La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

venerdì 28 giugno 2019

Una riflessione sulla II Lettura di questa DOMENICA XIII, sul tema centrale della Libertà cristiana (e umana). Don Pietro

1. Il cristiano, un uomo libero.
Essere cristiano vuol dire diventare una persona libera, assumere il peso, il rischio e la gioia della libertà.
Il movimento di Gesù ed il cristianesimo apostolico sono stati grandi esperienze di liberazione.
La libertà è parola fortemente evocativa:
si intreccia da sempre con la storia dell’uomo
da innumerevoli uomini è stata preferita alla vita
è da tutti desiderata, ma non  tutti sanno portarne la responsabilità e i difficili doveri che ne discendono.
L’uomo non può vivere senza libertà, ma non sa vivere con la libertà, non la sa conservare e crescere insieme ad essa. L’uomo ama la libertà, ma è inadeguato ad essa. E forse l’uomo, mentre l’ama, ne ha paura. Per questo, forse, di libertà vera ce ne è poca nel nostro mondo. E noi ci chiediamo: dov’è un uomo veramente libero? Dov’è una società libera? Una chiesa libera?

2. Interroghiamo la Parola di Dio.

a) Questa ci dice innanzitutto che la libertà non è qualcosa di scontato, di dato una volta per sempre, ma è qualcosa che ci interpella e verso cui dobbiamo tendere.
La libertà, cioè, è una vocazione, una domanda che mi provoca e interpella.
Dunque, se così è, io non sono automaticamente libero, anche se vivo in una società dove posso comprare molte libertà a buon mercato che, però, proprio per il loro basso prezzo, sono scadenti.
Allora, mentre tutti mi dicono: tu sei libero, la Parola di Dio, più cauta, mi dice: Tu sei chiamato alla libertà, non sei ancora pienamente libero.
la libertà è davanti a te, non ancora in te.
la libertà ti è promessa, non ti è data in eredità
la libertà non è un avere, è un diventare.
Sei chiamato, dunque, alla libertà.
E Chi ti chiama alla libertà? Dio, dice la Bibbia.
Ed anche questo ci sorprende: perché abitualmente Dio è considerato il limite della libertà dell’uomo, non la sorgente.
E, invece, Dio ama la nostra libertà molto più di quanto non l’amiamo noi.
Dio è libero e desidera che aderiamo a Lui come persone libere.
Dio non ci forza alla libertà, ci chiama: il suo non è un comando, ma un appello, un invito, per quanto pressante sia.
Non sembra che questo appello risuoni molto nella comunità ecclesiale dove piuttosto sembra che regni l’appello all’ordine, e dove pare la libertà sia in sospetto e se ne ha paura.
Altrimenti perché si evidenziano tanto frequentemente i rischi alla libertà e quasi mai i suoi benefici?
E’ proprio così pericolosa la libertà?
Si deve aver paura della libertà o della sua mancanza?

b) Ancora la Parola di Dio, attraverso Paolo ci dice: “Badate che la libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne”.
Questa espressione ci esorta a fare spazio e utilizzare concretamente la libertà non solo a lodarla e a rivendicarla, a praticarla e non solo ad esaltarla.
Ma come usare la libertà?
Non in modo da dare spazio alla carne, dice Paolo.
Ora dare spazio alla carne significa togliere spazio alla  croce di Cristo.
Il retto uso della libertà non dà spazio alla carne, ma alla croce di Cristo.
Si pensi, ad esempio, alla comunicazione, sia a quella ecclesiale che a quella interpersonale. Ebbene, molte volte nel dialogo si evita la croce della verità e si preferisce la falsa pace della mezza verità.
Ma tacendo la verità dell’evangelo si attenta anche alla libertà perché è “la verità che vi farà liberi” (Gv 8,32).
Si pensi, anche, all’uso della libertà nel rapporto della Chiesa con le potenze e i potenti del mondo.
Queste e questi non sopportano una Chiesa “libera” nei loro confronti, una Chiesa che profeticamente denuncia le deviazioni e gli abusi nelle concezioni e nelle pratiche del potere.
La Chiesa non sempre sceglie la croce della denuncia profetica, ma è tentata dalla carne dei compromessi e degli accordi mondani.

c) S. Paolo ancora ci dice:
“mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri”.
Paolo, cioè, vuol dirci che il servizio è la più alta realizzazione della libertà e che l’amore è l’humus da cui nasce la libertà.
“al servizio gli uni degli altri”: viene qui espressa la sostanziale reciprocità della libertà cristiana.
La libertà è reale soltanto quando è garantita a tutti ed è uguale per tutti.
Io non sono libero, se tu non lo sei.
Se la mia libertà comporta la tua schiavitù, essa non è legittima.
Se io sono più libero di te, la mia libertà è ambigua e discutibile.
O siamo tutti uguali nella libertà, o non siamo veramente liberi.
Paolo parla del servizio reciproco, del servizio dell’altro come servizio per la sua libertà.
Questo, allora, vuol dire concretamente:
- uomini che non temono la libertà delle donne, ma si mettono al suo servizio
- genitori che non temono la libertà dei figli, ma si mettono al suo servizio
- insegnanti che non temono la libertà degli studenti, ma si mettono al suo servizio
- imprenditori che non temono la libertà dei prestatori d’opera, ma si mettono al suo servizio
- Centri ecclesiali che non temono la libertà delle comunità locali, ma si mettono al suo servizio.
Il servizio più alto che si possa rendere all’altro è mettersi al servizio della sua libertà.
Siamo chiamati a servire la libertà degli altri.
Non godere egoisticamente della propria libertà, ma viverla come servizio da rendere alla libertà altrui.
Ogni uomo è chiamato alla libertà e la libertà è perfetta solo quando nessuno ne rimane escluso.

venerdì 21 giugno 2019

Riflessioni sulla Solennità del CORPUS DOMINI. Don Pietro

Mangiare insieme

1. Il senso antropologico del “mangiare insieme”
il pasto comune stabilisce ed esprime dei legami: tra i commensali
ci si riunisce perché si è già uniti
il cibo è alimento indispensabile per la vita
il nostro nutrimento viene da Dio come la vita
perciò ogni pasto ha un significato sacro e il nostro atteggiamento dev’essere: di gratitudine cioè “eucaristico”
qualcosa muore perché io viva!

2. Il banchetto ebraico era:
accompagnato da benedizioni, a differenza del non credente
legato sempre a un motivo gioioso: ritorno di persona cara, svezzamento; Re, nozze, feste
il segno dell’era messianica con abbondanza di beni.

3. Tutto ciò si compie nella persona di Gesù
è lui il pane disceso dal Cielo che dà la risurrezione e la vita
lui, Risorto, si fa presente spesso in relazione a un pasto
i suoi discepoli continuano i pasti, come facevano con Gesù.

4. A cosa ci impegna l’Eucaristia
rendere presente il Cristo nella nostra vita: siamo ciò che mangiamo
offrirci con Lui al Padre per la salvezza del mondo
condividere con il pane anche la vita.

domenica 16 giugno 2019

PENSIERI SPARSI SULLA SOLENNITA’ DELLA SS. TRINITA’. Don Pietro

1. Dio come “mistero” di Amore
Sembra volgere al termine il lungo esilio della Trinità dalla riflessione di fede e dalla prassi delle comunità credenti.
Sono ormai in tanti, anche nell’Occidente, i cristiani che vanno riscoprendo la Trinità come Origine e come Patria e ritornano così a parlare di Dio raccontando l’amore divino trinitario a partire dalla sua massima manifestazione e svelamento sulla Croce di Cristo.
Là è stata scritta la più grande pagina dell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo;
Lì si narra dell’amore infinito di queste 3 persone tra loro e per il mondo e il racconto vuole comunicare questo amore per renderlo operante anche in tutte le umili storie degli uomini segnate dalla fatica di amare.
2. I tre volti dell’amore
Scrutando in profondità il mistero di Dio noi intravediamo la figura del Padre, cioè, di Chi è:
l’eterna sorgività dell’amore
il principio che dà inizio a tutto
la gratuità pura e assoluta nell’amore che non si arresta neppure di fronte al rifiuto, all’infedeltà e al peccato.
E accanto a Chi eternamente ama c’è Chi è eternamente amato, il Figlio e cioè:
Colui che è la pura accoglienza dell’Amore
Colui che ci insegna che divino non è solo dare amore, ma anche ricevere amore
Colui che con la sua vita ci insegna e ci dà la forza di farci amare da Dio.
Ma oltre all’Amante e all’Amato la fede contempla anche la figura dello Spirito, il Terzo che unisce l’UNO e l’ALTRO nel vincolo di amore eterno e insieme li apre al dono di sé, all’esodo della creazione e della salvezza.
Lo spirito eternamente libera l’Amore dal ripiegamento su di sé, lo irradia e lo rende sempre nuovo.
Ecco, dunque, il Dio di Gesù Cristo:
un eterno reciproco darsi ed accogliersi delle tre persone
un dare incessantemente l’essere e la vita alle creature amandole e assumendole nella propria comunione eterna.
Chi cerca di comprendere la Trinità entro l’orizzonte dell’amore è S. Agostino. Scrive:
“In verità, vedi la Trinità, se vedi l’amore.
Ecco sono tre: l’Amante, l’Amato e l’Amore”.
Il Dio di Gesù Cristo è un solo Dio, ma non un Dio solo: è comunione e dialogo di persone in un flusso infinito e perfetto di amore.
3. Trinità, origine e Patria dell’amore
Tutto ciò che esiste ha origine nella Trinità e ne porta l’impronta.
La struttura d’ogni essere è trinitaria e l’essere più profondo degli esseri è l’amore.
L’uomo, in particolare, è l’immagine dell’amore di Dio, volto dell’amore, è fatto per amore ed è chiamato all’amore.
Nell’uomo chiamato all’esistenza vive la gratuità dell’amore del Padre.
E se l’uomo accoglie il dono di questo amore che lo fa esistere, in esso vive la gratitudine del Figlio che accoglie eternamente l’amore.
Quando, infine, l’uomo si lascia avvolgere dalla vita nuova per mezzo di Cristo nello Spirito, allora è lo Spirito a trionfare.
Avviene così che tutta la vita dell’uomo è segnata dall’amore e dalla Trinità. Questa, la Trinità, è la meta e la patria del cammino dell’uomo: tutto un giorno riposerà in essa, quando l’amore non conoscerà più tramonto e l’esodo dell’uomo e l’avvento di Dio si incontreranno per sempre.
4. La Trinità, modello d’amore per l’uomo
Se l’uomo si lascia amare dal suo Dio, può anch’egli amare come Dio ama il suo prossimo.
Innanzitutto chi ama veramente riconosce l’altro in quanto altro e tende a farsi uno con lui, non sopprimendo la sua alterità, ma offrendogli in dono la propria identità e accogliendo in dono quella dell’altro.
Questo è il gioco dell’amore: offerta e accoglienza, gratuità e gratitudine nella libertà della comunione.
Questo gioco dell’amore non si svolge nell’isolamento di una interiorità sazia e paga di sé.
L’amore esige un tu, il superamento del rapporto io-tu nel noi.
La casa dell’amore è la comunità: in essa vive concretamente la verità dell’amore; in essa l’amore si fa storia.
Nella comunità ognuno dona l’amore, come fa il Padre, e accoglie l’amore come fa il Figlio.
La somma di questi doni e di queste accoglienze diventa comunione sempre aperta per suscitare sempre nuovi doni, accoglienza e Amore.

a) la fatica di amare
L’amore è esigente per il singolo e per la comunità.
Grande è la fatica di amare.
Spesso l’amore vero è insidiato e paralizzato da:
il possesso geloso:
è il porsi al centro e farsi norma e misura di tutto. Manca il dono di sé e l’esodo da sé
l’ingratitudine:
qui non c’è l’accoglienza perché non ci si lascia amare e si blocca l’amore
la cattura lacerante:
qui non c’è l’apertura agli altri, c’è l’illusione di restringere l’amore a due sole persone o a un gruppo. Ma ciò è illusorio.

b) il dialogo
Un’altra dimensione essenziale dell’amore è il dialogo: in esso si concretizza, con parole e gesti, l’essenza profonda dell’amore, il suo gioco di alterità e comunione.
In questo senso il dialogo è l’epifania dell’amore e dell’essere, la casa dove amore ed essere abitano e possono manifestarsi.
Perciò dove non c’è amore non c’è dialogo e dove non c’è dialogo non può esserci amore e, anche perciò, piena umanizzazione.
Data questa rispondenza tra amore e dialogo, le stesse patologie che possono colpire l’amore interessano come rischi anche il dialogo: il possesso geloso, l’ingratitudine, la cattura.
Perciò la fatica di amare è la stessa fatica del dialogo.
E’ possibile dialogare (come amare) solo se un Altro ci ha interpellato per primo in un dialogo d’amore.
Questo dialogo d’amore che ci raggiunge è quello eterno della carità divina in seno alla Trinità.
Il dialogo della Trinità è il fondamento e il modello d’ogni vero dialogo interpersonale ed ecclesiale.
Nel dialogo la Chiesa è veramente “icona della Trinità”, suo riflesso umile e denso.
Nel dialogo la Chiesa verifica anche se è la Chiesa autentica e missionaria, se veramente crede al Vangelo dell’amore e lo sa credibilmente annunciare.

venerdì 7 giugno 2019

Riflessione sulla solennità di Pentecoste. Don Pietro

PENTECOSTE E’ LA SORGENTE DELLA VITA DEL VERO CREDENTE E DELLA COMUNITA’ CRISTIANA

1. Il Grande Dimenticato

Sorprendente è l'operazione culturale condotta felicemente dalla Chiesa nel corso dei secoli relativamente alle Solennità di Natale e di Pasqua che si sono così profondamente radicate nell'animo dei credenti praticanti e non solo. Perché ciò non è avvenuto anche per la festa di Pentecoste, per l'evento da cui nasce la Chiesa e cioè la discesa dello Spirito santo? Eppure lo Spirito santo è il protagonista sia del Natale che della Pasqua.

2. Qualche ipotesi

La dimenticanza, l'oblio dello Spirito santo probabilmente è dovuto alla sua natura misteriosa.
Lo Spirito è comunione invece la modernità presenta un carattere ed un volto egocentrico, che contrasta con il significato centrale dello Spirito.
Forse c'è anche un peccato di omissione della riflessione di fede che e stata una riflessione fortemente intellettuale, e stata poco teologia in ginocchio. La teologia si è limitata quasi esclusivamente a parlare di  Dio, non a Dio, né si è messa in ascolto di Dio

3. Conseguenze nefaste

La più grave conseguenza è l'erramento e lo smarrimento dell'uomo,il suo sprofondamento nella prigione della solitudine, paralizzato dalla paura, a volte preda di vera e propria angoscia e disperazione. Su di lui  incombe il nichilismo, dinanzi a lui si spalanca un vuoto terribile e insopportabile.
L'ostracismo dello Spirito di Dio consegue alla  rivincita del razionalismo. Cioè l’ incapacità da parte dell’uomo di pensare il mistero e, quindi, l'assenza e la mortificazione nella sua esistenza di valori immateriali e spirituali. La marginalità, a volte una vera e propria assenza, dello Spirito ha condotto alla sovrastima dell'aspetto istituzionale della Chiesa e questo ha significato la mortificazione dei carismi,  l’ incapacità  di vivere al suo interno rapporti di comunione e  la sterilità all’esterno del suo compito missionario.
La mancanza dello Spirito ha anche determinato un regresso dell'umanità alla situazione babelica. Domina sovrana  l’incomunicabilità tra le persone, tra i gruppi umani, tra i popoli, tra le religioni. Spesso nei rapporti prevale l'impulso al dominio violento, c'è chiusura e mortificazione delle diversità.

4. Lo Spirito santo

Con la discesa dello Spirito santo  c'è come un nuovo inizio della creazione, dopo il fallimento del primo inizio.
Come il Soffio creatore di Dio evoca le cose dal nulla, trasforma in cosmos il caos, infonde un alito di vita nell'uomo, così il dono dello Spirito è nuova creazione per la terra e per l'uomo.
Il dono dello Spirito, cui segue l'invio dei discepoli nel mondo, pone un elemento di continuità tra la missione di Gesù da parte del Padre e quella della Chiesa nel mondo, perché tutti gli uomini ricevano la pienezza della vita.
Lo Spirito è strettamente necessario, indispensabile, per chi vuole agire come Gesù e in nome di Gesù. Come Gesù fu concepito per opera dello Spirito santo così i discepoli dovranno essere generati dallo Spirito. Senza lo Spirito i discepoli non possono rimettere i peccati. Cioè per combattere e sconfiggere la forza negativa del peccato, della sua nefasta influenza nel mondo, occorre la forza dello Spirito. Come Gesù venne indicato dal Battista come l'Agnello che toglie il peccato del mondo, così la Chiesa va concepita come la casa in cui si rimettono i peccati.
Con lo Spirito santo l'annuncio di Cristo tocca e cambia il cuore dell'uomo. Senza lo Spirito la parola di Dio è morta.
Con lo Spirito i discepoli diventano capaci di parlare le lingue degli ascoltatori. Cioè la parola di Dio detta nello Spirito diventa forza unificatrice che si contrappone vittoriosamente alla logica di divisione, quella di Babele.
Le particolarità non vengono mortificate, ma trascese in una superiore comunione sul modello del mistero trinitario: un solo Dio in tre persone uguali e distinte.
Questo processo di unificazione del mondo inizia dalla Chiesa: in essa deve esserci  diversità di carismi, a uno solo è lo Spirito.; c'è diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore come ci ricorda Paolo nella prima lettera ai Corinzi.

5. Promessa mantenuta

Alla Samaritana Gesù aveva promesso un'acqua dissetante e ristoratrice. Ebbene, quest'acqua è lo Spirito santo con i suoi doni: "a ciascuno è stata data una manifestazione dello Spirito, per l'utilità comune".
I doni non sono concessi per l'affermazione di sé, ma per l’edificazione della Chiesa.
Il bene della comunità è più importante della propria affermazione.
6. Porte aperte
 Le porte chiuse che lo Spirito apre sono:
la consolazione contenuta nelle Scritture che scende con lo Spirito nel cuore di chi soffre.
La forza dei sacramenti e della carità che si incarna nei cuori.
La grazia dell'ascolto profondo  concessa a chi legge la Scrittura.
La via dell'annuncio  che viene aperta dinanzi ai passi degli apostoli.