Per quanti di voi vorranno gradirla,
ecco Amici, una mia riflessione-Meditazione sul Vangelo della VII Domenica del
Tempo ordinario dell’Anno liturgico
Gesù indica ai suoi discepoli come
comportarsi quando si è vittime della violenza
I.
La violenza da non replicare, per
Gesù, va dalla più grave alla meno grave: dalla violenza fisica (lo schiaffo)
alla minaccia di processo (per toglierti la tunica); dalla domanda importuna
(costrizione al carriaggio), a quella petulante e sfacciata (richiesta di un
prestito).
II.
Quali sono, in tali casi, le
indicazioni di Gesù?
· Bisogna accogliere concedendo il prestito le richieste pressanti degli
importuni
· Bisogna assecondare la richiesta di facchinaggio e carriaggio avanzata
dai militari occupanti il Paese
· Bisogna rinunciare ad ogni arma di difesa, anche al bastone (serviva per
tenere a bada ladri e lupi) ed ai calzari
· Bisogna farsi prendere la tunica, anzi bisogna dare a chi prende la
tunica anche il mantello
In sintesi e più
precisamente:
Chi subisce violenza deve rinunciare ad ogni replica e questo
a imitazione di Dio che il suo sole lo fa sorgere sui buoni e sui cattivi e la
sua pioggia la fa scendere sui giusti e sui malvagi.
Attenti, però: occorre non restare passivi e inerti quando si
riceve un torto. Bisogna andare incontro al proprio nemico. Occorre essere come
agnelli in mezzo ai lupi.
Bisogna rispondere con una bontà straripante a chi ci ha fa
un torto.
E questo non in situazioni eccezionali della vita , ma
normali!
III.
In quali ambito occorre adottare
questi comportamenti non violenti?
§ Innanzitutto nel campo delle nostre relazioni personali, come hanno fatto
tantissimi Santi…
§ Poi nella Comunità cristiana: al suo interno e nei rapporti col mondo
esterno ad essa
§ Infine nella vita sociale: cioè nelle lotte giuste per la libertà, la
giustizia, la pace
Dopo
Gesù e una moltitudine di Santi e sante, campioni e modello di non violenza
attiva in epoca moderna possiamo considerare Gandhi, Martin Luther King e frà
Christian de Chergé (trucidato in Algeria con altri sei confratelli) che nel
suo testamento perdonava anticipatamente il suo futuro assassino)
Testamento di padre Christian de Cherge’
Se mi capitasse un giorno – e
potrebbe essere oggi – di essere vittima del terrorismo che sembra voler
coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità,
la mia Chiesa, la mia famiglia, si ricordassero che la mia vita era “donata” a
Dio e a questo paese.
Che essi accettassero che l’unico Signore di ogni vita
non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale.
Che
pregassero per me: come essere trovato degno di una tale offerta?
Che
sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate
nell’indifferenza dell’anonimato.
La mia vita non ha valore più di
un’altra. Non ne ha neanche di meno. In ogni caso non ha l’innocenza dell’infanzia.
Ho vissuto
abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel
mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca. Venuto il momento,
vorrei poter avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare
il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nello stesso tempo
di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.
Non potrei
augurarmi una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti,
come potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che io amo venisse
indistintamente accusato del mio assassinio.
Sarebbe pagare a un prezzo troppo
alto ciò che verrebbe chiamata, forse, la “grazia del martirio”, doverla a un
Algerino, chiunque sia, soprattutto se egli dice di agire in fedeltà a ciò che
crede essere l’Islam.
So di quale disprezzo hanno potuto essere circondati
gli Algerini, globalmente presi, e conosco anche quali caricature dell’Islam
incoraggia un certo islamismo. E’ troppo facile mettersi la coscienza a posto
identificando questa via religiosa con gli integrismi dei suoi estremismi.
L’Algeria e
l’Islam, per me, sono un’altra cosa, sono un corpo e un anima.
L’ho
proclamato abbastanza, mi sembra, in base a quanto ho visto e appreso per
esperienza, ritrovando così spesso quel filo conduttore del Vangelo appreso
sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa proprio in Algeria, e,
già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.
La mia morte, evidentemente,
sembrerà dare ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo, o
da idealista: “Dica, adesso, quello che ne pensa!”.
Ma queste
persone debbono sapere che sarà finalmente liberata la mia curiosità più
lancinante. Ecco, potrò, se a Dio piace, immergere il mio sguardo in quello del
Padre, per contemplare con lui i Suoi figli dell’Islam così come li vede Lui,
tutti illuminati dalla gloria del Cristo, frutto della Sua Passione, investiti
del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre di stabilire la
comunione,giocando con le differenze.
Di questa vita perduta, totalmente
mia e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta
intera per questa gioia, attraverso e nonostante tutto.
In questo
“grazie” in cui tutto è detto, ormai della mia vita, includo certamente voi,
amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, insieme a mio padre e a mia
madre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e a loro, centuplo regalato come
promesso!
E anche te, amico dell’ultimo minuto che non avrai
saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo “grazie”, e questo
“a-Dio” nel cui volto ti contemplo.
E che ci sia dato di ritrovarci,
ladroni beati, in Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due.
Amen!
Inch’Allah.
Algeri,
Tibihrine, 1° gennaio 1994
Tibihrine, 1° gennaio 1994
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