La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

sabato 29 settembre 2018

RIFLESSIONE PER IL VANGELO DELLA DOMENICA XXVI TEMPO ORDINARIO. Don Pietro

1. Il bene
Il bene non ha etichette né confini.
Il bene non è monopolio esclusivo di alcuni.
Il bene non ha bisogno di distintivi e appartenenze.

2. Lo Spirito del Signore
Lo Spirito del Signore  nessuno può imprigionarlo o dettargli ordini: soffia dove vuole.
Lo Spirito del Signore è dovunque ed è in chiunque compia il bene.
Lo Spirito di Dio libera da ogni forma di chiusura e ghettizzazione.

3. Il vero fedele
Il vero discepolo del Signore è capace di dialogo con tutti. Egli sa riconoscere l'azione di Dio anche "fuori" delle proprie mura e dei recinti sacri.
Egli rifugge da integralisimi e fondamentalisti di ogni sorta.
Egli è veramente "cattolico", cioè universale, aperto al mondo intero.
Egli non ha nemici da vincere e da umiliare. Ha solo fratelli da amare.
Egli non fa opera di proselitismo, testimonia solo la novità incredibile dell'amore di Dio.

4. Evitare lo scandalo
C'è uno scandalo che può provenire dalle proprie azioni e comportamenti: dalle mani, dai piedi, dagli occhi... Questo cattivo esempio occorre evitare. Offende Dio non solo la bestemmia ma una certa di vita o certi comportamenti contrari al Vangelo.

5. Mani scandalose

Sono le mani quando si chiudono al dono, quando le puntiamo per minacciare, quando sono oziose o, al contrario, troppo attive.

6. Piedi scandalosi
Sono quelli che non orientrano i propri passi verso Dio nè verso i fratelli.
Sono quelli che vogliono schiacciare, dominare gli altri.

7. Occhi scandalosi
Sono tali gli occhi distratti, torvi, falsi, ammiccanti, gelidi, ciechi...

sabato 22 settembre 2018

Vangelo della XXV domenica del T.O.. Riflessione di Don Pietro

1. "Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo dì tutti e il servo di tutti”

Quella di Gesù è una logica antitetica  a quella del mondo ove regna l'ambizione: un virus pericolosamente diffuso  che induce chi ne è affetto alla ricerca ad ogni costo del successo. Questo inseguimento, poi, è una molla potente e spregiudicata in molte occasioni.
Secondo questa logica solo i bravi, i grandi, i riusciti, i ben nati avrebbero diritto alla gloria.
Ma Gesù ci chiama fuori da questo gioco atroce delle competizioni.
Egli ci invita ad imitare lui che sceglie l'abbassamento e il servizio, che non ha mai ambito né richiesto titoli nobiliari, gloria, limitandosi e ricercando di essere grande solo nella piccolezza e nel servizio.
In molte occasioni Gesù annuncia che farsi piccoli e servi è la condizione pregiudiziale per entrare nel suo regno.

2. "Chi accoglie uno di questi piccoli nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma Colui che mi ha mandato"

Allora, cosa attira lo sguardo di Dio e la sua predilezione?
Certamente non l'innocenza, la semplicità, il candore, neppure l'ingenuità e l'abbandono, la fiducia tipica del bambino.
Dio sceglie i bambini proprio perché non hanno nulla di interessante per la società. Nel suo tempo, infatti, i bambini erano disprezzati come esseri immaturi, noiosi, capricciosi e incapaci.

3. Perché privilegiare la condizione di infanzia spirituale?

Il bambino, non è ciò che siamo stati.  Per Gesù è ciò che dobbiamo ancora diventare.
I piccoli sono capaci ancora di stupore, sono fiduciosi, sono aperti al nuovo. Il profeta della morte di Dio, Nietzche,  diceva che l'uomo nasce cammello, crescendo diventa leone ma muore  bambino. Ecco la vera metamorfosi dello spirito.
Gesù ci dice che il bambino è come il regno: di vicino, ma di un altro mondo. Come il bambino anche il regno è uno sguardo nuovo sul mondo e nel mondo.
 Il bambino diventa dunque per lui maestro di fede. Occorre partire dalla novità del regno.
Gesù non ci sta invitando a diventare infantili, ma solo a diventare oggi uomini del regno sciogliendo le durezze e recuperando la dracma  che è  in noi: cioè l'immagine di Dio.

venerdì 14 settembre 2018

Riflessione sul Vangelo della DOMENICA XXIV TEMPO ORDINARIO. don Pietro

L’odierno brano evangelico costituisce un po’ il cuore del Vangelo di Marco, Esso, infatti, registra la prima, solenne presa di coscienza e una chiara rivelazione della messianicità di Gesù.
Gesù non è né Giovanni Battista redivivo, né Elia che ritorna.
Egli è il Messia atteso,inviato dal Padre e consacrato dallo Spirito per portare l’attesa salvezza all’uomo e al mondo.

Ma perché Gesù ci tiene tanto a precisare la sua identità e vocazione messianica?
Il problema, di allora e di oggi, non è Cristo sì, Cristo nò. Il problema è quale Cristo e, di riflesso, quale Dio.
La missione che Gesù deve compiere in obbedienza al Padre non è politica. Egli, cioè, non è venuto a porsi alla testa di un esercito per scacciare gli odiato occupanti romani e restituire ad Israele la dignità di popolo libero e indipendente.
La missione di Gesù e eminentemente spirituale, non mondana. Egli viene ad instaurare e inaugurare un rapporto nuovo di comunione tra Dio e l’uomo e tra gli uomini. E questo attraverso un cammino di sofferenza fino alla morte, secondo l’immagine isaiana del Servo sofferente.

Pietro e gli altri discepoli non riescono a comprendere tutto ciò. Proprio come noi…
Essi pensano che bisogna fare tutto il possibile proprio per evitare la via della croce cui fatalmente conduce la scelta dell’obbedienza al Padre e del servizio ai fratelli.
La logica dei Dodici, Pietro in  testa, ha tentato, tenta e continuerà a tentare sempre la Chiesa. La tentazione, cioè, del calcolo politico e di un messianismo umano, trionfalistico e di potere.
Il rimprovero a Pietro è indirizzato, allora, anche a tutti noi, ad ogni livello ecclesiale, dal più alto al più basso…

venerdì 7 settembre 2018

VANGELO DELLA DOMENICA XXIII DEL TEMPO ORDINARIO. Riflessione a cura di Don Pietro

1. Le strane peripezie dell'amore
Un giro tortuoso ed "antieconomico", allo scopo di incontrare e "guarire-salvare" una sola persona. Che era "sordomuta", cioè una persona prigioniera perché impossibilitata  a "comunicare", una persona privata dell'integrità-armonia creazionale

2. Modalità della liberazione del sordomuto
Questi viene chiamato in disparte: Gesù, dunque, detesta il clamore, la pubblicità, i bagni di folla, la teatralità.
Gesù  con le dita lo tocca nelle orecchie, gli bagna la lingua con la saliva , cioè usa  il suo corpo.
Le mani di Gesù sono "potenti" proprio perché sono "impotenti" come lo saranno soprattutto sulla croce.
Gesù usa la saliva: questa secrezione corporale era ritenuta carica di grande "potenza".
Nell'episodio abbiamo un chiaro contatto fisico di Gesù.
Egli non teme questo contatto, anzi sa che attraverso il corpo si può guarire.
Noi purtroppo ignoriamo le immense potenzialità del nostro corpo. Crediamo di più al potere dei medicinali.
Gli orientali sanno invece che in noi c'è una straordinaria carica di energia psico-fisica e spirituale.

3. "Apriti..."
L'esortazione è rivolta a "tutta" la persona.
Una persona ripiegata tutta su se stessa è come affetta da un vero cancro.
Dal deficit di comunicazione infatti derivano molte le nevrosi, stati depressivi, angosce.
Il "sacro" da solo non può "guarire".
Perché esso non è un vero evento linguistico e quindi neppure comunicativo.
Il sordo-mutisimo dei nostri tempi è riconducibile allo scarso o nullo ascolto della Parola di Dio o, anche, all’inflazione e saturazione di troppe parole inutili, spesso nient'altro che chiacchiere vane.

4. "Ha fatto bene ogni cosa"
Questo giudizio sulla bontà delle opere compiute da Gesù richiama e rinvia ad un'altra valutazione positiva: quella che Dio spesso fa della creazione appena uscita dalle sue mani.  Nella prima pagina della Genesi, dopo ogni opera creata Dio è detto  che era buona e financo molto buona. Con Gesù la creazione conosce  un nuovo inizio all'insegna della bontà e di un nuovo apprezzamento positivo da parte del Padre.