La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

sabato 23 dicembre 2017

Lettura al Vangelo dell'ultima domenica di Avvento. Don Pietro

1. Premessa

Non è Maria  il centro focale della odierna liturgia della Parola. È Dio, i cui pensieri, propositi e operazioni risplendono in pieno in questa creatura che, in risposta, vi consente pienamente.

2. Gli "angeli" e l'angelo"

Tra l'uomo e Dio c'è un’abisso incolmabile. L'uomo non può raggiungere Dio se Questi non prende l'iniziativa di scendere, di squarciare i cieli per andargli incontro.
Uno degli strumenti attraverso cui Dio comunica con gli uomini sono gli Angeli. Portano all'uomo la Potenza, la consolazione, la compagnia di Dio. Soprattutto la sua Parola.
Per il mistero oscuro del Male può accadere -è accaduto e accade- che l'uomo si lasci sedurre da falsi angeli, ministri delle tenebre ammantati di luce.
Il criterio per poter discernere tra angeli di Dio e angeli al servizio del Maligno va individuato nel tenore della proposta che essi fanno e dalle conseguenze che discendono dall'accoglienza del loro messaggio.

A.,  Gli angeli seduttori:

La Bibbia ha registrato un caso di cedimento grave di alcune creature -donne precisamente- alla seduzione esercitata nei loro confronti da uno stuolo di angeli perversi, falsi messaggeri di Dio.
Solleticandole nel loro fascino femminile -punto debole nel naturale e culturale narcisismo di ogni donna- questi angeli seduttori le convincono ad unire la loro bellezza fisica con la potenza superiore che essi avevano in quanto creature sovrumane, angeliche.
Da questa unione -insinuano gli angeli tentatori- nasceranno uomini di divini, autonomi da Dio, piccole divinità in grado di sfidare Dio, di fare a meno di lui. Insomma l'antico delirio di onnipotenza per l'uomo.
Dice Isaia del re di Babilonia in una elegia satirica e potente:

" Tu pensavi: salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, dimorerò sul monte dell'assemblea divina, salirò sulle nubi nelle regioni superiori e mi farò uguale all'Altissimo!
E invece, sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell'abisso infernale" (Is 14, 13-15)

Così ragiona e agisce l'uomo che vuole sfidare il Dio con la complicità degli spiriti malvagi che ottenebrano la sua mente e il suo cuore esaltandoli.
Il giusto, invece,  sa che solo Dio può salvarlo dalla sua povertà radicale di creatura.
Egli sa di vivere sospeso tra due parole: la misericordia sovrabbondante di Dio e la sua miseria abissale.
L’uomo che sfida Dio è respinto da Dio e ripiomba nella sua miseria.

La Bibbia si informa della provenienza di questi angeli seduttori:  scendono dal cielo. Si ammantano di religiosità e sacralità. Cioè:
La religione può diventare una forte tentazione per la mania di grandezza dell'uomo.
Dall'unione di questi falsi "figli di Dio" con le donne vanitose (cioè con l'uomo preda dell'orgoglio) nascono i giganti, i potenti e violenti della terra che gettano il mondo in una catastrofe cosmica. E Dio manda il diluvio come castigo per la loro malvagità.
Questi figli nati dalle donne si sedotte dagli angeli sono i dominatori del mondo, quelli che si fanno venerare come figli di Dio e diffondono sulla terra  violenza e morte.

B.  L’Angelo di Maria

Ben diverso è il racconto di Maria e dell'angelo Gabriele.
Come quelle donne, anche Maria dà alla luce un "figlio di Dio".
Ma questo figlio non porta sulla terra il dominio e, dunque, violenza e morte. Al contrario porta una promessa di pace vera.
Questo figlio di Dio non si fa adorare come Dio a motivo del suo potere politico, ma segue la via dell'impotenza sino alla croce e tuttavia è superiore ad ogni potenza.
Quelle donne che si uniscono agli angeli servi delle tenebre si lasciano sedurre dalle loro lusinghe, cedono alla magia oltre che alle loro malie. Maria, invece, ricevere l'angelo che le annuncia  il concepimento e la nascita di un figlio, ma rimane consapevole della sua creaturalità, del suo essere semplicemente una donna che accoglie la Parola di Dio, se na fa fecondare per mettersi totalmente al servizio della vita e, ora, anche della vita divina. E in ciò risponde fedelmente alla sua vocazione di donna divenendo modello, icona, di ogni credente e di ogni comunità di fede.
C'è un confine da superare: quello tra cielo e terra.
Nel mito dei figli di Dio che si uniscono carnalmente alle figlie degli uomini  il tentativo è di superare il confine attraverso il sesso, considerato come potere divino, interpretato come forza divina, sacra.
In Maria, invece, i cieli e la terra si uniscono attraverso la Parola di Dio donata e accolta. Questa Parola di Dio è una forza creatrice: suscita la vita, genera  in Maria il figlio di Dio, supera i confini tra cielo e terra, annuncia pace sulla terra, produce l’elevazione dei poveri, degli affamati e degli umili.
Questa Parola di Dio, se accolta, crea anche in noi un uomo nuovo. E così diventiamo tutti  figli e figlie di Dio, sorelle e fratelli di Maria e di Gesù.

domenica 17 dicembre 2017

III Domenica di Avvento. Riflessione al Vangelo di Don Pietro

1. Un invito alla gioia

Un invito che assume quasi il tono di un precetto, di uno ordine: "Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino".
Ma si può comandare la gioia? È possibile, oggi, per l'uomo e per il credente parlare e proporre la gioia? E quali sono le ragioni e i contenuti di questi eventuali atteggiamenti di letizia che siamo chiamati a vivere e a testimoniare al mondo ?

2.  La situazione

Assistiamo ad una crescente di riduzione della gioia di vivere e ad una diffusa noia dell'esistenza. Spesso siamo delusi e scoraggiati, tristi e annoiati nel presente e tutti siamo presi dalla preoccupazione e dall'ansia per il futuro.
Sappiamo anche, per esperienza personale, che i piaceri del cosiddetto benessere non ci bastano, che anzi rischiamo di morire dentro, nella corsa in cui siamo impegnati per averne sempre di più con la paura che, per il gran numero di concorrenti, finiamo per arrivare tardi rimanendo a mani vuote.
Siamo consapevoli che ormai  si impone, per necessità oggettiva oltre che interiore, uno stile di vita più sobrio e semplice, ma facciamo fatica a liberarci di un modello che definiamo consumistico nel senso che ci consuma la vita.
I giovani avvertono più degli altri questa noia e questa tristezza che cercano di soffocare in diversi modi fino a giocarsi la vita per un momento di emozione come stendersi di notte sulla linea di mezzeria d'una corsia autostradale per vedere cosa succede...

3. Lettura della situazione alla luce della fede

La parola di Dio rispetto alla condizione umana ci avverte e ci ammonisce che il nostro cuore e il cuore della storia non hanno in sé il potere di darsi la gioia, ma hanno bisogno di riceverla come dono, come salvezza.
È Dio, e soltanto lui, che in Cristo fascia le piaghe del cuore. È Dio, e solo lui, che in Cristo ci libera dalle nostre schiavitù e prigioni, dal tedio della vita e dall'angoscia del tempo.
È qui la ragione della gioia: cioè nella speranza radicata nella fede che Dio, in Cristo, ci apre ad una novità sempre possibile e ad un cambiamento sempre in atto.
La gioia, perciò, non può esistere come sentimento spontaneo ed emotivo del cuore, ma essa nasce dall'adesione profonda alla persona di Gesù Cristo e cresce continuamente nell’ascolto della parola e nella preghiera, nella docilità allo Spirito e nella fedeltà anche nella sofferenza.
La gioia è, perciò, un itinerario che esige interiorità.
Questa esige il silenzio che vince il chiasso e l'alienazione delle cose.
Il silenzio porta all'ascolto di Dio che parla al cuore dell'uomo facendolo sentire amato da lui e sollecitato da lui a scegliere e a seguire ciò che rende felice vera: la verità e l'amore da vivere fedelmente anche nelle prove e nelle difficoltà, nelle delusioni e nelle contraddizioni della vita. Insomma: la sorgente unica della vera gioia è Dio. Solo chi è in relazione viva e profonda con lui conosce e sperimenta una gioia che il mondo irride e non può conoscere.  Ad esso basta lo stordimento del divertimento e la breve euforia di un'allegria chiassosa e vuota.

Il Buddismo ritiene che la causa dell'infelicità umana siano i desideri insoddisfatti. La terapia consisterebbe  nell'eliminazione di tutti i desideri.
Il messaggio cristiano afferma invece che i desideri del cuore umano debbono essere orientati a Cristo che, essendo la pienezza delle nostre aspirazioni, deve essere anche l'oggetto dei nostri desideri.
Ciò che conta per conoscere e vivere la gioia è tendere a Cristo, unificare in lui la nostra vita lacerata e  divisa.
Tendere a Cristo: è l'invito di Giovanni Battista che dirotta  le folle verso il Cristo. Lui è il Messia, lui la speranza, lui la gioia, lui lo sposo.
Giovanni ne è solo il battistrada, la voce, l'amico. Lui, come la Chiesa, potrà anche deludere, ma Cristo non smetterà mai di essere la nostra gioia e la nostra speranza.
A Cristo possiamo tendere, ma non pretenderlo: egli è il grande dono del Padre. Dunque anche la gioia è grazia, puro dono.
Questa grazia ci è  data in ogni eucaristia che è celebrazione gioiosa della salvezza del Signore.
È la gioia pasquale quella che passa nella celebrazione eucaristica. E’ una gioia capace di vincere ogni tristezza derivante dal peccato edalle prove e contraddizioni della vita. È una gioia che nasce dalla visita del Signore che dà speranza e liberazione alla vita di ogni giorno.
Colmi di gioia ci apriamo alla lode, al ringraziamento e alla benedizione. Chi è gioioso sa ringraziare, benedire e lodare: Dio per il suo amore, i fratelli per il bene che operano, la vita perché  dono grande nonostante le prove.
Una gioia da testimoniare.

domenica 10 dicembre 2017

Riflessione al Vangelo della II Domenica di Avvento. Don Pietro

1. Un Dio "testardo" 

Il Dio della rivelazione biblica ci appare come un Dio tenace e irriducibile, mai rinunciatario. Tenta  sempre di nuovo, provando e riprovando. I fallimenti non lo scoraggiano più di tanto. L'incompiuta a cui più lavora sono "i Cieli nuovi e la terra nuova nei quali abbiano stabili di mura la giustizia”. A Dio non interessa un semplice restauro di facciata.

Non che l'insuccesso di Dio sia totale. Le imprese gli è già riuscita in Cristo, nuovo Adamo, immagine perfetta del Padre e nei Santi: una moltitudine che nessuno può contare, “144.000,,, cioè una schiera infinita.

Vorrebbe riuscirci per tutti, ma l'ostacolo più grande gli viene dall’uomo. Che si è messo in testa per prendere il posto di Dio. Ma emerge solo come un inguaribile usurpatore, malato di onnipotenza, un suo vecchio e vero delirio. Tentò con una mela e l’ha pagata a un prezzo altissimo e ha ritentato subito con una Torre a Babele... Un vero recidivo:  continua imperterrito la sua impossibile impresa.
Ora l'uomo è tutto rotto, incerottato e ferito: ha rovinato la sua vita con questo suo maledettissimo vizio di voler essere dio ed è diventato tiranno dei suoi simili e nei suoi confronti è aperta da tempo una procedura fallimentare. Intanto è di pessimo umore, è infelice e rende gli altri infelici.

2. Dio consola e cerca collaboratori
 Per favore: non credete a chi accusa Dio di tanto disastro! E’ l’uomo il vero e principale responsabile!
Intanto Dio è impegnato a consolare e curare le vittime dello sfacelo operato dall'uomo: sono milioni e non c'è mano che non grondi sangue…

Intanto che consola, Dio continua a lavorare al suo progetto: rinnovare i Cieli, far nuova la Terra.
Ma ha bisogno di collaboratori: ciascuno di noi nel suo piccolo, è destinatario della chiamata. Dobbiamo passare da antagonisti di Dio a suoi collaboratori sentendone la fierezza e la responsabilità insieme.
Dio però ci avverte: l'impresa è laboriosa e i tempi sono lunghissimi. Perché il cambiamento dev'essere profondo, non di facciata, niente chirurgia plastica, niente bacchetta magica.
Dio diffida di tutti i "nuovisti", i "miglioristi "e dei falsi rivoluzionari.
Dio supera anche Giobbe in pazienza e invita anche noi alla pazienza. Pazienza  con lui: 1000 anni sono come un solo giorno. Pazienza con noi:  soste, impuntature, ritardie. E pazienza  con gli altri: hanno i loro tempi e i loro ritmi.

3. Cambiare se stessi

Il primo cambiamento Dio lo sollecita  da ciascuno di noi: da me, da te, da ciascuno.
L’esempio e modello è Giovanni Battista, profeta ruvido, scostante, impopolare. Si spoglia di ogni vanità, diserta la piazza della città e sceglieil deserto. Cerca l’autenticità della sua voce, no la potenza degli altoparlanti. Prima di predicare si impone con l'austerità e con la serietà della sua vita..

4. Convertirsi

Questo si chiama convertirsi. Ma noi non desideriamo la conversione, anzi la temiamo perché significa mettersi in gioco. La conversione è oggettivamente dura, ma è l'unica strada del cambiamento. "Impara a vivere in pace  e migliaia di anime intorno a te troveranno la salvezza" (San Serafino di Sarov)

5. La grazia della conversione

Perciò Dio ci dona la sua grazia. Il primo dono è il battesimo di acqua che serve a purificare, a raddrizzare le storture della mente, del cuore e della volontà, a colmare i vuoti di ascolto della Parola a causa del frastuono e della  vanità, ad abbassare le alture e cioè l'idolatria, l'affermazione del proprio io ad ogni costo. Poi ci chiama come Giovanni a sperimentare il deserto: perché Dio parli al nostro cuore e perché possa entrare nelle profondità della nostra esistenza dove risiedono i desideri più veri, dove elaboriamo i progetti, le scelte fondamentali della nostra vita. La via di Dio passa attraverso il deserto:lì avvengono gli incontri decisivi dello spirito.

6. Il battesimo nello Spirito

Così saremo pronti per un altro battesimo, quello nello Spirito santo.
Sarà lui a spingerci e a portarci. Lui accenderà in noi un fuoco: la passione della verità e dell'amore.
Pur rimanendo nella carne, diventeremo creature spirituali: occhi, gesti, parole, corpo e anima ne saranno segnati.
Diventeremo una novità mai vista: la novità di Dio.
Se solo ci decidessimo!...

giovedì 7 dicembre 2017

RIFLESSIONE SULLA SOLENNITA’ DI MARIA L’IMMACOLATA. Don Pietro

1. L'annunzio angelico
Troviamo nel brano di Luca lo schema tradizionale delle Annunciazioni: l'apparizione angelica, la reazione timorosa del destinatario, l'annuncio centrale, l'obiezione, il segno.
Il filo conduttore del brano è il tema del dono e dell'accoglienza. In Maria Dio ci offre il suo dono più grande, cioè il Figlio.
La sua figura in filigrana è nel piccolo credo al centro dell'annuncio angelico: il dono è Gesù, un uomo ma anche il salvatore. Egli è "grande", è Re eterno, cioè il Messia. È il Figlio dell'Altissimo, il Figlio di Dio, è il Santo, appartenente a Dio.
 Nel strano c'è anche la professione di fede come esaltazione dell’amore di Dio per noi.

2.  La risposta di Maria al dono
C'è la piena disponibilità di Maria al dono di Dio. Tutto il suo essere è offerto a Dio.  Da questa disponibilità deriva la nostra salvezza.
In Maria si realizzano pienamente il dono della presenza di Dio nell'uomo dopo le presenze nalla tenda dell'appuntamento, nella nube, nel Tempio.
C'è anche il legame profondo tra Maria e lo Spirito santo: Panaghion si dice dello Spirito, tutta santità, cioè. Panaghia, cioè tutta santa, si dice di Maria.
Lo Spirito santo scende in lei per purificarla, renderla capace di ricevere il Verbo.
Come lo Spirito, anche Maria ispira consola e incarna la Parola.
Lo Spirito di Dio si rivela anche attraverso la femminilità di Maria.
Di Maria il brano attesta la verginità: la cultura corrente la irride  perché  è incapace di coglierne il senso profondo. La nascita attraverso la carne non è peccaminosa, ma è nascita per la morte! La nascita attraverso lo Spirito è per un'esistenza che, affrontando la morte, la vinca.
Nel brano c’è anche il senso della libertà vera.
 Maria è la prima creatura che, a differenza di Adamo, non escludendo Dio ma accogliendolo, realizza in pieno la libertà della persona umana. Con una sua parola: "ecco sono la serva del Signore, accada a me  secondo la sua Parola",  Maria ha risolto la tragedia della libertà umana.
In Maria risplende anche il mistero della bellezza. La tutta santa è anche la tutta bella, ma noi la ottenebriamo con la nostra opacità. Maria, invece, a cominciare dal suo corpo, restituisce alle cose da loro trasparenza e così si purifica e offre in sé tutta la vita del mondo.
S. Ireneo ci ricorda: "Maria è la terra ridivenuta vergine perché Dio possa plasmarvi il nuovo Adamo".
Maria, cioè, compie la bellezza della creazione. Nella sua carne di Madre di Dio la terra, la materia, l'universo sensibile, ritrovano la loro verginità feconda e ridiventano "Paradiso".

“Maria dunque è la prima persona umana (Gesù era persona divina) in cui la creatura può vivere  il mistero della sua libertà e il mistero della bellezza, una bellezza che genera e suscita comunione”.

Conclusione
Il sì di Maria dobbiamo pronunciarlo anche noi e moltiplicarlo.
In Maria è anticipate il destino della Chiesa e del mondo: essere immacolati  e irreprensibili davanti a Dio, pronti e degni per il mondo che viene.
Maria è anche  la madre della tenerezza. Le sue lacrime, come fontana di giovinezza, ricreano i nostri vecchi cuori, pieni di amarezza e disperazione.
Un folle di Dio del settimo secolo vide Maria che stendeva il suo velo sulla città di Costantinopoli, cioè sull'umanità. È il velo delle lacrime di Maria. Maria, infatti, è madre del Cristo: a Cana di Galilea lo genera definitivamente al mondo. Perciò è madre della consolazione. Ed è diventata madre di ogni discepolo ai piedi della croce.
Ogni vero discepolo come lei deve diventare preghiera, accoglienza, offerta di sé.
Con la preghiera: conservando nel cuore le cose di Dio e meditandole.
Con l’accoglienza: del dono di grazia di Dio.
Con l’offerta di sé: mettendosi a disposizione dell'amore perché ami in noi.

sabato 2 dicembre 2017

Riflessione sulla Prima domenica di Avvento. Don Pietro

1. NUOVO ANNO LITURGICO E AVVENTO

Accogliamo con animo lieto e cuore aperto alla speranza la grazia di un nuovo inizio di quel rapporto che Dio, per mezzo di Cristo  e nello Spirito, ha stretto con ciascuno di noi, come persone uniche e irripetibili e come membri della comunità credente. Un rapporto -è bene mai dimenticarlo- che è insieme croce e delizia della nostra vita.
Riconosciamolo con umiltà e preoccupazione: i legami di fede e di amore tra noi er Dio, sottoposti all'usura di un tempo così carico di complessità e  contraddizioni come il nostro, rischiano lentamente di allentarsi, difatti ogni giorno si affievoliscono e rischiano di diventare insignificanti e  ininfluenti per la nostra vita e per il senso dell'esistenza che così  finisce tutta prigioniera del contingente, del vuoto, con la minaccia dell'assurdo e, spesso, dell'angoscia e della  disperazione. Cioè della morte.
Fotografa la nostra condizione molto bene il profeta Isaia quanto scrive:

" Siamo divenuti tutti come cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia: tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento" (Is 63)

Allentato il legame di fede-fedeltà con Dio facciamo grande fatica anche a vivere nella speranza:
Sembra che Dio, quel Dio che da sempre ci è stato indicato come Padre amoroso che provvede ai suoi figli, se ne stia ora inerte, lontano, senza prendersi più cura dell'umanità che, per questo, conosce un periodo di morte e vive in una cultura  nichilistica.
Sul versante della scena  del mondo le speranze di pace universale che non molto tempo fa erano riaffiorate in seguito a grandi rivolgimenti storici, sembrano affogare in un penoso risorgere della guerra, di conflitti fratricidi, privi di senso e sostenuti solo dall'odio etnico, dalle fazioni di lotta per il potere, dall'utilizzazione della strage terroristica per vincere una competizione che appare a tutti priva di una direzione costruttiva.
Abituati a credere nella presenza di Dio nel mondo, siamo così ora assaliti dal timore di essere abbandonati alle forze del male, di non essere ascoltati da Chi è sempre stato presentato come “Colui che ascolta".
Sul versante della nostra piccola vicenda personale, il dolore che sperimentiamo ci colpisce nella speranza di una vita tranquilla e felice. L'incombere della malattia e della morte sconvolge la fiducia che ci avevano inculcato in un Dio protettore e dispensatore di felicità.
Ci assale il dubbio che Dio non sia veramente un padre amoroso e  giusto, dal momento che permette che accadano cose tragiche: paurose perdite di felicità e di salute.
A volte addirittura sospettiamo che Egli sia quasi un nemico che perseguita l'innocente o, comunque, punisce l'umanità peccatrice ben oltre le sue colpe.
Ma perché Dio permette tanto male, perché non sopporta, perché non usa la sua potenza contro gli abissi del dolore?

2. COME REAGIRE?

Come deve reagire l'uomo dalla fede profonda e viva a queste laceranti domande, come vincere questi dubbi atroci?
L'uomo credente, il chiamato alla santità, il semplice, sa che l'esperienza del silenzio di Dio è una delle caratteristiche del cammino di fede: tutti i grandi santi hanno   attraversato la notte dello spirito senza più sentire la presenza di Dio. Ma proprio questo passaggio nella notte si è trasformato in un momento di crescita della fede che ha fatto ritrovare loro ciò che credevano perduto.
Certamente è stato un momento di prova e di verifica della capacità di tenuta della loro fede.
Questa fede proprio grazie a questo attraversamento nelle tenebre, ha prodotto una purificazione dell’immagine di Dio, un Dio da non pensare più in termini umani, da non poter nemmeno descrivere se non con le parole del desiderio di amore e di vicinanza.
Una fede che nel momento della croce, mentre le tenebre trionfano, si fa grido:
“Dio mio, Dio mio, perhé mi hai abbandonato?”,
ma che è capace di affidamento fiducioso:
“Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”.

Una fede che nella frequentazione costante e nella familiarità quotidiana con Gesù, il Figlio di Dio, ha interiorizzato così profondamente nel cuore e nella vita la presenza di Dio da poter sostenere, senza devastazioni, anche i periodi, a volte lunghissimi, della sua lontananza e assenza, certi del suo ritorno.

3. IL TEMPO DI AVVENTO

Questo tempo di Avvento che inizia è tempo favorevole per questo esercizio di interiorizzazione della presenza di Dio. Il Dio della nostra fede è un Dio che viene.
L'Avvento è celebrazioni di questo venire incessante di Dio, è memoriale di un passato nel quale Dio ha operato, e annuncio-anticipo di un  futuro nel quale Dio porterà a compimento quello che ha iniziato, è segno presente di un dono che Dio fa oggi.
Il nostro atteggiamento in questo tempo di Avvento dev’essere di attesa.
Attesa come un aspettare pazientemente Qualcuno che deve venire.
Attesa come desiderio profondo del Dio che salva e porta novità di vita. C’è chi non attende più nulla, né da sestesso, né dagli altri, né dalla vita, né da Dio.
A volte manca il senso dell’attesa perché ci sentiamo autosufficienti, nonostante oggi questa autosufficienza sia molto in crisi su ogni piano.
Attesa come attenzione e vigilanza al passaggio di Dio e ai segni della sua assenza-presenza nascosta.
Attesa come invocazione e grido:

“Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”; “Tu sei Padre,ritorna per amore dei tuoi servi!”; Nella tua fedeltà che mai vien meno, ricordati di noi, Signore”.

Attesa come speranza, come esercizio di speranza: la speranza non è la soluzione dei problemi, è solo la forza per portare il peso della vita e della storia, un peso che o lo si porta insieme ad altri, ad una comunità di uomini e donne, o non lo si riesce a portare affatto. La speranza è la parola di Dio a donne e ad uomini che si rivolgono a lui con le loro parole, che sono poi le parole della fede, le parole dell'abbandono fiducioso.
Per portare il peso delle vicende umane bisogna diventare veri, trovare il coraggio (dal napoletano "aggi core") è davvero avere il cuore, diventare vivi, essere persone viventi, persone in relazione, a immagine di Dio.
Ma essere vivi, persone con un cuore, significa anche produrre segni di speranza facendo sentire che realmente nella nostra esistenza il bene è,  la verità è, la vita è.
Oltre la preghiera è atto religioso anche accorgersi che l'altro ci guarda ed ha bisogno di noi.
L’Eucaristia è il primo segno di speranza che pone una comunità perché è il segno della disponibilità a dare la vita.
Forse  le terre promesse sono ancora lontane, forse non vi entreremo,  ma intanto insieme possiamo cominciare a gustare le asprezze di un deserto che ci costituirà popolo.
Accettiamo, dunque, la limitatezza del nostro essere creature scoprendo, in questo tempo di grazia dell’Avvento, che Dio ama proprio me, nel mio limite, nel mio peccato, perché per il Signore ciò che conta non è il mio passato, ma il modo in cui vivo la realizzazione del regno.
Leggiamo le nostre vite come piccole storie nelle quali riconoscere il passaggio del Signore.