli empi”.  Sal 147,6
Innumerevoli sono i passi del vangelo che propongono l’umiltà come la condizione impreteribile per avere il compiacimento di Dio e l’ingresso nel Regno.
E Gesù ha incarnato nella sua persona l’umiltà, come emerge da Fil 2,6-11, il famoso inno cristologico dove si parla dell’umiliazione propria della incarnazione del glorioso Figlio di Dio, di condizione divina e in possesso dell’uguaglianza con Dio.
E l’incarnazione raggiunge il suo vertice nella Croce, esperienza propria degli schiavi e dei reietti della società umana.
L’orgoglioso, invece, si gonfia, si vanta, si crede come Dio, è arrogante, ambizioso e vanitoso.

4. Vivere in umiltà.
Il vero discepolo di Gesù, il credente autentico ha in abominio la superbia e assume pensieri e atteggiamenti umili davanti a Dio, con se stesso, con gli altri.
Dinanzi a Dio sa di essere una semplice creatura, sempre piccola davanti al Creatore, sempre peccatore bisognoso di perdono.
L’umile conosce se stesso, i suoi limiti, la sua povertà, il suo essere finito e, se non  sprofonda nell’abisso della depressione, neppure si esalta inorgogliendosi per le sue qualità e successi ma tutto accoglie come dono aprendosi al ringraziamento.
Sa di essere un nulla, ma amato da Dio e, questo, gli dà la vera pace.
Nei rapporti con gli altri detesta
l’arrivismo e l’arrampicamento ad ogni costo
non ha preoccupazioni gerarchiche
non si dà arie né si pavoneggia in modo indecoroso
ha in abominio la baldanza di credersi superiore agli altri e non partecipa alla corsa per primeggiare.
Chi è davvero umile:
non pretende di occupare i primi posti
non va mendicando consensi
non impone il proprio parere
non vuole dire sempre l’ultima parola
se riceve onore rimane confuso, se ne ritiene indegno e ringrazia.
Questo stile di vita diventa testimonianza e contestazione della logica superba del mondo.
Secondo la pedagogia orgogliosa del mondo:
bisogna studiare per essere il I° della classe
giocare con forza e astuzia per diventare campione
diventare amico di chi conta per salire in alto presto.
Ma con questa pedagogia si costruisce il mondo della prepotenza, dell’invidia e dell’esclusione dove ciò che vale
non è vivere con gli altri, ma vincere gli altri
non è stare insieme agli altri, ma sopra gli altri.
Cose ben diverse sono – ovviamente – la sana emulazione, il giusto senso del proprio Sé e la fiducia in se stessi per affrontare le difficoltà della vita.

Conclusione.
Chiediamo a Dio il dono della umiltà, accettando però che Dio ci mandi qualcuno che ce la faccia esercitare.
Svuotiamoci di noi stessi, per poter essere riempiti di Dio.
Cerchiamo sempre di crescere nell’umiltà consapevoli che l’umiltà è una virtù che scompare nel momento in cui si crede di averla.
Il pensiero di un Santo molto umile:
L’umiltà è come la catena del rosario, se la catena si rompe, tutti i grani se ne vanno. Così, se cessa l’umiltà, tutte le virtù si disperdono.
L’umiltà è come una bilancia: quando più ci si abbassa da un lato, tanto più si è innalzati dall’altro”. ( Il Curato d’Ars,  un prete umilissimo e santo)


venerdì 23 agosto 2019

RIFLESSIONE SUL VANGELO DELL DOMENICA XXI. Don Pietro

     1.     La salvezza.
·        è novità indicibile: come saremo non ci è dato saperlo – liberati, trasformati, ma in che senso e come?
·        è realtà e promessa: all’uomo tutto intero, all’umanità tutta, alla terra e ai Cieli
·        il primato è dell’azione di Dio: è grazia
·        ma è offerta esigente: comporta l’ accogliere Dio e donarsi a Lui.

2.     Il rischio del fallimento.
·        La salvezza non è grazia “a buon mercato”
·        il rischio “inferno” cioè fallimento totale è reale
·        comporta molte rinunce e sacrifici per “possedere” il tesoro nascosto

3.     La “porta stretta”.
·        noi, non autorizzati, quella porta l’abbiamo resa larga
·        un IO invadente e ingombrante non passa per quella porta
·        per varcarla occorre rimettere (de-cisione: taglio netto) in questione radicalmente la logica di questo mondo (le 3 “P”: Potere – Possesso – Piacere) e assumere l’Evangelo
·        occorre farsi piccoli, scomparire, e far crescere il Cristo (Abbandonato e Risorto) in noi
·        bisogna imitarne la fede: obbedienza e abbandono totale come Abramo e Maria. Rinunciare  al buon senso e abbracciare la follia della Croce.
·        la difficile speranza cui siamo chiamati: bisogna fidarsi solo di una Parola
·        assumere l’amore come dono totale di sé, una la non violenza radicale, l’amore ai nemici, la povertà.
          Divenire, cioè, uomini e donne abitati dallo Spirito.

4.     La porta chiusa.
·        È un simbolo tragico e una possibilità reale
·        resta chiusa se i segni di riconoscimento non sono sufficienti come:  e la pratica religiosa è segno insufficiente
·        occorrono i segni della giustizia nuova: le Beatitudini, la Figliolanza.

5.     Conclusione.
·        Chiediamoci: se dovessimo entrarvi ora, le nostre “misure” spirituali sarebbero adeguate?
·        quali segni-credenziali potremmo offrire per il riconoscimento?
un consiglio: a quella porta ci saranno i poveri a verificare. Facciamoci conoscere ora da loro per essere riconosciuti allora. 

sabato 17 agosto 2019

Lettura del Vangelo della DOMENICA XX . Don Pietro

1. “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso”.
Dunque, ora sappiamo perché Dio ha inviato il Suo Figlio sulla terra:
a portare ciò che non c’era e che nessun uomo poteva produrre da solo: un altro fuoco.
Il fuoco è metafora forte e ricorrente nella Scrittura; simboleggia:
la presenza di Dio come potenza e Verità
l’energia divina che dà vita ad ogni creatura
l’Amore di Dio che tutto trasforma e riconduce a Sé
questo fuoco è una persona: è Gesù stesso e, dopo il suo ritorno al Padre, è lo Spirito Santo.
L’accensione di questo fuoco può incontrare ed incontra sovente la resistenza e l’opposizione dell’uomo.
Questi, all’incendio di Dio che lo brucia ma per illuminarlo e trasformarlo in una creatura nuova, preferisce i suoi piccoli focherelli, fatui e caduchi.
Che nel nostro cuore ci sia – se non il divampare dell’incendio divino – almeno il desiderio che le sue fiamme possano lambire le nostre esistenze e quelle dei nostri simili.
Chissà che il disagio del vivere che sperimentiamo non dipenda proprio da questa assenza, ormai intollerabile, del fuoco divino dalle nostre vite, dal non sperimentare più la Presenza di Dio, la sua energia vitale, l’amore del Figlio Gesù e dello Spirito Consolatore…

2. “Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione”.
E, però, siamo avvertiti: il fuoco di Dio, se lo accogliamo dentro le nostre vite, intanto le scombussola sconvolgendole.
Dio non può avallare i nostri calcoli miopi e meschini, non può legittimare le nostre innate tendenze alla pigrizia, alla falsa tranquillità, all’ordine ingiusto.
Non ogni pace è secondo Dio e da Lui benedetta. Come quella imposta con le armi, quella che si accompagna alla ingiustizia, quella che è esclusiva dei più furbi e dei più egoisti.
Anche la Chiesa può essere tentata da una falsa pace. S. Bernardo scrive:
Amaritudo Ecclesiae sub tyrannis est amara.
Sub ereticis est amarior
In pace est amarissima.
La pace cristiana – sempre e dovunque – non aggira il conflitto, anche duro, ma lo vive e lo supera attraverso il servizio della Verità e il metodo della non-violenza radicale.
E dove non c’è soluzione possibile il conflitto va vissuto in spirito di pazienza, nell’attesa della composizione finale quando verrà il GIORNO DI DIO.
3. Il discernimento.
Gesù ci invita a comprendere e saper giudicare il tempo in cui viviamo, ciascuno da se stesso, senza che siano gli altri a doverci dire ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, abilitati come siamo, per natura (intelligenza e coscienza) e per grazia (Spirito Santo), a farlo.
In rapporto a che dobbiamo giudicare i fatti del tempo?
E’ chiaro: in rapporto alla pace di Cristo, non ai nostri interessi o ai successi della Chiesa istituzionale, o alla tranquillità del nostro paese.
Bisogna allora guardare agli ultimi, agli umili, a coloro che portano il peso della ingiustizia del mondo.
Conseguentemente il nostro giudizio non può non essere che di contestazione.
Saremmo in peccato se ci preoccupassimo di non disturbare e scegliessimo di una prudenza carnale e non evangelica.
Un uomo prudente che tace, piace molto, soprattutto in alto.
Ma non è un uomo dell’evangelo.
Gesù non ha misurato il silenzio e le parole secondo criteri di opportunità ma secondo le esigenze di una Parola che doveva liberare e aiutare.
Così anche Geremia: è gettato nella cisterna perché non è stato zitto ma ha urlato una Parola di verità.
Non annunciare le esigenze anche ruvide dell’evangelo equivale a peccare.
C’è un silenzio complice del male.
Certo parlando si corre il rischio di dire parole presuntuose.
Ma ciò non deve toglierci il coraggio di essere cristiani coerenti nel contestare il male e nel difendere coloro che sono vittime del male


giovedì 15 agosto 2019

Solennità dell'Assunta. Riflessioni di don Pietro

Quale sarà il nostro futuro, non solo immediato, ma ultimo?
Anche a dei credenti, quali tentiamo di essere noi, il futuro appare carico più di angoscia e di incertezza che di letizia e speranza.
Ebbene, Maria Assunta in cielo in anima e corpo, ci viene presentata dalla Liturgia non solo come un frutto di quella “ risurrezione dei morti”, un approdo a quella “vita eterna” che professiamo ogni domenica nel credo, ma anche come profezia del destino ultimo della comunità credente che vede il Lei la Madre, la maestra e la sorella di viaggio.
Il Vaticano II nella L. G. parla di Maria come “immagine e inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura” e come “segno di sicura speranza e di consolazione fino a quando non verrà il giorno del Signore” (n. 68).
Maria, insomma, è figura del futuro della Chiesa e dell’umanità tutta con una densità che è seconda solo a Cristo.. Maria, figura, profezia del futuro, ha per così dire declinato tutta la sua esistenza terrena al futuro, secondo il progetto di Dio:
“Avrai un figlio, lo darai alla luce, gli porrai nome Gesù” (Lc 1,31).
Quando l’evento comincia a compiersi, un  altro futuro le è annunciato:
“una spada trafiggerà la tua anima”.
Sotto la croce, dopo aver vissuto il più grande dolore di una madre, le resta solo il futuro dell’affidamento a Giovanni e dunque alla Chiesa .
E con la Chiesa Maria appare aperta al futuro in attesa dello Spirito.
Solo con la sua Assunzione il futuro si fa finalmente presente per sempre: Maria entra in una condizione di esistenza carica di gloria, in una situazione di vita realizzata, felice, presente e permanente.
Questa vita in pienezza per l’uomo è iscritta nel progetto di Dio ed è l’unica condizione degna dell’uomo immagine di Dio.
Ma, vivendo l’uomo in un contesto di peccato, questa vita pienamente realizzata è per ora solo un seme che matura lentamente, un seme che solo nel futuro di Dio potrà dare i suoi frutti.
Finché siamo nell’oscurità del tempo presente, questo futuro definitivo del Regno di Dio, è luogo e oggetto della nostra speranza.
Una speranza non vana: Maria Assunta in Cielo è garanzia che il futuro di Dio c’è veramente ed è grandioso, bello, lieto. Dobbiamo saperlo attendere come lo Sposo aspetta la sua sposa.
Certo, questo futuro definitivo di pace non sarà l’entrata nel paese di Bengodi, ma piuttosto il traguardo di una corsa lunga e faticosa, esposta anche al rischio di bloccarsi per gli ostacoli che l’Avversario può frapporre sul nostro cammino.
E’ il “grosso dragone” dell’Apocalisse che tenta di soggiogare la Chiesa, di ucciderne la discendenza (il Messia). Ma Dio difende il suo popolo.
Il cammino della Chiesa nel tempo è sotto il segno della prova e della tentazione mirate a togliere di mezzo Gesù, il Messia, il Vangelo di Dio.
Ma questo non avviene: il Messia resta come il risorto, il vittorioso sul male e sulla morte e la Chiesa continua ad essere sotto la protezione di Dio
Maria, che è immagine vivente della Chiesa, con la sua Assunzione segna l’esito vittorioso di un combattimento drammatico, non l’esaltazione di una regina.
L’Assunzione di Maria va accostata alla Risurrezione e Ascensione di Cristo.
Cristo è il I° Vittorioso di Dio e Maria Colei che per prima ne gusta il frutto beatificante di vita, come ci ricorda Paolo (I Cor.): “Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti”.
“Tutti riceveranno la vita in Cristo”: Maria è glorificata in nome del Cristo glorificato.
Questa glorificazione di Maria è certamente dono della grazia di Dio, frutto del suo infinito amore.
Ma è anche risultato della fedeltà e responsabilità di Maria, della sua corrispondenza al dono di Dio con un’esistenza docile, umile e servizievole.
Insomma: l’amore di Dio è la causa per cui Egli assume Maria in cielo, l’amore di Maria è la condizione per cui Maria si è fatta assumere in Cielo.
Maria si è lasciata amare da Dio e i fratelli: perciò la celebriamo nella gloria di Dio.
L’Assunzione è per noi una “bella notizia”, fonte di speranza e consolazione:
Se il futuro ci appare infido e angosciante, sappiamo che Dio in Gesù condivide la nostra paura e ci propone in Maria sia la certezza di un felice traguardo sia la strada buona per raggiungere la meta.
E ci dona, come a Maria, il suo Spirito che ci guiderà verso il futuro glorioso del suo Regno.

 

martedì 13 agosto 2019

Un’altra riflessione necessaria per chi vuole restare umano, come spero vogliamo tutti noi. Don Pietro

La stagione del razzismo spontaneo
di Gad Lerner

Pietro Braga, 18 anni che a Chioggia si è visto sbarrare l'accesso a una festa sulla spiaggia per via del colore della sua pelle, ha saputo vincere l'umiliazione e ha trovato il coraggio di denunciare il titolare dello stabilimento Cayo Blanco. Dobbiamo ' esserne grati a lui e alla sua famiglia di italiani perbene. Così come dobbiamo ringraziare Gabriella Gentile per aver reso pubblici attraverso una lettera a Repubblica gli insulti rivolti a suo figlio Fabien durante una vacanza con la nonna a Recco: «Negro di merda, peccato che non sei affogato con gli altri». Un'esperienza vissuta sempre più spesso dai bambini adottati da genitori italiani. Segnalo la testimonianza di Matteo Koffi Fraschini pubblicata da Avvenire domenica scorsa. Nato in Togo, cresciuto in una famiglia milanese, ora che a sua volta è diventato padre di due bambini di colore Matteo prova timore per l'incolumità sua e dei suoi figli, quando camminano per strada. Esagera? Ma fino a ieri avreste considerato verosimile un divieto d'ingresso in spiaggia per i cittadini dalla pelle scura? Ignoriamo purtroppo il nome dell'energumeno filmato il l agosto scorso sul treno fra Milano e Verona mentre aggredisce verbalmente un altro passeggero: «Nero del ca***, fammi vedere il biglietto, io lo pago, tu no. A voi non lo controllano perché siete colorati». Ma in compenso sappiamo che alla studentessa cui va il merito di aver divulgato l'episodio sui social è stato recapitato l'augurio di venir stuprata da una di "quelle scimmie". Potrei continuare nell'elencazione di episodi simili, tutti riassumibili nella categoria del razzismo spontaneo, tracimato nella calda estate italiana 2019 come una nuova moda balneare, da esibirsi con incarognito compiacimento: finalmente lo si può dire anche noi a voce alta! Dopo che il vocabolario dello scherno razziale ce lo siamo sentiti ripetere mille volte sghignazzando per radio a la Zanzara e dopo che l'ha diffuso dal tetto del Viminale colui che per funzione istituzionale sarebbe chiamato a contrastare l'insulto contro i `vermi africani". Per fortuna questo razzismo spontaneo che prima si diceva sottovoce e ora si può anche urlare, viene ancora sanzionato quando vi sia una denuncia di parte, come nel raso di Chioggia, dove lo stabilimento "vietato ai neri" si è meritato due settimane di chiusura. Ma denunce di questo tipo scarseggiano, in proporzione al numero di episodi che restano impuniti, anche perché quasi mai le vittime osano reagire per via legale. La scoperta che in Italia il razzismo non destava più scandalo risale al tiro a segno contro i neri di Luca Traini, i13 febbraio 2018 a Macerata. Per tutto il mese successivo in televisione prevalse la tesi che la colpa di quella sparatoria era da addebitare a una presenza eccessiva di immigrati nella città marchigiana. L'estate 2018 fu contrassegnata da una sequenza di aggressioni razziste a colpi di scacciacani e fucili a pallini in successione così puntuale da suscitare il dubbio che fossero esercitazioni organizzate, prove tli squadrismo razzista pianificato sul modello del suprematismo bianco che insanguina gli Stati Uniti. Del resto, quando nei comizi si proclama «Non vogliamo più bambini confezionati dall'Africa»,vuol dire che le argomentazioni sono le medesime, come del resto il tono minaccioso vuole lasciar intendere. Questa nostra estate 2019 sembra essere la stagione del razzismo spontaneo; del nostro vicino d'ombrellone divenuto improvvisamente loquace contro gli inaccettabili privilegi e le vaste protezioni di cui godrebbero gli immigrati. Quando attaccano, diventa arduo replicare. Non siamo preparati, una volta certe cose non si potevano mica dire in pubblico. E allora leggiamole testimonianze costernate delle "Mamme per la Pelle" costrette loro malgrado a trasformarsi in avanguardie di resistenza civile. Scrivono lettere toccanti a Matteo Salumi, ma lui naturalmente si guarda bene dal rispondergli. Altrimenti non potrebbe più fare il portavoce degli incarogniti. P.S. In un tale contesto ambientale è una buona notizia che la biglietteria della Juventus, in vista della sfida col Napoli, abbia rapidamente provveduto a cancellare il divieto di vendita ai nati in Campania.

sabato 10 agosto 2019

Riflessione sul tema della fede, oggetto della II Lettura di questa DOMENICA XIX dell’Anno liturgico. Don Pietro


1.   La fede (II lettura) – è cammino e povertà di umane certezze.
·       è collegata, come fondamento, alla Speranza
·       ha come oggetto l’invisibile e l’indimenticabile
·       è titolo di grandezza e gioia profonda per chi l’accoglie.

·       E’ atto secondo: prima c’è l’irruzione di Dio come appello, come chiamata (vedi la storia di  Abramo…)
·       è obbedienza al disegno che Dio rivela nel cuore, cuore, negli   eventi e attraverso i profeti
·       è mettersi in cammino con Dio verso un  “altrove”, un’altra città: quella celeste già quaggiù.
·       si fonda sulla fedeltà di Dio che opera meraviglie per chi crede (vedi la storia di Sara…)
·       non ci fa possedere i beni promessi ma ce li fa solo intravedere e desiderare
·       è tensione di tutto l’essere verso la Patria, il cuore di Dio
·       è esigente: vuole tutto, ma dà tutto.

2.   Le esigenze della sequela, come conseguenza della fede:
·       è liberarsi dalla schiavitù delle cose, per avere il cuore libero per Dio e per il Regno
·       è essere pronti, senza tentennamenti, per seguire il Signore e Maestro che viene all’improvviso
·       il premio per i servi pronti e svegli è entrare nell’amore del Signore (metafora del convito)
·       è vivere l’esistenza come servizio al Signore e al suo Regno.
          La “collera” del Signore per chi rifiuta l’invito:
·       la pena non è abolita
·       consiste, non in una punizione positiva, ma in una privazione di felicità.

venerdì 2 agosto 2019

Riflessione sul messaggio contenuto nel Vangelo della DOMENICA XVIII. Don Pietro

1.     Gesù insinua sospetto verso il denaro.
Per il nostro mondo esso è:
·        il motore invisibile e onnipotente
·        principale oggetto di desiderio
·        sinonimo di felicità
mentre Gesù nutre forte sospetto per il denaro:
·        spesso è conquistato con mezzi disonesti
·        anche se “pulito” spesso è infruttuoso
·        indurisce e possiede il cuore di chi lo possiede
·        degenera da mezzo a fine per vivere
·        può produrre una falsa onnipotenza e autosufficienza.

2.     Il contadino della parabola del Vangelo di questa domenica
·        insegue non la serenità del cuore, frutto della pace con Dio, ma una spensieratezza superficiale ed egoista
·        non pensa a cosa fare della sua vita oltre che darsi ai piaceri
·        non ricorda mai di dover morire. Forse perché è già morto?
·        le sue mani tutte occupate a prendere non sono libere
·        per donare, regalare, abbracciare Dio e i fratelli
anche noi cerchiamo la nostra sicurezza: nel denaro, nel successo, nella giovinezza perenne, nelle proprie capacità, nella stima altrui, negli appoggi sociali, nelle nostre certezze… e non su rapporti veri d’amore.