La libertà chiama in gioco la nostra responsabilità, verso le altre persone.(L. Ciotti)

venerdì 24 marzo 2017

Meditazione del Vangelo per la IV Domenica di Quaresima. Don Pietro

ANCHE  DI QUESTA QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA PROPONGO A CHI HA IL DESIDERIO (SANTO!) DI APPROFONDIRE ALMENO UN PO’ LA PAROLA DI GESU’ UNA MIA MEDITAZIONE. BUON…APPETITO A CHI HA FAME…

 Le tappe del cammino di fede

1. La fede è dono, luce che ci investe dall'alto. L’uomo si apre o si chiude a questo dono di luce. L'incontro luce-uomo è sofferto, laborioso e  lungo. Passa attraverso tappe,  esperienze, coinvolge la nostra ragione e la supera a un livello più alto, quello della verità-rivelazione.
2. L'episodio del cieco nato guarito da Gesù è esemplare di questo cammino dalle tenebre alla luce, dalle certezze della ragione alla verità della fede.
Il cieco, guarito dalla malattia fisica, ha bisogno di guarire anche dalle tenebre che avvolgono il suo spirito. E ci arriva solo alla fine di un itinerario di conoscenza e di rivelazione. 

L’itinerario del cieco

1. La prima tappa consiste nella semplice conoscenza esterna di Gesù. "Quell'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: "Và a Siloe e lavati". Continua il cieco: "io sono andato, mi sono lavato, e ora ci vedo".
Il cieco sta dinanzi alla pura materialità dei fatti, ma non sa ancora nulla né del chi, né del come. Non sa capire e spiegare quel fatto così nuovo e sconvolgente che gli è capitato.
È la nostra condizione quando si presenta davanti a noi l'oggettività del Cristo e del suo dono trasformante: un evento tra i tanti.
Si tratta ancora di capire e di decidere che cosa può voler dire per noi personalmente.
Dinanzi all'evento che lo ha coinvolto e sconvolto, il cieco sente nascere in sé delle domande: "Chi è mai costui? E da dove viene la forza ed efficacia della sua parola?".
Un indizio è nel nome della piscina "Siloe" che significa "Inviato".
Che fosse questo il vero nome di Gesù?
Che fosse lui l'inviato del Padre, autorizzato a parlare e ad agire a suo nome? Per questo, forse, le sue parole sono efficaci in quanto trasmettono la forza stessa di Dio?
Gesù, dunque, come inviato di Dio, in rapporto col Padre dal quale viene: è questo il mistero profondo della sua persona.
A questa scoperta il cieco arriva per tappe. Intanto comincia a riconoscere Gesù come un profeta, un uomo che pronuncia parole non sue, ma di Dio. Un buon inizio, non c'è dubbio, ma ancora lontano dalla meta, che resta l'umile e gioiosa professione di fede: "Io credo Signore".
Nella marcia di avvicinamento alla fede lo Spirito che lo guida si avvale anche della contestazione dei giudei, dei farisei.
Questi hanno i loro schemi e le loro teorie, anzi teoremi e tutti gli eventi vanno compresi e spiegati in base ai loro assiomi e postulati. Anche il caso del cieco deve entrare nei loro schemi precostituiti. Secondo questa logica il fatto della guarigione del cieco -un fatto incontestabile- non esiste. Come può operare un miracolo un uomo peccatore come Gesù che non osserva il Sabato?!
Dove può condurre la logica! O Gesù è peccatore e dunque non può operare miracoli o, se opera miracoli, non è dunque peccatore!
Per fortuna il cieco che non è teologo sofisticato, ma un uomo di buon senso, risponde: "Se sia un peccatore non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo".
Poi, con la semplicità dell'uomo della strada aggiunge: "Noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta... se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla...".
2. Fin qui il cammino che il cieco ha potuto fare da solo. Il resto deve venire dall'incontro personale con Gesù.
Questi gli chiede: "credi tu nel  figlio dell'uomo?". Credi, cioè, che attraverso colui che ti ha aperto gli occhi passa la potenza stessa di Dio? E sei disposto a lasciare che la tua vita sia illuminata e corretta da lui?
Da notare: il cieco giunge a confessare pienamente la sua fede quando è espulso dalla sinagoga, quando cioè viene a trovarsi in una condizione di solitudine ed emarginazione, condizione che egli accetta come prezzo per proclamare la sua fedeltà a Gesù e per professare la sua fede in lui.
Un prezzo invece troppo alto e che non son disposti a pagare né i conoscenti del cieco, né i suoi genitori. Ai primi piace interessarsi del caso, ne discutono animatamente, ma non sono disposti a sostenere l'impegno della fede quando questa si fa esigente. Ai secondi  -genitori- fa paura il rischio della scomunica, cioè dell'emarginazione sociale e si tirano indietro. Per loro la fede costa troppo: troppo grande sarebbe il sacrificio richiesto in termini di onorabilità e stima sociale.
Lo stesso discorso vale per i capi farisei giudaici. Essi  si considerano i depositari autentici della scienza religiosa e a partire dalle loro certezze giudicano tutto e tutti. Nei loro sistemi non esiste un varco per una rivelazione di Dio.
Da qui il senso delle ultime, durissime parole di Gesù: "Io sono venuto in questo mondo per giudicare (cioè per operare con discernimento), perché coloro che non vedono (quelli cioè che di fronte alla vita sono disorientati e sentono il bisogno di essere illuminati) possano vedere, e coloro che vedono (cioè quelli che ritengono di avere sufficiente luce nella loro intelligenza e nelle loro certezze) diventino ciechi (vengano cioè privati dell'unica luce vera, la rivelazione dell’amore di Dio e della salvezza loro offerta).
Quelli che capiscono che il loro limitato potere  non è la misura di tutta la realtà, quelli che si riconoscono ciechi vengono aiutati a guarire.
Importante è non dire mai: da soli mai riusciamo a vedere tutto chiaro.
La storia del cieco ci dice che l'uomo rischia di perdersi, nonché di cadere nel ridicolo, se si culla nel vecchio mito dell'onnipotenza della ragione.
Per essere guariti dalla cecità, bisogna sentirsi ciechi.
Cristo anche a noi dice: "va' a Siloe...: va' a quella fontana dove  la Croce di Cristo ha redento le colpe di tutti" (Sant'Ambrogio)

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