La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

sabato 31 marzo 2018

DOMENICA DI PASQUA: VICTORY DAY

Canta con me, fratello: Cristo è risorto, Alleluia.
A tutti gli uomini gridiamo insieme e con forza: Cristo è veramente risorto. E’ il Vivente, per sempre. Alleluia, Alleluia!
Con la Resurrezione la vita celebra il suo trionfo definitivo sulla morte e sulle forze del male.
La vittoria del Cristo è l’evento prodigioso che anticipa ed annuncia quello che sarà il destino ultimo della vicenda umana e di tutto il creato.
La morte non potrà mai avere alcun potere su una vita tutta consegnata, come quella del Cristo, all’obbedienza incondizionata al disegno di salvezza del Padre e generosamente immolata nel servizio di amore ai fratelli.
Risorgendo da morte, Cristo ha aperto per ogni uomo il varco verso la terra della vera vita e tutti sospinge ormai, con la forza del suo Spirito, verso il futuro del Regno di Dio.
Nell’attesa, colma di speranza, dell’irruzione del Giorno finale della piena Vittoria di Dio, è compito della nostra operosità, animata e sostenuta dalla Grazia, far avanzare ogni giorno la frontiera della Vita nuova.
Quando ti lasci dolcemente catturare dalla tenerezza del Dio Vivente e ti immergi in Lui, Sorgente di acqua viva, la luce che illumina i tuoi occhi è un riflesso della Gloria del Risorto e il sorriso del cuore è umiliazione della morte.
Quando il tuo cuore si apre ad un altro cuore nel dono dell’amore, nell’accoglienza, nella comprensione e nel perdono, la Vita vince, Cristo avanza e la sua Resurrezione continua, incessante, a rinnovare la terra.
Quando la tua esistenza personale e sociale si schiude a rapporti giusti e fraterni con i compagni di strada che Dio ti ha donato, è una pietra del sepolcro che ogni volta è ribaltata e Cristo abita ancora tra noi.
Quando lotti e soffri per difendere ogni oppresso, ogni vittima dell’ingiustizia e della sete di dominio di uomini non ancora liberati dal Risorto, tu continui la Pasqua, che è riaffermazione dell’unica Signoria di Dio sul mondo.
Guarda, fratello, sorella, i germi di vita, di pace, di giustizia, di fratellanza che il Risorto fa spuntare qua e là nell’amara aridità del deserto che ci circonda e ci portiamo dentro: sono i miracoli della Pasqua che continua, le meraviglie di una terra attraversata da un fremito di Vita nuova.
Se saprai individuarli, proteggerli e fecondarli con l’amore che il Cristo ti dona, la tua Pasqua sarà autentica e vera, ogni giorno.
Allora potrai anche cantare e danzare. Nella luce gioiosa del Risorto e nella festa senza fine che Lui, il Vivente, vincendo la morte, ha portato nel cuore del Mondo.

Amici, a voi tutti, ai vostri cari, alla Chiesa, al Mondo, a me stesso l’augurio per questa Pasqua 2018

1. Sarà vera "Pasqua" quando ci impegneremo:
ad abbattere confini e muri tra gli uomini e popoli,
ad ascoltare i sogni dei bambini e a crederci
a trasformare le fabbriche di armi in forni di pane

Sarà vera' "Pasqua" quando:
le donne insegneranno ai maschi a partorire sentimenti di tenerezza,
nelle nostre città non ci saranno più file di stranieri davanti alle questure
se sapremo, in ogni notte nostra, del mondo, della Chiesa, attendere l'alba, certi che Egli, il Vivente, verrà e non tarderà
se saremo certi che il Cristo risorto libererà nel vento dello Spirito le mille risurrezioni dell'uomo

2. "Andate a dire:... "E' risuscitato dai morti e ora vi precede in Galilea. Là lo vedrete" (Mt 28,7)
Lo vedremo se sapremo spezzare le mille corazze che ci tengono prigionieri: l'orgoglio, l'egoismo, la vanità, il razzismo, il      fatalismo, la disperazione, l'angoscia, la violenza
Lo vedremo quando scoperchieremo le tombe in cui abbiamo rinchiuso gli ultimi, gli abbandonati, gli emarginati, gli esclusi, i maltrattati e diremo loro: venite; sedetevi a tavola con noi, mangiate il pane con noi, bevete il nostro vino, danzate con noi, abbracciamoci tutti: bambini e anziani, giovani e vecchi
Lo vedremo quando nessuno più affogherà nel precariato, nella disoccupazione o nel cimitero liquido del Mediterraneo, quando non chiameremo più nessuno "extracomunitario"
Lo vedremo quando pianteremo ancora alberi, quando libereremo ogni acqua da chi vuol farsene padrone e dai liquami tossici, l'aria dai miasmi mefitici, l'energia dalle radiazioni mortifere e i bambini potranno giocare su prati puliti e correre per boschi verdi. Allora potremo dire all'angelo: "Ora sappiamo che Egli è veramente risorto ed è vivo"
3.  Fare Pasqua per una comunità cristiana è costruirsi sul modello del Crocifisso-Risorto.
         Accade quando non pretendiamo di possedere Dio, ma  cerchiamo il suo Volto dentro la vita di tutti i giorni.
            Accade quando accettiamo umilmente i nostri limiti e sappiamo aprirci allo stupore dell'incontro, quando non         chiudiamo il cuore al dolore dei fratelli, quando le nostre preghiere a Dio si trasformano in denunce contro tutto ciò che umilia l'uomo.
        Accade quando la Domenica possiamo cantare il nostro grazie a Dio che, anche attraverso noi, si prende cura di   tutti, quando per amore sapremo essere pronti anche a dare la vita. Solo in quel giorno, che però dobbiamo preparare, potremo degnamente celebrare la Risurrezione di Gesù e intonare a squarciagola l'Alleluia. E danzare. E indossare il vestito della festa. E riempire le piazze con canti di gioia, con girotondi di bimbi a rompere il grigiore di mille banche ed uffici. E' la vita che torna a sorridere, è la morte umiliata e sconfitta per sempre, è la terra che si sveglia dal lungo letargo e fiorisce.
               Accade quando  io, tu, tutti, continuiamo a cercare, a sognare e ad amare. Perché la Pasqua di Cristo sono io, sei Tu,    chiunque proclami che Egli è risorto e ha vinto la morte.
              Accade quando senti stanchi i tuoi piedi e, triste, pensi a un viaggio finito. Allora aspetta: il Risorto si fa tuo compagno di strada e cammina con te nella sera.
          Accade quando, come la Maddalena, piangi il tuo dolce Maestro scomparso, allora aspetta: la sua voce ti chiamerà per nome come accadde a lei. Vedrai: l'Amore risveglierà il tuo amore.
        Accade quando,deluso e incredulo come Tommaso, cercherai le prove del Dio vivente, aspetta: Egli ti mostrerà le mani e i suoi piedi feriti. E’ la prova dell' amore per te, un amore spinto fino a morirne.. E vedrai: saranno mani, piedi e costato, splendenti di luce. E allora anche tu davanti a un sepolcro vuoto diventerai cantore di gioia. E un grido di giubilo invaderà la terra: davvero il Signore è risorto!
Auguri!  
d. Pietro

domenica 25 marzo 2018

Una breve presentazione del Mistero pasquale che vivremo nella prossima settimana. Don Pietro

LA PASQUA

“Quando le ragioni della vita ebbero vittoria definitiva su quelle della morte”

La Pasqua è un’ esperienza forte per tutti coloro che, avendo fatte con Cristo il viaggio della Quaresima come possibilità per l’uomo di maturare, ora si trovano con lui all’ultimo appuntamento, al duello decisivo, quando le ragioni della vita segnano la vittoria definitiva su quelle della morte.ci troviamo coinvolti non con idee, ma con fatti semplici e sconvolgenti.

1. LA DOMENICA DELLE PALME
Gesù entra a Gerusalemme come Re ed è accolto dalla folla plaudente che gli tributa omaggi e inneggia a Lui riconoscendolo come il Signore.chiari e trasparenti sono però i segni di una regalità altra rispetto a quelle mondane. Gesù è Re di pace. Cavalca un mite asinello e non  è circondato da armi e strumenti di distruzione e di morte. Non  i potenti lo accolgono, bensì i piccoli, gli umili, i poveri. Il suo trono non sarà di marmi pregiati. Regnerà dalla Croce. Sul capo non avrà un diadema tempestato dio pietre preziose, bensì una corona di spine.
L’odierna festività è colmata di letizia, di festa, di onore e di gloria per Gesù. Però già la Passione e Morte del Giusto proiettano la loro gelida ombra… Ecco la ragione per cui nella liturgia di questo giorno si proclama il Passio, il Vangelo della passione.

2. IL GIOVEDI’ SANTO
Cristo fa la Cena di addio, come ricordo permanente del suo amore per l’uomo. Ogni vita ha bisogno di alimento. La prima fame e sete di vita è quella di avere “ragione di vita”, verità, certezza, significati alti e, quindi, valori degni. Nell’Eucaristia di Cristo troviamo la verità stessa di Cristo, fatta di pane e di vita. Attraverso le grandi e sconvolgenti esperienze liturgiche del Giovedì Santo, Cristo dona se stesso come pane della verità per la vita del Mondo.

3. IL VENERDI’ SANTO
Cristo viene  brutalmente assassinato, sepolto, sigillato. L’innocente è sacrificato per l’uomo. La vita non  si ha veramente se uno non la conquista di persona, accettando con coraggio il prezzo del sacrificio di sé. Nella Passione del Cristo noi ritroviamo la sorgente della vita nuova. “Se il chicco di grano muore produce molto frutto”.

4. DOMENICA DI PASQUA
“Perché cercate tra i morti Colui che è vivente?”. È il momento in cui nella storia è stata operata una colossale operazione algebrica, è cambiato il valore all’esistenza dell’uomo: dal segno negativo di morte, che è pessimismo disfattista, paura del futuro, ricerca egoistica di sé, al segno positivo di vita, fiducia e speranza, apertura all’”ALTRO” e agli altri.
Vivere la vita significa camminate per una lunga strada, orientati dalla verità e stimolati dal coraggio del sacrificio. Cristo risorge dalla morte per annunciare al mondo la vittoria definitiva della nuova vita. Dalla Risurrezione del Cristo prorompe un’incontenibile forza e il bisogno di gridare a tutti: “e ora correte in tutta fretta e dite che è risorto dai morti”. Il Cristo risorto Dio dice sì alla vita, alla gioia di vivere per ogni uomo. La Pasqua diventa la muova legge universale, il passaggio dalla morte alla vita che circonda come gigantesco abbraccio tutto il cosmo e tutti i secoli. Nella vita dell’uomo nulla vi è di irreparabile, perché l’amore di Dio è irrevocabile. Se Cristo supera la frontiera invalicabile, la morte, la disperazione e il no senso, non vi è più alcun limite alla sua potenza di modificare le situazioni più impensate. È stupido notare come tutti i racconti della risurrezione siano punteggiati di : “non abbiate paura, coraggio, perché temete?”. La Pasqua deve farci fare questa scoperta: la vita ha un futuro e un futuro migliore dell’ oggi. Cristo risorto è sempre davanti a noi per dirci: “non temete, io sono con voi, coraggio, io ho vinto il mondo, piccolo gregge, nessuna paura!”. Vivere Cristo risorto vuol dire trovarsi di fronte alla “novità” permanete della vita. “Ecco io faccio tutto nuovo”. Cristo ci invita all’avventura della vita, a nuovi orizzonti, nuovi gusti. Basta frequentarlo nella Bibbia, nel servizio, nei sacramenti, nei suoi amici. Dove c’è crescita dei giovani nella partecipazione, nella cultura, nello sport, nel lavoro… ivi opera il Risorto.dove c’è ricerca del nuovo e del meglio, ivi opera il Risorto. Dove c’è il passaggio dal disumano all’umano, ivi opera il Risorto. Dove c’è il passaggio dalla paura alla speranza, ivi opera il Risorto. Dove c’è il passaggio dalla tristezza alla gioia, ivi opera il Risorto.
Martin Luter King, profeta indimenticabile del Cristo vivente, soleva dire ai giovani sfiduciati: “Se la paura bussa alla tua porta, ad aprire manda la tua fede. Vedrai che fuori non c’è nessuno!”. La paura che paralizza i giovani d’oggi è lo scoraggiamento, il cruccio, il rimorso, il male, il ricordo di una esperienza di dolore e di tristezza, il ripiegamento su se stessi. La fede che bisogno mandare fuori ad aprire è la certezza che il Padre ci ama, che Cristo è proprio qui per risollevarci, che le ragioni della vita nuova sono superiori a quelle della morte e della disperazione, che i poveri aspettano il tuo sorriso e il tuo aiuto, per credere anche loro alla vita.
Questa fede può distruggere ogni paura!

giovedì 22 marzo 2018

LA RIVOLUZIONE IMMOBILE. I Primi cinque anni di Papa Francesco

Il 13 marzo papa Francesco ha compiuto cinque anni di pontificato. In questo primo lustro, in molti, in Italia, lo hanno definito un rivoluzionario, interessato a cambiare radicalmente la Chiesa. È davvero cosi? Nel suo nuovo saggio La Chiesa immobile. Francesco e la rivoluzione mancata (Laterza), il sociologo Marco Marzano risponde alla domanda sin dal titolo ragionando sui motivi del fallimento. Le osservazioni di Marzano
mettono a confronto gli annunci e i risultati ottenuti da Bergoglio in relazione ai brandi nodi che qualunque cattolico riformatore deve affrontare e sciogliere per potersi dire tale: la riforma della Curia,(su cui "cadde" nel 2013 Benedetto XVI), la dottrina morale, la sessualità, il celibato obbligatorio per il clero e il ruolo delle donne nella Chiesa. Il bilancio del papato su tutti questi fronti è ad oggi decisamente deludente, e dei resto, conviene Marzano, riformare la Chiesa è rischioso (ne sa qualcosa il papa emerito) e complicato. Specie nel Vecchio continente, dove il processo di secolarizzazione avanza molto più velocemente dell'ammodernamento ecclesiastico - o presunto tale - anche nei Paesi a più forte tradizione cattolica (Irlanda, Spagna, Italia).
E poco spostano, scrive il sociologo «alcune innovazioni del pontificato che sostituiscono le riforme di struttura: essenzialmente l'attenzione ai temi economici e sociali e "la politica dell'amicizia"» con le altre religioni monoteiste. In questa situazione di immobilismo pressoché totale, osserva Marzano, chi paradossalmente casca in piedi è il protagonista del fallimento. Perché persiste il «mito del papa buono e giusto circondato da una corte malvagia che trama contro di lui e ne sabota i tanti magnifici progetti di riforma». Un mito più che mai vivo nella Chiesa di Francesco». Come è possibile? «Con la sua capacità di occupare la scena, di le masse - afferma Marzano - il papa argentino fa prendere alla Chiesa due piccioni con una fava: da un lato aumenta immensamente la sua popolarità, dà smalto alla sua immagine, cattura l'attenzione delle opinioni pubbli¬che di tutto il mondo: dall'altro, non solo fa scomparire del tutto dal dibattito pubblico il tema della secolarizzazione e della sempre minor rilevanza del cristianesimo, ma oscura, quasi fosse una cosa irrilevante, l'esistenza e il funzionamento dell'organismo che dirige, della macchina ecclesiastica, cioè delle prassi politiche religiose, culturali e normative nelle quali è immerso quel rezzo milioni di preti che non si chiamano papa Francesco,,.
Questo, osserva in conclusione Marzano, «lungi dal rappresentare un problema per l'apparato ecclesiale, diventa la premessa perché esso continui a riprodursi senza eccessive interferenze esterne». Un'analisi che, specie pensando al nostro Paese (all'atteggiamento acritico dei media e alle nostre istituzioni), mi sento di condividere e di proporvi come spunto di riflessione in attesa di vedere cosa accadrà nel prossimo lustro Bergoglio. (articolo a cura di F. Tulli)

venerdì 16 marzo 2018

lettura della Parola della DOMENICA V DI QUARESIMA. Don Pietro

1. “Signore, vogliamo vedere Gesù” chiedono dei Greci  e non a caso a Filippo. Gesù, informato, risponde che si offrirà alla loro vista nell’ora, ormai imminente, della Croce, un’ora di turbamento grave, un’ora di pesante sconfitta umana che il Padre, però, trasformerà in ora di gloria per il figlio, di salvezza per tutti gli omini, suoi fratelli, e di giudizio e condanna per le potenze del male.

2. La  nostra riflessione si concentrerà sul tema presente, anche se in modo obliquo, nel brano evangelico, del dolore e la questione di Dio. Cosa è successo davvero nella passione di Cristo? Quale esperienza di Dio ha fatto Cristo sulla Croce? Al centro della fede cristiana sta una storia di passione nel duplice senso di storia di un amore appassionato e di storia di un’agonia mortale.

Storia di un amore appassionato, perché vivere un amore senza passione è povera cosa. Un’esistenza che non sia disposta a soffrire per un ideale è cosa ben misera. Un momento alto di questa sofferenza-passione il Cristo lo vive quando fa l’esperienza amarissima del sentirsi abbandonato non solo dagli amici, ma dal Padre stesso nel Getsemani e sulla Croce. Lì Gesù ha vissuto la “notte oscura dell’anima” e ha conosciuto “le tenebre di Dio”; ha combattuto la sua “lotta con Dio” e ha sopportato il terribile e insopportabile silenzio di Dio, un Dio nel quale pure aveva riposta tutta la sua speranza e per il quale pende dalla Croce. Un’esperienza terribile ed oscura che è poi quella di tante persone straziate nel corpo e nello spirito. Questo silenzio e abbandono di Dio verso suo Figlio non ha altra spiegazione che l’amore di Dio per noi. In quell’abbandono Gesù diventava fratello di tutti gli abbandonati della terra, di tutti i senza Dio per portali con sé a Dio. Ma è accettabile un Dio che abbandona suo figlio? Non è crudele, questo Dio che sacrifica suo Figlio, anche se per la nostra salvezza? No, risponde Paolo, perché nella Croce anche il Padre soffre per l’abbandono del figlio prediletto. Padre e Figlio soffrono entrambi: Cristo l’agonia, il Padre la morte del Figlio. La passione di Cristo è anche passione di Dio. Come Dio è con suo figlio Israele sia quando esso va in esilio sia quando esso ritorna, così Dio è con Cristo quando Egli soffre. Dove va Cristo, il Padre va con lui. Nell’abbandono di Cristo, Dio abbandona se stesso, abbandona il suo cielo ed è presente in Cristo per diventare il Dio e Padre degli abbandonati. Alla domanda perché  il Padre ha abbandonato il figlio si può rispondere solo dicendo “dove” era il Padre nell’ora dell’abbandono? Era con Cristo che soffriva. Dio è in mezzo a noi nelle sofferenze e nei dolori. Ma è anche in mezzo a noi per rappresentarci nella nostra colpa e liberarci dal suo peso.

A) SOLIDARIETA’

Se Dio va dove va Cristo  e Cristo si identifica con gli uomini che subiscono umiliazioni e alienazioni, allora Dio stesso partecipa alle nostre sofferenze e si carica dei nostri dolori. Nei crocifissi della storia è presente il Dio crocifisso e  soffre con noi. Nel volto dei poveri e oppressi del mondo c’è il volto deformato di Dio. Può aiutare l’uomo che soffre solo il Dio che soffre. Dio ci aiuta innanzi tutto com-patendo con noi. “Anche nell’inferno tu sei!”, ha scritto Bonhoeffer nella sua cella dal carcere.

B) RAPPRESENTANZA SALVIFICA

Dio, inoltre, non soffre solo insieme a noi, solidale con noi. Dio soffre “per noi”, in nostra vece, espia le nostre colpe. Per la remissione “piena” di una colpa, non basta il perdono della vittima, occorre l’espiazione della colpa. Dio, in Cristo, tramuta la colpa dell’uomo in propria sofferenza, portandola su di sé. Dio in Cristo porta e le sofferenze della vittima e le colpe dei malvagi. Dio vittima tra le vittime, attesta a nome delle vittime la riconciliazione dei colpevoli.

3. Dio può soffrire? Per una lunga stagione pesantemente dominata dalla concezione greca della    divinità (sostanza divina immutabile e immobile) Dio non poteva soffrire. Vigeva l’assioma dell’apatia. Oggi voci sempre meno rare parlano invece dell’assioma della sofferenza di Dio in Cristo come risulta chiaro dal Vangelo. Forse tra l’impassibilità sostanziale di Dio e la sua soggezione alla sofferenza c’è lo spazio per una sofferenza liberamente scelta per amore: la sofferenza appunto dell’amore appassionato. Un Dio incapace di soffrire sarebbe anche incapace di amare o potrebbe amare solo se stesso. Ma se Dio è capace di amare l’altro da sé, allora egli si apre anche alle sofferenze che l’amore per l’altro gli arreca. Ma Dio rimane superiore a questa sofferenza in forza del proprio amore. La creatura soffre per mancanza di essere; Dio per la sovrabbondanza del suo essere, per amare, cioè.

4. Noi   e la Croce. Ora, dunque, sappiamo che nelle nostre croci è presente Dio. Non un Dio, fredda forza remota, ma un Dio umano che con noi e in noi grida e che prende il nostro posto quando ammutoliamo nei nostri tormenti. Le nostre sofferenze sono le sue sofferenze e con i nostri dolori partecipiamo ai suoi dolori. “Mio Dio e Signore – si lamentava un giorno Caterina da Siena – dove eri Tu quando il mio cuore era nelle tenebre e nella melma?”. “
“Figlia mia, tu non te ne sei accorta, ma io ero nel tuo cuore!”.
Questa certezza ci dà la forza di vivere nonostante le nostre sofferenze e nonostante le nostre colpe. Che soffre, soffre perché ama la vita, sua e degli altri. Che non ama la vita diventa apatico e non prova dolore. Tenta anzi di spegnere ogni interesse a vivere facendo uso di alcool e di droghe. Ma, più si ama, più si è coinvolti nella vita e più si soffre. È questa la dialettica della vita: l’amore che rende vitale la vita ci rende pure vulnerabili e mortali. Il mistero è come l’amore per la vita possa nascere dal soffrire e patire. Perché ciò accade non lo sappiamo. Sappiamo, però, che in Dio con–sofferente possiamo trovare la forza per mantenerci nell’amore che dà senso alla vita. La via concreta per noi è Cristo. Porsi sulla via di Cristo è entrare nella lotta della vita contro la morte e subire la violenza dei potenti che diffondono morte. È soffrire perché la vita trionfi in ogni uomo e dovunque.

venerdì 9 marzo 2018

IV Domenica di Quaresima. Riflessione di don Pietro


  1. “Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio unigenito… affinché chiunque crede, abbia la vita eterna”.
È il cuore dell’evangelo per tutti, per me, per chiunque. La distanza “malefica” e abissale è annullata dall’amore di Dio, la potente forza unitiva. Tutta la Bibbia parla dell’Amore di Dio, nella creazione e nella storia, di cui sottolinea e evidenzia la gratuità, la fedeltà, la concretezza, la tenerezza e l’esigenza. Gratuità come pura libertà che vuole donare senza altra ragione che quella immanente al dono. Fedeltà: l’amore vincola se stesso con una potenza che vince il tempo. Tenerezza: coinvolgimento personale a quanto accade all’amato. Misericordia e volontà di perdono. Esigenza di una risposta totale e incondizionata. Efficacia e concretezza: i beni della terra offerti in dono.

  1. “…tanto da donare l’Unigenito”.
Dono del Figlio: segno della radicalità e serietà dell’Amore di Dio. Dio: non solo colui che dà le cose, ma colui che dà se stesso. Amare per Dio significa “darsi”. Il Figlio non è solo mandato, ma dato come dono definitivo e irrevocabile. Dato a un’ umanità che lo nega, lo contesta, lo evita. Dono offerto a tutti: Salvatore di tutti. Non giustiziere per tutti e salvatore solo per alcuni.

  1. “…affinchè chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna”.
Il dono offerto va accolto. Chi lo accoglie? Chiunque. Nessuno è escluso,  discriminato,  di troppo. La fede è la modalità necessaria per accogliere il dono di salvezza. La fede come finestra per la luce. La fede come la fame per il cibo. La fede come desiderio di Dio. “La vita eterna”: “la vita”: la vita stessa di Dio; eterna: non solo nella durata, ma nella qualità; vita, cioè, di amore, non indifferenza e cinismo; di fede, non incredulità e scetticismo; di speranza, non diffidenza e grettezza. C’è, purtroppo, la tragica possibilità del rifiuto. Cioè la chiusura alla corrente d’amore che si trasforma in scelta di morte e autocondanna.

  1. Approfondimento e conseguenze.
A)    Dio, dunque, ha tanto amato il mondo da donarci il Figlio. Il Crocifisso è la prova di questo amore. Questa verità centrale della fede non è immediatamente evidente. Anzi sembra contraddetta dalla nostra ragione e dall’esperienza passata e presente. A governare questo mondo pare non sia il principio amore di Dio bensì il caos, la desolazione, le guerre, la fame e l’ingiustizia. E il Crocifisso resta uno scandalo: per la ragione, per i giudei, per Cristo stesso. Allora: l’Amore di Dio è una grande menzogna? Il Cristianesimo una truffa colossale e indegna? Non c’è alternativa: o la nostra fede è un’ impostura invereconda orchestrata da chi specula e lucra sul dolore per cui è dovere abbandonarla e combatterla denunciandone la falsità; o, se l’amore di Dio è vero nella croce,  allora non abbiamo capito ancora niente del cristianesimo. Occorre lo Spirito per comprendere la sapienza della Croce e in essa scoprire la verità nascosta dell’amore di Dio.
B)    Partiamo dalla nostra esperienza. Se tutto va bene pensiamo che Dio ci ama. Se tutto o qualcosa va male, pensiamo che Dio non ci ami. Ma quando tutto va bene per noi può essere che per Dio non va bene perché sotto c’è una menzogna, un disordine, un’ingiustizia o infedeltà! Vedi, ad esempio, il benessere, l’ordine, la sicurezza, la forza. Allora Dio ci ama togliendoci dalla falsità (vedi l’esilio di Israele: prova d’amore di Dio). Come per Israele Dio è con noi anche quando è contro di noi. Dio ci ama contestandoci. L’ira di Dio ci colpisce quando siamo nella massima sicurezza. Allora capiamo il Crocifisso: c’è un progetto, l’esistenza in cui la legge è la sicurezza, il trionfo, il prestigio, la competizione vittoriosa sugli altri. Ebbene in Cristo Crocifisso Dio dice NO a questo progetto mortifero e in questo NO ci ama. C’è invece un progetto in cui la legge è l’amore, il dono totale di sé, il vivere per Dio e i fratelli, e cioè la Croce: perché amare è finire crocefissi. Dio in Cristo ci ha amati così. Ora la Croce- dono di sé- è proposta a noi. Quanto Dio dovrà aspettare? 

domenica 4 marzo 2018

Riflessione al Vangelo della III Domenica di Quaresima. Don Pietro


1. LA LEGGE E L’ALLEANZA

Prima della recita dello Shemà della sera, l’ebreo pronuncia due benedizioni. Questa è la seconda: “Di un amore eterno la casa di Israele tuo popolo hai amato: Torà e precetti, statuti e decreti ci hai insegnato. Perciò, o Signore Dio nostro, quando ci corichiamo e quando ci alziamo ispira il nostro cuore a parlare degli statuti della tua volontà, sicché gioiremo ed esulteremo nelle parole dello studio della tua Torà e nei tuoi precetti e nei tuoi statuti per sempre. Poiché essi sono la nostra vita e la lunghezza dei nostri giorni. E in essi mediteremo giorno e notte. E tu, non allontanare da noi il tuo amore per tutti i secoli dei secoli. Benedetto tu, o Signore, che ami il tuo popolo Israele”.

La legge per Israele è un dono d’amore da parte di Colui che ha scelto di amarlo. La legge, come l’Alleanza, è cioè espressione dell’amore di Dio, il suo documento. Per Israele la legge di Dio và prima messa in pratica e poi studiata come impone Es. 24, 7: “Tutto ciò che è Parola di Dio, lo eseguiremo e poi lo ascolteremo”. L’osservanza della legge è la risposta all’iniziativa divina, è il vero “culto della vita”. Più che un insieme di precetti la cui osservanza crea meriti dinanzi a Dio, la Legge è il contenitore della gloria di Dio, la manifestazione della sua volontà, una volontà buona ma misteriosa. Nella legge c’è una presenza e un mistero: la presenza di Dio che vuole, il mistero del perché vuole.
La risposta dell’uomo a questa presenza e mistero è il mettere in pratica la legge. La rilevanza dei precetti è tutta nel loro provenire da Dio. Il fariseo della parabola di Luca, colui che si vanta delle proprie opere, non è il vero ebreo, ma un cattivo ebreo. La via dell’ebraismo non è basata sulle virtù morali, ma tutta e sola nell’obbedienza alla legge. L’agire umano, in questa via spirituale, non nasce da iniziativa umana, ma da Dio e se questo agire è ispirato alla Legge l’uomo si santifica e prepara il Regno. Importante allora è l’intenzione di dirigere le proprie azioni verso Dio, orientarle verso Colui che solo conferisce loro valore. Questa intenzione deve riempire la preghiera ed ogni altro adempimento perché non vi è differenza tra precetti di culto e precetti di vita. In ogni gesto della vita è sempre Dio a far sentire la sua voce e a dire: “Ricordati di me!”, soprattutto della Pasqua e dell’esodo.
Per Israele il vero principio non è la creazione, ma la Pasqua, e il Dio di Israele non si manifesta come creatore del mondo ma come Colui che “vi ha fatto uscire dal paese d’Egitto per essere il vostro Dio” (Lv 11, 45). Dunque ogni precetto della Legge è un ricordo della Pasqua sia che riguardi la preghiera e il culto, sia le osservanze più umili come il lavarsi le mani, accendere il lume e lo spezzare il pane.

2. CRISTO CROCEFISSO, SCANDALO PER I GIUDEI, STOLTEZZA (FOLLIA) PER I GRECI.

Noi siamo figli di una cultura secondo cui il mondo veleggia verso magnifiche sorti e progressive, verso un domani che conta e l’uomo è incamminato verso il suo trionfo storico.
Ebbene Paolo a questo mondo e ai suoi valori contrappone la Croce di Cristo, come follia per i saggi, gli intelligenti e i dotti di questo mondo, ma potenza di Dio per quelli che credono. La croce è, dunque, contestazione cristiana alla civiltà mondana, alla sufficienza e alla banalità della società moderna. La croce, cioè, rompe questa fiducia assoluta dell’uomo nel progresso continuo e lineare attraverso lo strumento della razionalità. La croce, anzi, rompe tutte le saggezze mondane, filosofiche, teologiche, ideologiche. La croce di Cristo è giudizio sull’uomo e sul mondo, è scoprimento della miseria dell’uomo, della sua impotenza a realizzare il proprio destino in termini di umanesimo puro. Conseguentemente la croce è squalifica di tutte le forme di potenza: potenza politica perché tende a piegare gli uni sotto la volontà degli altri; potenza economica in quanto forma civilizzata di schiavitù; potenza religiosa e culturale perché ancora dominazione per mezzo del sacro e della cultura; perfino potenza divina, perché Gesù, massimamente con la Croce, ha abolito la distanza esistente tra Dio e l’uomo.

3. LA PURIFICAZIONE DEL TEMPIO

Nel 70 d. C. il Tempio di Gerusalemme andò in cenere per il fuoco appiccato da un soldato romano. È difficile per noi renderci conto di quel che poteva significare per un ebreo pio la distruzione del Tempio: senza i sacrifici veniva meno nel mondo la possibilità del perdono dei peccati. “Guai a noi – esclamò un ebreo del tempo – che è stato distrutto questo luogo dove si faceva espiazione per i peccati di Israele!” “No, figlio mio, - rispose il sapiente Jokanan – noi abbiamo un mezzo per fare espiazione pari ai sacrifici: le opere di misericordia, come dice Osea (6,6): Misericordia io voglio e non sacrifici”.
Le opere di misericordia è quanto è essenziale salvare dentro e fuori del Tempio. Alcuni, oggi, vedono un inizio almeno di fuoco che sta intaccando anche il grandioso Tempio della cristianità. Se questo fuoco della secolarizzazione dovesse distruggere totalmente il Tempio, l’evento non dovrebbe farci precipitare nella disperazione. In docilità alla volontà di Dio dovremmo uscire dalle rovine del tempio della cristianità, metterci dietro alla Parola di Dio, come i magi dietro la stella e seguirla la dove andrà a posarsi. Ogni cristiano è chiamato ad uscire dal vecchio tempio e seguire la stella.
Solo così alla fine tutta la Chiesa di Dio si troverà salva in questo mondo profano ma così caro a Dio. La presenza di Dio ora è soprattutto nella carne di Cristo e il suo corpo è il nuovo tempio. Per bocca del profeta Natan Dio aveva già manifestato a Davide il suo scarso interesse per un tempio materiale che  quegli voleva erigergli. Le preferenze di Dio vanno più al tempio cosmico con l’uomo a fungere da sacerdote che offre sacrifici di lode e adorazione e al tempio dell’umanità con la quale Egli ha deciso di camminare realizzando con Cristo e con lo Spirito il massimo di presenza.
Oggi il tempio viene purificato se ridiventa il luogo dell’incontro con il mistero della presenza di Dio, un incontro che, come è gradito da parte di Dio, così deve esserlo dal versante umano. Chiedere perdono, ringraziare, lodare e accogliere il dono di Dio dovrebbero essere le uniche motivazioni che animano il nostro venire nella casa di Dio. “Alcuni – scrive M. Eckart (1260) – seguono Dio come il nibbio segue la donna che porta trippa e salsiccia, come i lupi seguono la carogna, come la mosca segue la pentola”. E più avanti: “Certa gente considera Dio con gli stessi occhi con cui considera una vacca. Ama Dio come ama una vacca. Tu ami la vacca per il latte e per il formaggio e per il tuo utile. Così fanno quelli che amano Dio per la ricchezza esteriore e per la consolazione interiore”. Il nostro impegno in questo tempo di  Quaresima –  e sempre – è di servire Dio, non servirci di Lui tentando con riti ridotti a magia di possederlo e piegarlo alla nostra volontà che spesso degenera in delirio di onnipotenza.

giovedì 1 marzo 2018

Raniero La Valle.

Più persone, forse per aver qualche lume, mi hanno chiesto come avrei votato il 4 marzo. Finora però non mi sono sentito di dare alcuna risposta, dato lo scarto tra ciò che in complesso ci viene proposto e ciò che mi sembrerebbe invece davvero necessario, e di cui varie volte ho parlato. Ora credo però di dover dare una risposta, avendo contratto l’abitudine in Parlamento (che in ogni caso continuo a scrivere con la maiuscola) di fare sempre la mia dichiarazione di voto.
La prima urgenza, contro ogni tentazione di astensionismo o di voto nullo, è che tutti vadano inderogabilmente a votare, per salvare lo strumento della democrazia e tenere aperto il futuro.
Quanto al merito, è diventato molto chiaro, nel finale della battaglia elettorale, che siamo tornati a un sistema bipolare, che però non si presenta come uno schieramento diviso in due campi contrapposti (una destra e una sinistra), bensì come un’orbita ellittica disposta attorno a due poli, uno più vicino l’altro più lontano per chi guarda dalla terra.
Attorno a un polo c’è la destra, che il sistema mediatico ha enormemente gonfiato in questa campagna elettorale, fino a darla come vincente o come quella comunque destinata “a dare le carte”, servendo così ciecamente allo scopo di conservare ad ogni costo l’assetto di potere economico-politico esistente. Questa destra ha sempre nuovi belletti, ma ha indossato panni più ruvidi; essa comprende ormai anche il neofascismo sdoganato e comunque mascherato, e promettendo di togliere 50 o 60 miliardi di tasse ai ricchi, dichiara apertamente guerra a quattro milioni di poveri.
Attorno all’altro polo c’è “il resto del mondo”, che non si può chiamare “sinistra” come non fu un’unione di sinistra quella che combatté i fascismi invadenti l’Europa; essa vincendoli produsse però la più grande rivoluzione della modernità, con le Costituzioni postbelliche, la Carta dell’ONU, il ripudio della guerra, lo sblocco delle sovranità, le tavole della dignità e dei diritti dell’uomo e la scelta dell’eguaglianza. È quello che nella prima età repubblicana fu chiamato l’arco costituzionale, a cui si deve quanto di migliore è stato fatto fin qui.
Ora si tratta di decidere come collocarsi tra i due poli. La mia dichiarazione di voto è naturalmente per il campo contrapposto alla destra, il “resto del mondo”, l’arco che va dai 5 stelle, al PD, ai Liberi ed Eguali, a Potere al popolo, con rispetto e senza gettare la croce addosso a nessuno.
Ma in questo campo occorre scegliere il polo, un punto di attrazione, il “fuoco” da avvistare come segnale di direzione, come l’intuito di un cammino; perché il voto non sia solo uno sterile no, no, ma racchiudendo una speranza, sia anche un sì.
In base a ciò, senza che questo voglia essere un’ingerenza nelle scelte di nessuno, dico che voterò per Liberi ed Eguali, perché lo vedo come un soggetto politico venuto sulla scena nascendo da un grande atto di coraggio, quello di aver messo in mora un’errata concezione del potere che con Renzi teneva sotto sequestro il Partito Democratico e l’intero sistema politico italiano, e perché almeno sulla questione dell’accoglienza dei migranti e della cura dei poveri e degli scartati dà a vedere intendimenti che più si avvicinano a quanto più mi sembra vitale per noi.
Poi, come è chiaro, tutto dovrà giocarsi dopo il 4 marzo, in una politica a cui sia tornato il pensiero.
Raniero La Valle