A tutti Gesù contesta l'incoerenza tra l’adesione facile e ipocrita a Dio, a parole, e i comportamenti reali che la smentiscono. Una fede, intende dire Gesù, che non ha riscontro nella prassi, che non si traduce in vita concreta, è falsa ed esclude dal regno.
In verità -pare sottinteso nelle parole di Gesù- anche un'obbedienza recalcitrante, senza gioia, non è proprio il massimo che Dio si attende dagli invitati al regno.
Neppure il secondo figlio è un modello di quella obbedienza gioiosa che deve accompagnare il compimento della volontà paterna. Ma è sempre meglio della falsità di chi dice sì e poi non fa. Insomma, l'ideale sarebbe che sostanza in forma andassero insieme. Però Dio si contenta della sostanza, anche se offertagli con rozzezza e a malincuore, mentre detesta che sotto un vestito di belle parole e propositi non ci sia poi niente, si nascondano, anzi, orecchi da mercante e disprezzo della sua parola.
Come spiegare il comportamento formalmente ineccepibile ma di fatto inosservante del primo figlio (e di quanti per primi sono invitati da Dio al regno)? Il giovane, forse, era un po' superficiale, pensava che nella vigna (nel regno) si va come in gita di piacere, per sdraiarsi e godersi il fresco sotto gli alberi. Invece c'è da faticare, sudare e soffrire. Godersi i frutti e il riposo sono promessi soltanto per dopo.
Può anche darsi che quel giovane (il credente) amasse il quieto vivere e non gli piacesse litigare con il padre. In fondo dire di sì e non fare, che costa? Com'è diverso il profeta Giona, che apertamente si ribella a Dio e non ha alcun timore a dirgli che farà esattamente il contrario di quanto gli è stato ordinato. Sorpresa: Dio non si arrabbia. Mette solo mano ad una pastorale per il ribelle e, alla fine, gli fa fare la propria volontà. Dio detesta la falsità, non l'onesto resistergli.
A parziale discolpa del primo figlio si potrebbe invocare anche uno stato costitutivo di debolezza della sua volontà. In tal caso il sì prontamente detto era sincero. Lui, a lavorare in vigna, voleva andarci sul serio. Ma poi, scoraggiato dagli impegni gravosi che l'attendevano, si è tirato indietro. Se non giustificarlo, possiamo almeno comprenderlo. Non farà così anche Dio con le guide disobbedienti di Israele, vecchio e nuovo? Auguriamocelo.
Al secondo figlio, sulle prime renitente ma poi pentito e presente al lavoro, va riconosciuta l'attenuante della impulsività. I giovani spesso ne sono vittime : contestano per principio, il loro posto è all'opposizione permanente, quello che dicono i padri va sempre respinto, la loro identità la costruiscono contrapponendosi. Ma poi, nel segreto della coscienza, se rientrano in se stessi, se guardano al mondo con un po' di sano realismo..., capiscono che le indicazioni dei padri non sono tutte da buttare o riconducibili a volontà tirannica, a dispotismo autoritario, e si piegano.
Certo, Gesù non è stato tenero con i primi figli (i capi di Israele): niente più regno per loro, sostituiti da prostitute e da pubblici peccatori pentiti. Non si equivoch: peccato e prostituzione non costituiscono benemerenze o titoli da far valere al botteghino del regno. È il pentimento che spalanca le porte; non importa che il comportamento pregresso non sia stato dei più esemplari.
Dietro a un vero pentimento c'è, è naturale, la fede come obbedienza. Perché credere non è semplice assenso intellettuale a Dio, peggio se soltanto verbale, ma "fare la volontà del Padre".
Questa parabola è balsamo per quei genitori (educatori, formatori...) che fra i loro figli dovessero annoverare qualcuno discolo, ribelle, cocciuto e disobbediente. Se, infatti, il padrone della vigna il padre di due figli simboleggia Dio, è confortante rilevare come anche Dio con i suoi figli fallisce al 50%. Si accade a lui... si consolino i genitori, come fa Dio, pensando al figlio che, nonostante un po' di sgarbatezza, alla fine obbedisce alla volontà paterna, e la vigna non resta incolta.
Con i figli bisogna accontentarsi e sperare che alla fine gli giri dritta. Dio fa così.