La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

venerdì 22 marzo 2019

RIFLESSIONE PER LA III DI QUARESIMA. Don Pietro

QUALE DIO?

1. Sono in molti oggi a ritenere che solo un “dio” possa salvarci e perciò si rivolgono alla fede.
Questo “dio che salva tutti” evidentemente non può essere quello offerto finora, se  chiedono ancora salvezza.
Questo “dio” non può che essere “il Dio di Gesù Cristo”, il Dio che si è incarnato, si è fatto compagno di strada di ogni uomo, ha assunto la condizione di servo, si è fatto debole ed è morto in croce.
Un Dio che non ci salva miracolisticamente dalle nostre sofferenze, ma che cammina insieme a tutti i curvati della storia per rendere liberante e feconda di vita la sofferenza e la croce degli uomini.
Un Dio sensibile al gemito del suo popolo.

2. Un Dio che libera, impegnato nella storia.
I tratti del volto di questo Dio non siamo noi a delinearli, ma Lui stesso ce li manifesta nel suo movimento di auto-comunicazione di sé all’uomo per amore.
A questo Dio, perciò, non arriviamo sulla scala dei nostri ragionamenti o sillogismi, né possiamo parlarne con parole umane, ma solo perché Lui si è manifestato a noi.
Mosè era un pastore, non un cercatore di Dio. E Dio gli si mostra nel roveto ardente. E gli si mostra come un Dio che vuole impegnarsi nella storia dell’uomo, dell’uomo che combatte per Lui in Abramo, dell’uomo che combatte col proprio padre in Isacco, dell’uomo che combatte con i fratelli in Giacobbe, dell’uomo che combatte con il potere oppressivo in Mosè.
Questo – e non solo la sua trascendenza e santità – è il tratto con cui Dio si manifesta e vuole che gli uomini lo ricordino.
Un “Dio che libera” e non come un suo attributo accessorio e marginale, bensì come attributo qualificante.
Il Dio che nominiamo è il Dio che prende posizione contro coloro che fanno soffrire il popolo, non il Dio dei filosofi, della razionalità, o il Dio che è a sostegno dei troni dei potenti.
Questa è la primordiale epifania di Dio.

3. Un Dio che giudica e condanna chi lo delude.
Questo Dio si manifesta come giudizio di condanna verso chi lo delude nelle sue aspettative, come è chiaro nell’episodio evangelico del fico sterile.
Ora è certo che se noi guardiamo, senza sospette acrobazie apologetiche, a cosa ha prodotto l’albero che si rifà a Dio, l’albero piantato dal divino Agricoltore, dobbiamo riconoscere che i frutti buoni sono ben pochi.
Non sempre il nostro Dio è stato il Dio della liberazione. Anzi spesse volte il nostro Dio è andato ad abitare con i Faraoni, è diventato il Dio di corte mentre nel deserto il popolo è rimasto abbandonato a se stesso.
Perciò molti hanno abbandonato questo Dio: i suoi uomini lo avevano collocato sul versante degli oppressori.

4. Sotto la nube, ma non nella terra promessa.
Può accadere che noi crediamo tutti in Dio, ma non arriviamo tutti alla terra promessa, la liberazione.
Non ci arrivano quanti rimpiangono la schiavitù, quanti non vogliono liberarsi della schiavitù.
Perché la schiavitù offre indubbi vantaggi alla nostra pigrizia e al nostro immobilismo.
Non tutti sognano o cercano la terra promessa, una condizione congrua alla dignità dell’uomo.
Se la sogniamo essa non può che essere la terra della pace, senza armi, anche se noi non la vedremo. Ma questo non ci esonera dal cercarla.
Non può che essere una terra senza sperequazioni sociali, anche se questo significa una terra con minore (falsa) tranquillità.

5. Un Dio che dilaziona la condanna.
Per non aver testimoniato questo Dio siamo tutti dentro il male e il male è dentro di noi.
Non solo per il peccato originale, ma per le nostre responsabilità storiche.
Ma, ecco un tratto sorprendente del Dio della Rivelazione: questo Dio rinvia, dilazione l’esecuzione della pena di morte, dopo il giudizio di condanna su di noi. Deciderà dell’esecuzione della condanna di morte il fatto che porteremo o meno frutti.
Più che Dio saranno le nostre opere a giudicarci e a condannarci.
“Le vostre opere vi giudicheranno”. Se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo.
Oggi le nostre opere di morte hanno ricadute planetarie e decisive per le generazioni future.
I frutti che Dio si attende da noi sono
la ricerca della pace e della fraternità
quindi la condanna dell’uomo che fa soffrire l’uomo e di ogni potere oppressivo
la condanna della fiducia cieca nell’aumento del benessere, nella diffusione del consumo, dell’inerzia di fronte alla morte per fame di milioni di innocenti.
La professione della nostra fede non ci trasferisce nell’intimità psicologica, né nella trascendenza metafisica, ma ci butta in pieno nel cuore delle contraddizioni.
Il Dio in cui crediamo è il Dio dell’annichilimento, della Kenosis.
Un Dio che non troviamo più nei cieli ma negli ultimi, nei poveri, negli umiliati con cui si identifica.
A partire da questa immagine di un Dio debole, pieno di simpatia e misericordia per l’uomo, di un Dio che in Cristo ci insegna che la felicità non è nel possesso delle persone e delle cose, ma che c’è felicità più piena ancora nel dono, nella condivisione, nell’accettazione cordiale del diverso, nella comunione con Dio, nel servizio più che nel dominio.
A partire da questa immagine di Dio dobbiamo impegnarci a costruire una nuova immagine di mondo e di uomo. 

venerdì 15 marzo 2019

Lettura del Vangelo della Seconda Domenica del tempo di QUARESIMA. Don Pietro

1. “Dio è luce, e coloro che Egli rende degni di vederlo, lo vedono come luce. Coloro che non hanno visto questa luce, non hanno visto Dio, perché Dio è luce”.
                                                                                (s. Simeone, il Nuovo Teologo)

E’ proprio l’esperienza di Pietro, Giacomo e Giovanni sul Tabor, otto giorni dopo la rivelazione dell’imminente passione e morte.

1. “E mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante”.
la luce rivelata ai tre è lo splendore divino, la “Gloria”
i discepoli hanno goduto di una visione di Dio
la luce esprime insieme la trascendenza e l’immanenza di Dio.

2. Nella Trasfigurazione si manifesta la Trinità.
il Padre come voce
lo Spirito come nube
il Figlio come luce che trasfigura i discepoli.

3.  La trasfigurazione accade otto giorni dopo l’annuncio della passione che produce:
sgomento dei discepoli: sono disposti alla sofferenza fino alla morte?
Pietro cerca di distogliere Gesù dalla strada di Dio. E si becca un sonoro  “Satana”.

4. Gesù porta i tre discepoli a pregare di fronte al mistero.
Ogni vera trasfigurazione germoglia dalla preghiera.

5. Noi siamo invitati a:
a. salire la montagna insieme con Gesù
b. pregare perché Dio illumini l’oscurità dei nostri cammini
c. scendere dalla montagna e riprendere la via di Gerusalemme senza paure e angosce, ascoltando sempre Gesù.

6. Il centro della fede è la passione, morte e risurrezione del Signore. Da intendere:
a. non come prezzo da pagare a un Dio sadico ma come dono d’amore per la vita degli altri
b. Gesù ci ha preceduto su questa strada: perché nessuno abbandonato si sentisse solo nella prova
c. Egli anticipa per noi la vittoria della Vita sulla morte.

domenica 10 marzo 2019

Brani della Prima Domenica di QUARESIMA – ANNO C. Riflessione di don Pietro

Occorre partire dall’uomo pasquale capace di: credere e di amare.

I Lettura: Dio libera il suo popolo.
Dio risponde al grido degli ebrei: miseri, poveri, umiliati.
Questo “credo” veniva recitato ogni anno, offrendo le primizie della terra loro benevolmente concessa.
I frutti della terra sono dono di Dio che:
con potenza libera dalla schiavitù
con amore dona la terra unitamente aii suoi beni
Il vero credente è colui che:
si apre al ringraziamento
all’umiltà: l’uomo può solo gridare
alla fiducia nella volontà di bene di Dio
alla fedeltà, non dubitando di Dio.

II. Il Vangelo: le tentazioni.
Proprio per la fede, Gesù è forte e vince le tentazioni.
La fede di Gesù si presenta nelle tentazioni in vari articoli.
I° articolo:
solo Dio merita di essere adorato
tutto e tutti sono a Lui sottomessi
nessun potere o potenza è veramente temibile perché chi è con Dio è garantito da ogni pericolo
nessun potere è desiderabile: Dio si prende cura.
II° articolo della fede di Gesù:
Dio è fedele per sempre alle promesse
non servono altre prove della fedeltà di Dio:
basta l’Esodo e, ancor più, la Croce
Dio non è una divinità pagana da sfidare.
III° articolo della fede di Gesù:
chi ha trovato Dio è nella vita vera, anche se, a volte, si ritrova privo di pane.

Le nostre tentazioni oggi sono:
il possesso
il potere-successo
il volere Dio a nostro servizio, farlo a nostra immagine.

Come vincere queste tentazioni?
Con la Parola, la Preghiera, il Digiuno. Come Gesù, cioè.

sabato 2 marzo 2019

LA SCELTA DI FEDE CI IMPEGNA AD UNA CONTINUA CONVERSIONE. Riflessione al Vangelo della Domenica, Don Pietro

Il brano evangelico conclude il "discorso della pianura", che l'evan-gelista Luca propone in una versione che in parte si ispira a Matteo (ricor-diamo il suo "discorso della monta¬gna", racchiuso nei capitoli 5-7) e in parte attinge a fonti proprie (ciò spie¬ga alcune diversità con Matteo e alcu¬ni adattamenti alle particolari esigen¬ze dei destinatari del suo vangelo, provenienti dal paganesimo).

Sia in Matteo sia in Luca questo "discorso" di Gesù è presentato co¬me il programma di vita del cristiano e della sua comunità. È importante al¬lora che quanti sono preposti alla gui¬da della comunità assimilino questo programma e lo rendano vita della lo¬ro vita, per non rischiare di sviare le persone affidate alla loro guida (è il si¬gnificato della parabola del cieco che pretende di guidare un altro cieco). Costoro, inoltre, devono avere la con¬ sapevolezza di essere a loro volta di¬scepoli di Gesù e di guidare la comuni¬tà come la guida lui (è il significato del detto: “Il discepolo non è da più del maestro»). Il discepolo di Gesù, poi, deve sapersi mantenere in un conti¬nuo atteggiamento di conversione e di rinnovamento interiore, anziché er¬gersi a censore dei fratelli (come per quattro volte in questo testo Luca chiama i cristiani) e delle loro debolez¬ze (è il significato dell'immagine para¬dossale della trave nell'occhio e della pagliuzza). Per questo è importante il richiamo a curare la propria interiori¬tà, che anche Luca - come tutta la Bibbia - ama esprimere con il termi-ne "cuore". Con questo termine la Bibbia vuole indicare la personalità profonda dell'uomo, la fonte ultima di tutti i pensieri, i gesti, le parole del-l'uomo, la radice del suo essere e del suo agire («L'uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore»).
Sempre nella Bibbia, l'immagine usata di frequente per indicare i frutti dell'agire dell'uomo è quella dell'albe¬ro (vedi Salmo 1; Isaia 5,1-7). Anche Luca la usa per indicare lo stretto le¬game che intercorre tra il cuore del¬l'uomo e il suo agire, legame simile a quello della radice che alimenta l'albe¬ro buono che produce frutti buoni. La contrapposizione tra "fichi dalle spine" e "uva dai rovi" si comprende se si tiene presente che in Palestina i cardi (o spine) producono frutti che sembrano simili ai fichi e il rovo pro¬duce frutti simili a grappoli d'uva.