1. Dolore umano e silenzio di Dio
"Fino a quando, Signore, implorerò e non ascolti, a
te alzerò il grido "violenza" e non soccorri? Perché mi fai vedere le
iniquità e resti spettatore dell'oppressione?" (Abacuc 1,2-3)
Lo
scandalo di Abacuc per il silenzio di Dio dinanzi alle tragedie che si
consumano sulla terra, è anche il nostro scandalo. Come la sua anche l'attuale
fase della storia dell'umanità è segnata da violenze, rapine, iniquità, guerre, terrorismo e Dio sembra
tacere. A migliaia ogni giorno uomini e donne, spesso innocenti, cadono di
vittime della ferocia di altri esseri e
Dio sembra assistere all'eccidio e agli orrori da spettatore muto. Il sangue
sembra scorrere sotto cieli disabitati e muti
2.
La risposta della parola di Dio
È una risposta che non va nel senso delle nostre
aspettative. La giustizia che noi vorremmo è quella umana, che conosciamo molto
bene: la distruzione dei malvagi e la felicità per i giusti. È ovvio che stiamo
bene attenti, prima di invocare l'intervento di questo Dio giustiziere, a
prendere la precauzione di collocarci nella schiera dei giusti. Dio, a noi che lo invochiamo (supposto che in noi c'è
ancora spazio per l'invocazione!) non risponde con la miserabile giustizia che
noi pratichiamo, quando la pratichiamo!, ma con una giustizia superiore, con la
misericordia, mentre a noi chiede la fede e il servizio al Regno
a) misericordia
Dio, dinanzi alle tragedie provocate dalla volontà di
potenza dell'uomo, non resta muto, insensibile e impassibile. Non fa ricorso
alla sua potenza per sterminare l'uomo e annientarlo: ci pensa già l'uomo a
farlo verso gli altri e verso se stesso. Dio risponde rinnovando il suo patto
di impegno con l'uomo. Si fa compagno di dolore dell'uomo, identificandosi con
lui. Più che in Mosè che contrasta la violenza del faraone con altre violenze,
Dio si incarna nella figura del Servo sofferente: come agnello innocente
questi si fa carico non solo del pianto delle vittime, ma anche dell'odio e
della violenza del carnefice. E questo suo farsi carico di dolore e di
malvagità immette nel mondo tanto amore da salvare non solo l'oppresso, ma
anche l’oppressore. Dio ci vuole salvare, dunque, non con la falsa onnipotenza della
forza, ma con la vera, unica, onnipotenza, quella dell'amore
b) fede
E Dio invita e sollecita anche l'uomo ad entrare in
questa logica nuova e risolutrice attraverso la fede: "Il giusto vivrà
per fede". Questa espressione di Abacuc è suscettibile di due
possibili versioni, reciprocamente complementari. La prima: la fede del giusto
intesa come fiducia e come abbandono a Dio. La seconda: fede intesa cime fedeltà di Dio, Dio, cioè, che non delude e non viene meno
alle sue promesse.
Chi,
purtroppo, viene meno ai suoi impegni è l'uomo la cui fede, povera e fragile,
non è all'altezza dei compiti che Dio vuole realizzare con lui. Ma, allora,
perché Dio non viene, non interviene a liberarci dal male e dai mali? Ecco la
risposta della parola di Dio: perché non abbiamo fede. Ne avessimo un granellino, sposteremmo le montagne dei
poteri disumani, delle forze economiche perverse, delle istituzioni corrotte e
oppressive.
La
fede che ci manca è la fede in un Dio che ci ha assicurato che questo mondo di
violenza, di rapine e di oppressione, di disumanità, finirà.
Più
che fede noi abbiamo fatalismo e rassegnazione a causa anche di una falsa
comprensione del peccato originale, della natura umana e delle sue leggi. I
veri nemici della del progetto di Dio, aperto ad una vita degna per ogni uomo,
non sono i malvagi, i terroristi, i prepotenti, sono i rassegnati nei confronti
della malvagità di questo mondo. Rassegnazione che diventa anche complicità.
La
fede che ci manca è quella che dovrebbe avere il suo sigillo di autenticazione
nella persecuzione (Paolo va in carcere per la sua contestazione all'interno
romano idolatrino…).
La
fede che ci manca è quella che ci fa capire come all'impegno solenne di Dio con
noi deve corrispondere, con l'aiuto decisivo della grazia, il nostro impegno
con Dio.
Tutto
dipende da ciascuno delle due parti
c) servizio
Questo nostro impegno diventa servizio nel e per
il regno di Dio. Come servi dobbiamo fare tutto ciò che è nelle nostre
possibilità e poi dichiararci "servi inutili".
Quando,
dopo aver lottato per una società più fraterna
la sperimenteremo più feroce; quando ci saremo spesi per porre termine
alla logica dello sfruttamento e vedremo allargata questa logica, allora,
dinanzi al fallimento, non dobbiamo concludere "non serve a niente
impegnarsi", ma in quanto servi inutili dobbiamo aprirci alla speranza
e non vergognarcene.
La
speranza fondata sulla fedeltà di Dio ci dice che il Giorno del Signore
si manifesterà. Bisogna aspettarlo rimettendone la piena manifestazione alla
sua sapienza e al suo consiglio.
Questo Giorno del Signore non va neppure rinviato ad un futuro
lontano e irraggiungibile. Esso è imminente in ogni attimo, irrompe nel
presente e ci chiede di comprometterci con esso con una fedeltà che ha come
prezzo e destino la persecuzione, come il Servo sofferente sperimenta.